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Servo di Dio Divo Barsotti Sacerdote e fondatore

Festa: Testimoni

Palaia, Pisa, 25 aprile 1914 - Settignano, Firenze, 15 febbraio 2006

Divo Barsotti nacque a Palaia, in provincia di Pisa e diocesi di San Miniato, il 25 aprile 1914, penultimo di nove figli. A undici anni entrò nel Seminario diocesano di San Miniato; fu ordinato sacerdote il 18 luglio 1937. Mosso dall’inquietudine di far conoscere Dio a tutti gli uomini, non si sentiva a suo agio nella pastorale ordinaria. Grazie all’intervento di Giorgio La Pira, si trasferì nella diocesi di Firenze, dove ebbe alcuni piccoli incarichi. Intorno al 1950 si trasferì a Settignano, insieme ad alcuni giovani, per fondare una piccola comunità monastica sullo stile del monachesimo orientale. Sorse quindi la Comunità dei Figli di Dio, che in seguito si sviluppò in quattro rami, comprendenti laici consacrati nel mondo, celibi e coniugati, e religiosi di vita comune. Don Divo fu poi molto apprezzato come scrittore e predicatore, contribuendo anche a far conoscere i Santi dell’Oriente cristiano. Morì il 15 febbraio 2006, quasi novantaduenne, nella casa madre della Comunità dei Figli di Dio in via Crocifissalto 2 a Settignano, intitolata a san Sergio di Radonez, dove si trova anche la sua tomba. L’inchiesta diocesana della sua causa di beatificazione e canonizzazione, per l’accertamento delle virtù eroiche, fu aperta a Firenze il 25 settembre 2021.



Divo Barsotti nacque a Palaia, in provincia di Pisa e diocesi di San Miniato, il 25 aprile 1914. Spirito vivace, inquieto, era preso dal problema di Dio più di qualsiasi altra cosa. A quattordici anni aveva già letto tutti i grandi romanzi russi e i principali classici, aveva composto poesie, per il suo insaziabile bisogno di sapere e conoscere le profondità di Dio e dell’uomo.
Fu ordinato sacerdote il 18 luglio 1937, ma non visse mai la vita del parroco. Nei primi tempi del sacerdozio voleva andare in missione in terre lontane a proclamare la grandezza di Dio e la necessità dell’incontro con Cristo risorto, ma lo scoppio della seconda guerra mondiale e gli eventi che ne seguirono fecero sì che egli rimanesse in Italia. Visse il periodo bellico ritirato nella propria casa paterna per volere del vescovo di San Miniato, monsignor Ugo Giubbi, che non riusciva a trovare per lui la giusta collocazione.
Nel 1945 si trasferì a Firenze e visse per alcuni anni un servizio diocesano presso un Istituto di suore in città. Questo gli diede l’occasione di entrare in contatto con il vivace cattolicesimo fiorentino di quegli anni, che vedeva nel capoluogo toscano persone come i padri Servi di Maria David Maria Turoldo ed Ernesto Balducci, Giovanni Papini, Nicola Lisi, don Lorenzo Milani, Giorgio La Pira.
Le sue prime opere di successo, in quegli anni, furono «Cristianesimo russo» e «Il Mistero cristiano nell’anno liturgico», che lo resero famoso in Italia e all’estero. Fu uno dei primi, infatti, a studiare e far conoscere in Italia santi del monachesimo russo ed orientale quali san Sergio di Radonez, san Serafino di Sarov e la spiritualità del pellegrino russo.
Con i suoi studi sulla spiritualità liturgica egli si avvicinò alla corrente di scrittori spirituali d’oltralpe che meditavano in quegli anni su tali temi operando un rinnovamento nella teologia e nella spiritualità liturgica. Entrò così in contatto epistolare con scrittori quali Von Balthasar (che fu anche suo direttore spirituale per alcuni anni), Evdokimov, Bouyer, Merton, Danielou e altri. Furono singolari anche i suoi studi sulla presenza di Dio nella letteratura: per il suo testo «La religione di Giacomo Leopardi» vinse nel 1987 il Premio Letterario Basilicata.
Negli anni ’50 si ritirò in un piccolo eremo sui colli fiorentini, che volle dedicare a San Sergio di Radonez, e raccolse attorno a sé alcuni giovani che volevano vivere con lui un’esperienza monastica sotto la sua guida. Si costituì così una famiglia religiosa che egli denominò Comunità dei figli di Dio, di carattere contemplativo sullo stile del monachesimo russo, sobrio e penitente, vicino al mondo e alle problematiche della gente.
Don Divo collaborò con riviste teologiche e insegnò Teologia spirituale e Teologia sacramentaria per più di un trentennio presso lo Studio Teologico di Firenze. Fu in rapporto epistolare con i più grandi teologi del suo tempo, come Hans Urs Von Balthasar, Pavel Evdokomov, Henri De Lubac e molti altri.
Venne chiamato ripetutamente da monasteri, Seminari, gruppi di laici. I suoi corsi di esercizi e la sua predicazione erano memorabili: la sua parola era appassionata, viva, profonda, energica. Nel 1971 fu chiamato in Vaticano a predicare gli esercizi spirituali al Papa Paolo VI e ai membri della Curia Romana.
Il suo messaggio si può condensare nella sua proposta di una vita mistica proposta a tutti, basata sulla contemplazione del Mistero di Dio nella vita dell’uomo che assume tutto il creato e la realtà sociale in cui vive portandola a Gesù Salvatore con una preghiera continua e con la vita sacramentale.
La spiritualità cristiana di don Divo è contemplativa, liturgica, escatologica, ma da viversi nella vita ordinaria, comune, portando la luce di Dio nel mondo nella trasformazione del proprio essere in una conversione continua e in un progetto di santità che sia alla portata di tutti, perché basata sul Battesimo.
Morì il 15 febbraio 2006 nel suo eremo a Settignano (Firenze), a novantadue anni non ancora compiuti, circondato dai suoi giovani monaci. La sua eredità è costituita, sul piano materiale, da almeno centosettanta libri pubblicati in diverse lingue e da centinaia di articoli e studi.
La Comunità dei Figli di Dio è presente in Italia e nel mondo con più di duemila membri, persone che si vogliono impegnare ad una vita di preghiera vivendo in case di vita comune oppure stando nel mondo (sposati o non sposati) come consacrati laici, che sono come dei “monaci nel mondo” il cui monastero interiore è la città, la famiglia, l’ufficio di lavoro.
Alla sua morte, don Divo fu definito dalla stampa nazionale italiana, anche quella laica, «l’ultimo mistico del Novecento». Il mistico è uno che addita Dio, che fa presente Dio, un Dio che non rimane confinato nel Cielo, ma che entra, attraverso i suoi figli e la Chiesa, nel mondo, per santificarlo, attraverso la luce, la bellezza, la bontà. Per vivere questo però occorre avere fede, pregare molto, frequentare i Sacramenti, vivere la penitenza. Ecco che cosa visse e che cosa insegnò don Divo Barsotti.
A fronte della fama di santità che aveva accompagnato don Divo in vita e in morte, e che perdurava col passare del tempo, cominciarono le fasi preliminari della sua causa di beatificazione e canonizzazione. A cinque anni dalla morte, nel 2011, la Conferenza Episcopale Toscana diede parere favorevole all’avvio della causa, rinnovato nel 2020 dopo che la Comunità dei Figli di Dio, nel 2014, in occasione del centenario della nascita del fondatore, aveva consegnato il Supplice Libello, ovvero la richiesta formale.
Il 4 ottobre 2020, quindi, il cardinal Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, promulgò l’Editto relativo all’apertura della causa. La prima sessione dell’inchiesta diocesana su vita, virtù e fama di santità del Servo di Dio Divo Barsotti si svolse nel santuario dell’Annunziata a Firenze il 25 settembre 2021, all’interno dei Vespri nella memoria liturgica di san Sergio di Radonez.


Autore:
Padre Serafino Tognetti


Note:
Per approfondire: Serafino Tognetti "Don Divo Barsotti" Velar ElleDiCi
Serafino Tognetti "Divo Barsotti. Il sacerdote, il mistico, il padre" San Paolo Edizioni

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Aggiunto/modificato il 2021-09-24

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