Nata a Rostov sul Don in Ucraina nel 1883. La sua famiglia, Oumançoff, si trasferì in Francia. Il padre, sarto di professione, preoccupato del clima di intolleranza nei confronti degli ebrei, decide di trovare un luogo diverso per la sua famiglia. E’ dapprima orientato verso l’America e precisamente a New York, ma le sue conoscenze lo portano, dopo alcune mesi di peripezie, nella grande Parigi cosmopolita della fine secolo. L’ambientamento nella nuova realtà appare subito difficile; nonostante i disagi iniziali Raissa, ancora pre-adolescente, rivela a scuola lucidità intellettuale affermandosi rapidamente per le sue doti singolari e la decisa propensione allo studio. Conosce ben presto la poesia e la filosofia. L’esperienza di Parigi significa anche il distacco dal caldo mondo dell’ebraismo ortodosso praticato soprattutto dagli anziani della famiglia. Si apre una fase di relativismo e di oscurità sul problema di Dio che caratterizza la vicenda di Raissa fino al momento della progressiva conversione alla fede cattolica. Occorre menzionare la singolare comunanza di vita con la sorella Vera che durerà per tutta la vita, senza interruzione. Iscritta alla Sorbona, Raissa vi incontra nel 1901 il giovane Jacques Maritain, di un anno più anziano di lei, già laureato in filosofia e desideroso di frequentare i corsi della facoltà di scienze a cui Raissa si era iscritta. Diventerà una coppia singolare, inscindibile. Tutta la vicenda intellettuale straordinariamente feconda del filosofo Maritain passerà attraverso il vaglio della discussione, della lettura e della genialità di Raissa, particolarmente versata negli argomenti mistici ed estetici. Nel 1904 si sposano civilmente. Sempre nel 1904 i due giovani coniugi incontrano Leon Bloy con la moglie; l’incontro è decisivo per la successiva adesione al cattolicesimo: Jacques proviene dal protestantesimo mentre Raissa, aveva respirato nell’infanzia il clima dell’ortodossia dei chassidim. Giovane donna affascinante, così la definisce Leon Bloy, è destinata a vivere in ogni situazione con un atteggiamento di caratteristica radicale coerenza, senza nulla concedere a facili compensazioni e opportunismi. Il percorso comune di Raissa, Jacques e Vera culmina nel battesimo dell’ 11 giugno 1906. Il percorso di Raissa e Jacques è contemporaneamente un percorso filosofico ed intellettuale; tale percorso transita attraverso il filosofo francese ebreo Henri Bergson che nella Parigi del positivismo affermava il primato della vita interiore e della spiritualità mettendo in forte rilievo la coscienza in rapporto all’evoluzione del mondo. Da ultimo la vicenda culturale e spirituale dei coniugi Maritain approda alla scoperta di San Tommaso riletto con il caratteristico fervore dei convertiti. Jacques e Raissa concepiranno in seguito la loro vita matrimoniale come una sorta di vocazione di stile monastico, votata allo studio, alla diffusione del pensiero di san Tommaso e dell’animazione dei gruppi culturali. Nell’abitazione di Meudon, presso Parigi i coniugi Maritain, con la fidata Vera, divennero fautori di uno dei più fecondi cenacoli intellettuali nella storia dell’ Europa contemporanea. Pittori, musicisti, poeti, scrittori, psicanalisti, filosofi e religiosi, ritrovarono in quella casa il clima della carità intellettuale e lo stimolo a quella che Jacques Maritain definirà la liberazione dell’intelligenza. Tra questi Amici dobbiamo annoverare Psichari, nipote di Renan anch’egli in seguito convertito e Peguy, a cui si deve l’inserimento dei Maritain nel vivo della cultura contemporanea. Entrambi moriranno al fronte durante la prima guerra mondiale. L’atteggiamento iniziale dei due convertiti è di un a certa ostilità nei confronti del mondo moderno, ma lo sviluppo di una incessante ricerca li condurrà ad una struttura di pensiero che per molti aspetti preannuncia il Concilio Vaticano II. La persecuzione degli ebrei porta i coniugi Maritain a trasferirsi in America e precisamente a New York, nel 1940; questa diverrà la loro nuova residenza. Sarà un doloroso distacco vissuto con la profetica e chiara consapevolezza del dramma oscuro in cui era precipitato il mondo; dolore e distacco che divennero laboratorio di un Umanesimo integrale che prende le distanze dal disastroso esito delle ideologie dell’immanenza, diventate totalitarismi, in nome di una visione completa dell’uomo inteso come persona. Nella speculazione metafisica e poetica compartecipata dalla singolare copia viene messo a tema un personalismo fondato sulla partecipazione all’Essere divino e alla intuizione dell’actus essendi, intuizione sovraconscia e pienamente intellettuale. Lo straordinario mondo interiore di Raissa prende forma nell’opera i Grandi Amici, e nel Diario, pubblicato postumo dal marito. Degne di attenzione le Poesie, nelle quali l’atteggiamento contemplativo e mistico risplende in solare pienezza. Raissa Maritain muore nel 1960.
Autore: Don Mario Neva
Fonte: www.laboratoriolife.com
In Raissa fede e ragione, contemplazione e azione, umanità e santità, mistica e poesia si incontrano e si fondano fino a trasformarsi in espressione di quella grazia che perfeziona la natura, purifica e illumina la mente. Si tratta di una testimonianza della presenza di Dio tra noi. Pertanto ha anche un valore apologetico oltre che intellettuale, mistico e profetico. A 13 anni si domandava: "se Dio esiste, è infinitamente buono e onnipotente. Ma, se è buono, perché permette la sofferenza? E se è onnipotente, perché tollera i cattivi? Dunque Dio non è né onnipotente, né infinitamente buono, dunque non esiste." La disperazione era in agguato. Raissa intuisce che senza la verità su Dio, su se stessi e sul mondo, la vita è assurda. La conversione al cattolicesimo conduce Raissa insieme alla sorella Vera e al marito Jacques Maritain su strade nuove, ricche di scoperte, di esperienze e di impegni, percorse insieme. L'ispirazione di fondo delle loro scelte è chiara: "dobbiamo essere come religiosi di un ordine speciale, la cui regola contempla la vita nel mondo. Bisogna, per così dire, ingannare il mondo, avendo l'aria di condurre la vita del mondo. "Dobbiamo seguire la via della contemplazione nel mondo". Il piccolo cenacolo ha un orario preciso: preghiera, lavoro, studio. L'avventura intellettuale di Raissa ha una svolta decisiva dopo la lettura della summa teologica di San Tommaso. Fu per lei una liberazione, un'inondazione di luce, la scoperta della sua patria. Qui intuì che "stabilire la ragione sulla fede... non era indebolirla, ma fortificarla, non asservirla ma liberarla, non snaturarla ma ricondurla alla purezza della propria natura; come illuminare colui che avanza a tentoni e che cammina nelle tenebre non è condurlo fuori della propria strada, ma fargli vedere la via dove si propone di camminare" (R.Maritain, Amici, 203). Non negazione della ragione dunque, ma suo potenziamento, sua illuminazione. Raissa sapeva bene, anche per esperienza personale, che la ragione, abbandonata a se stessa, non di rado approda allo sragionamento, "perché, attraverso la negazione idealista dei legami ontologici dell'intelligenza all'essere e all'esistenza, si esaltava all'infinito una conoscenza di cui si era in realtà rovinata la natura e la validità" (R.Maritain, ivi 204). Scoprì che in San Tommaso "tutto era libertà dello spirito, purezza della fede, integrità dell'intelletto illuminato di scienza e di genio" (R.Maritain, ivi 205). Con commozione e gratitudine riconobbe che, con la summa, aveva ricevuto "la certezza delle verità prime concernenti l'intelligenza, e la gioia di vedere questa abbastanza forte per condurre fino al profondo della notte stellata della fede i principi della ragione" (R.Maritain, ivi 206). Raissa ebbe a dire "Una sola forza può ancora opporsi alla follia generale: l'intelligenza illuminata dalla fede" (Diario, 102).Soltanto questa intelligenza - è il suo convincimento - sarebbe stata in grado di preservare l'umanità dal nichilismo, dallo scetticismo e dall'idolatria, insomma dalle "forze mostruose" che trascinano il mondo. Per dare un contributo a tale forza benefica, si impegnò nella realizzazione dei circoli di studi tomisti. Fondati nel 1923, si prefiggevano di radunare periodicamente scrittori, artisti, gente di cultura e quanti erano alla ricerca della verità, e di presentare loro, in forma moderna, il pensiero tomista, con libere discussioni e di confrontarlo con i problemi contemporanei. Questi circoli si tenevano nell'appartamento dei Maritain. Raissa - nota Jacques - era la fiamma ardente delle riunioni, cui partecipava, attiva e discreta insieme, animata dal folle amore della verità che bruciava in lei. Certamente senza di lei e della sorella non ci sarebbero stati questi circoli tomistici. La vita interiore di Raissa è un piccolo cielo dominato dalla presenza di Dio e illuminato dal suo amore. I suoi scritti - soprattutto il diario - ci permettono di affacciarci nella sua anima e intravederne le profondità della bellezza. Tutto in lei, intelligenza, sentimenti, quotidianità, è trasfigurato dalla passione per il Dio dell'amore e dall'ansia di testimoniare la Verità. Avanza nella realtà, ma trascendendola; vive nella storia, ma con uno sguardo puntato nella metastoria; "i suoi grandi occhi - scrive Jacques - proclamano magnificamente l'innocenza della grazia intatta, quasi perpetua emanazione dell'anima attraverso il corpo". La sua esistenza è stata ritmata da alcune precise direttive di marcia. Innanzitutto il primato di Dio. Esso comporta il totale dominio di Dio, sì che nella nostra vita si compia soltanto la sua volontà. "Ho il sentimento che quello che viene domandato noi, è di vivere nel turbine, senza conservare niente della nostra sostanza, senza temere per noi né riposo, né amicizia, né salute, né tempo disponibile..., insomma lasciarsi rotolare dalle onde della divina volontà" (Diario 220). Traguardo arduo ma non impossibile quando "sappiamo che Dio è amore e la nostra fiducia in Dio è la nostra luce" (Diario, ivi). A volte sembra che le "onde della divina volontà travolgano tutto, anche la mente e il cuore, ma sappiamo che annientando se stessi, si trova colui che si ama. L'io è un ostacolo alla visione e al possesso" (Diario, ivi 28). E il diario riecheggia, in termini sfumati, i "giorni terribili" di aridità, di stanchezza, di angoscia "quasi quotidiana"; "risveglio così doloroso! Cuore troppo carico di sofferenze. Quasi disperazione " (Diario 280); "torturata, singhiozzante" (Diario, 109). "Martirio del cuore. È tornato all'improvviso, scatenato da una causa minima, mentre mi credevo in paradiso dopo il battesimo della mamma; " (Diario, 179) "Soffro indicibilmente. Sento che la mia sofferenza ha le sue radici nel profondo dell'anima, alle sorgenti stesse della natura. Povero cuore! Non gli resta che la risorsa delle lacrime. Lacrime silenziose, così amare, così dure"(ivi). La sofferenza di Raissa ha il suo significato di fondo nel mistero cristiano, da lei vissuto intensamente: compiere ciò che manca alla passione di Cristo.E la passione, essendo di Dio, è raccolta per sempre nell'eterno. Ciò che le manca è lo sviluppo nel tempo. Gesù non ha sofferto che per un certo tempo. Non può lui stesso sviluppare la sua passione e la sua morte nel tempo. Coloro che consentano a lasciarsi penetrare da lui fino a una perfetta assimilazione, compiono per la durata del tempo quello che manca alla sua passione. Quelli che consentono a diventare la carne della sua carne. Unione tremenda, in cui l'amore non è soltanto forte come la morte, ma comincia con l'essere una morte, mille morti". "Le fatiche degli amanti non pesano, anzi sono motivo di diletto" ... L'importante è l'oggetto che si ama, poiché quando si ama o non si sente il peso o si ama di sentirlo". Qui siamo alla soglia della mistica. Raissa in realtà ha avuto il dono della contemplazione mistica. Abitata anche dal dono della poesia, ha potuto dare alla sua contemplazione un affascinante sfondo di trasparenza.
Fonte: Civiltà Cattolica n. 3630
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