I Conti Callori di Vignale discendevano da una di quelle illustri famiglie monferrine che dal 1094 circa sino al 1312 costituirono il Comune Signorile di Asti. Il Conte Federico (Casale 1814-1890) fu Referendario di Sua Maestà, Deputato al Parlamento Subalpino e Sindaco di Casale, poeta e latinista e pure Cavaliere Mauriziano. Nel 1845 egli sposò Carlotta Balbo-Bertone nata nel 1827 da Vittorio Amedeo Conte di Sambuy e Maria Luisa Pallavicino dei Marchesi delle Frabose. La loro unione fu provata da profondo dolore per la morte di due figli in giovane età, Giulio Cesare e Vittorio Emanuele, e della figlia maggiore Vittoria. Ebbero ancora un altro figlio, Ranieri Massimiliano, e due figlie, Maria Luisa e Maria Concetta. Profondamente religiosi, essi si distinsero per il loro grande spirito di beneficenza verso tutte le opere di bene.
Tra i primi Cooperatori Salesiani I Conti Callori, a detta del biografo di don Bosco, furono tra i primi Cooperatori Salesiani che, incuranti di fatiche e disagi, si sacrificarono per il bene dei giovani poveri e abbandonati da lui raccolti. Il Conte Federico si prestò a Torino sin dai primi anni in aiuto al prete di Valdocco. Pare, invece, che la Contessa abbia incontrato per la prima volta don Bosco nel 1861, in occasione di una di quelle gite autunnali che egli faceva con i suoi ragazzi per i colli del Monferrato. Essa si trovava quel giorno a Montemagno presso i Marchesi Fassati, nella cui villa giunse don Bosco e lo invitò a Vignale per l’anno seguente. Nell’ottobre del 1862 don Bosco portò i suoi ragazzi a Vignale, dove, fermatisi due giorni, furono ospiti dei Conti che avevano preparato una lauta mensa per tutti e trovato anche per i ragazzi alloggio all’ultimo piano del loro Castello. La Signora Contessa, poi, promise di concorrere con una grossa somma alla costruzione del Collegio di Mirabello e mantenne più di quello che aveva promesso. Contribuì pure con il proprio denaro alla stampa delle Letture Cattoliche, e si mostrò per don Bosco sempre una buona madre, a cui don Bosco si rivolgeva spesso per consiglio e aiuto nelle sue iniziative finanziarie. Quando decise l’erezione di un tempio in Torino a Maria SS., don Bosco chiese alla Contessa di suggerirgli il titolo ed essa gli propose proprio quello di Maria Aiuto dei Cristiani, che egli già aveva nella mente e nel cuore (cf MB 7, 287). La Contessa poi fu tra le più insigni benefattrici della Chiesa di Maria Ausiliatrice e di quella di san Giovanni Evangelista in Torino.
La corrispondenza con i Conti In una risposta, inviata alla Contessa il 13 dicembre 1864, don Bosco le diceva, fra l’altro: «Quando scrive al povero don Bosco, non dica mai: “Temo dire troppo... è temerità parlare così”, ecc. Le sue ramanzine, le sue ammonizioni, i suoi consigli saranno sempre accolti con figliale rispetto e con riconoscenza». E in un’altra lettera del 24 luglio 1865: «O Signora Contessa, io mi trovo in un momento in cui ho un gran bisogno di lumi e di forze. Mi aiuti colle sue preghiere, e mi raccomandi eziandio alle anime sante che sono di sua conoscenza». Come si vede, non era sempre questione di denaro, anche se, evidentemente, di denaro don Bosco ne aveva sempre tanto bisogno. Basti il fatto seguente. Dal primo maggio del 1866, oltre alla moneta aurea, corrispondente al napoleone d’oro, che portava sul diritto l’immagine di Napoleone con il cappello, venne ad avere corso forzoso, nell’ormai costituito Regno d’Italia, una moneta cartacea dello stesso valore nominale, ma di valore reale ben inferiore. Il popolo la chiamò subito napoleone col capo scoperto, perché portava l’effigie di Vittorio Emanuele II senza cappello. Lo sapeva bene anche don Bosco quando ebbe da restituire al Conte Federico Callori un mutuo di 1000 franchi da lui ricevuto in 50 napoleoni d’oro. Non si lasciò sfuggire l’occasione di prendere due piccioni con una fava, approfittando della confidenza che gli veniva concessa. La Contessa Carlotta infatti gli aveva già promesso da parte sua un’offerta per la nuova chiesa. Scrisse dunque alla Contessa in data 29 giugno 1866: «Le dirò che dopo dimani scade il mio debito verso il sig. Conte e io debbo procurare di pagare il debito per acquistarmi il credito. Quando Ella era in Casa Collegno mi disse che in questa epoca avrebbe fatto un’oblazione per la chiesa e per l’altare di san Giuseppe, ma non fissò precisamente la somma. Abbia dunque la bontà di dirmi: 1. se la sua carità comporta che faccia oblazioni in questo momento per noi e quali; 2. dove dovrei indirizzare il danaro per il sig. Conte; 3. se il sig. Conte per avventura ha pagamenti che possa far con biglietti, oppure, siccome è cosa ragionevole, (io) debba cangiare i biglietti in napoleoni (d’oro) secondo ho ricevuto». Come si può facilmente capire, don Bosco faceva qui assegnamento sull’offerta della Contessa e proponeva il saldo del proprio debito verso il Conte, se non risultava di svantaggio a nessuno, in napoleoni cartacei. La risposta venne e consolante, tanto che don Bosco assicurò poi in una lettera scritta al figlio dei Conti che avrebbe inviato cinquanta napoleoni «ma tutti col capo scoperto»! ed effettuò il saldo molto a lui conveniente, mentre la Contessa nel contempo gli donava 1000 franchi per il pulpito della nuova chiesa. Un proverbio piemontese, ricco di fede popolare, dice che «dove c’è l’innocenza, non manca mai la Provvidenza». Sotto questa parola «innocenza» il proverbio sottintende sinonimi diversi, incluso il candore e la schiettezza tipica di don Bosco nel chiedere denaro ai suoi benefattori più affezionati e caritatevoli come i Conti Callori di Vignale.
Autore: Natale Cerrato
Fonte:
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Il Tempio di Don Bosco
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