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Giulietta Cambarou Fanciulla

Festa: Testimoni

26 luglio 1910 - maggio 1923


Un lembo della Francia. Un centro operaio con molte fabbriche, gruppi di casette annerite dal fumo e divise da orticelli, una via principale che taglia il quartiere e, prolungandosi oltre le case, conduce ai prati sorridenti di sole e di fiori: è la via delle farfalle.
Vicino alla via sorge una grande Cappella. Alcuni decenni prima, vi si erano stabiliti i Padri Francescani per fare un po’ di bene alle anime degli operai; ma il governo repubblicano, che mal sopportava quest’opera di redenzione morale, li espulse senza indugio dal paese, il piccolo convento fu trasformato in una bottega di calzolai, ma la Cappella, per buona sorte, fu risparmiata quasi per miracolo.
La signora Maria Cambarou, donna di profondo sentimento cattolico e fornita di una certa cultura, si propose di aprire una scuola privata per i fanciulli del quartiere; le stava sommamente a cuore la sua figliola Giulietta, perciò voleva che ricevesse l’insegnamento religioso e fosse educata nella Chiesa cattolica.
Giulietta nacque il 26 luglio 1910. Nei primi anni soffriva molto d’attacchi nervosi. Trascorreva parte della sua vita presso i genitori a Limoges, parte a Bourg coi nonni. Una sorella, di nome Giovannina, era l’idolo della casa, era il centro di continue attenzioni; ma questo non fece che viziare completamente la piccina la quale trovava naturalissimo che Giulietta dovesse cedere in tutto davanti a lei, che le cedesse i giocattoli più belli e accorresse ad asciugarle le lagrime quando qualche capriccio la faceva strillare.
Giulietta contava appena cinque anni, quando diede i primi segni della sua tenera pietà.
«Mamma, io amo il buon Gesù con tutto il mio cuore! Più del cielo, più d’ogni altra cosa!».
«Mamma, la sera nel mio lettino prego sempre il buon Gesù».
«E che cosa Gli dici, mia cara?».
«Lo prego di perdonare i miei peccati... di perdonare i peccati di tutti gli uomini... anche quelli di Giovannina».
Un’altra volta le disse:
«Mamma, sai qual è la più buona di tutte le mamme?».
«Quale, amor mio?».
«La Santissima Vergine. Sai anche qual è la più bella di tutte le case?».
«Quale, piccina?».
«La casa del paradiso».
La signora Cambarou incominciò l’educazione religiosa di Giulietta quando questa aveva due anni. La bambina mostrava già un’indole caparbia, impulsiva e capricciosa. Fu compito della madre guidare le buone tendenze della figliola a combattere, per amor di Gesù, i lati deboli della sua natura.
Giulietta andava ogni domenica alla messa in compagnia della mamma. Nell’ubbidienza pronta ed esatta essa trovò il mezzo più effi­cace per vincere e padroneggiare le proprie inclinazioni. Senza il permesso della mamma non prendeva né un pezzo di pane, né un ritaglio di stoffa, né un avanzo di nastro, per quanto piccolo. La mamma la stimolava inoltre ad imporsi qualche piccolo sacrificio per amore di Gesù, ciò che ella faceva con trasporto di gioia.

La Prima Comunione
A Limoges i pareri circa la Comunione anticipata dei bambini erano ancora molto disparati. Giulietta aveva un prozio sacerdote, Don Mario Cambarou che nel 1916 venne a Bourg, dove si recarono anche i genitori della bambina. Questa aveva sei anni. Lo zio la esaminò e poi pregò il parroco di fare altrettanto. Giulietta rispose alle domande con tale semplicità e chiarezza, che i due sacerdoti giudicarono che poteva ben ricevere la prima santa Comunione; si trattava semplicemente di fissare il giorno. Il parroco stabilì il 6 agosto e lo zio amministrò di sua mano la S. Comunione alla nipotina che sembrava un angelo di purezza e d’innocenza.
«Mamma, oggi alla santa Comunione ho detto al caro Bambino Gesù: "So che non si devono commettere peccati e nemmeno raccontare bugie; io non voglio certamente fare né l’una, né l’altra cosa". Allora dentro in cuor mio ho sentito rispondermi: "Tu mi procuri una grande gioia"».
Dopo la sua prima Comunione Giulietta continuò la sua vita tranquilla sotto gli occhi dei genitori. Don Mario non voleva che i nipoti venissero troppo a contatto con gli altri fanciulli: essi dovevano essere educati e istruiti in famiglia. I genitori erano profondamente religiosi, perciò i figlioli crescevano in un ambiente pieno di buoni esempi e di sante impressioni. Mamma e figliola si accostavano tre volte in settimana alla mensa eucaristica.
Giulietta aveva inoltre una tenera devozione alla Madonna. Quando per motivi di salute si trovava a Bourg presso i nonni (era il mese di maggio), desiderava di avere il suo piccolo altare della Madonna.
«Mamma, non potresti allestirmi un altarino per il maggio (il mese dedicato a Maria SS.), che io possa vedere dal mio letto?».
«Come si fa, piccina mia? Non è una cosa tanto facile, c’è troppo poco spazio!».
«E non potresti farlo sul cassettone? ... È subito fatto!».
La mamma appagò questo suo desiderio, e la bambina ne rimase così contenta, che era addirittura commossa e riversava nella preghiera l’intima gioia del cuore. Anche i nonni dovevano pregare con lei.
«Cara nonna, caro nonno, venite! ...Pregate accanto al mio letto, pregate un pochino anche per me».
Al nonno poi diceva: «Se non possiamo andare tutti alla funzione del maggio, va’ almeno tu, nonno».
Quando Giulietta prometteva qualche cosa, si poteva star certi che avrebbe mantenuta la parola. Aborriva le chiacchiere, le invidiuzze e le bugie.
All’avvicinarsi del S. Natale si sentiva tutta felice. Con un bel serto di fioretti e di mortificazioni preparava il suo cuoricino per far piacere al Bambino Gesù. Il pensiero dei doni di Natale le anticipava una gioia infantile; però asseriva di esser pronta a rinunciarvi per amore di Dio, se così fosse stata la volontà, o anche solo il desiderio dei genitori. E com’era riconoscente per ogni piccola cosa!
L’ultimo Natale della sua vita fu ben triste per Giulietta: era ammalata da sei settimane. La Comunione che un sacerdote le portò nella festa di Gesù Bambino, fu per lei un raggio di luce. Alcune persone che accompagnavano il SS. Sacramento restarono profondamente commosse e edificate al vedere la devozione della piccina. Giulietta non piangeva, pur vedendo gli altri piangere, ma si mostrò ilare e lieta e le parve di sentirsi meglio degli altri giorni.
«Oggi è Natale!» disse con un bel sorriso «forse il Bambino Gesù vuole che oggi stia meglio».
Infatti, la febbre cessò e il giorno seguente poté alzarsi. La sua gioia era evidente, ma non la esternò a parole.
Giulietta viveva la vita interiore: s’era fatto una dimora nel suo piccolo cuore e raramente parlava di sé. Quantunque la mamma fosse l’unica sua confidente, pure anche con lei usava una certa riservatezza. Del resto era vivace e premurosa, era assidua e sempre di lena non meno nello studio che nel gioco. Facile all’entusiasmo, s’interessava d’ogni cosa; dotata d’un fine senso del bello, amava le bellezze della natura e la poesia del canto. Per questo la piccina si trovava benissimo a Bourg, luogo ameno e tranquillo, nascosto dietro una collina rivestita di boschi. Qui, sotto i vecchi castagni, si trastullava con Giovannina, oppure sulle sponde del ruscello sedevano le due fanciulle, con la lenza e con l’amo, a pescare i pesciolini.

Un amaro disinganno
La prima delusione della sua vita Giulietta la provò a riguardo del Natale, quando "il Bambino Gesù le riempì le scarpette di doni".
Era già febbraio, e la bambina stava in conversazione con una sua compagna di nome Maria, nel piazzale della scuola. Questa le diceva che se la sua mamma avesse accompagnato il funerale di un bambino, era certa che ne avrebbe avuto sfortuna, lei e tutti gli altri. Giulietta disse che quella era una superstizione bella e buona.
«Tu parli di superstizione? Tu?» replicò subito Maria «ma se tu stessa credi ancora ai doni di Gesù Bambino!».
Giulietta, rattristata, corse a casa in cerca della mamma.
«Mamma, è proprio Gesù Bambino che ci porta i doni di Natale?».
«C’è l’uso di dir così, cara figliola, ma in realtà non è vero».
La povera bambina restò come fulminata! Dal pallido visino colavano silenziose le lagrime senza un singhiozzo, senza un motto. Ambedue tacquero alcuni istanti, poi la mamma, non trovando parole di conforto, baciò quella sua cara creatura, così tristemente delusa.
«Ah! Mamma, ora il Natale non sarà più così bello!... Dunque non è stato Gesù Bambino a portarmi la bambola?».
«No» e la mamma piangeva.
«E nemmeno gli altri giocattoli, quando ero più piccina?».
«No» e le lagrime continuavano a scorrere.
«Ah! Mamma! Me l’avessi almeno detto tu! Non dovevano togliermi l’illusione in questo modo!... m’ha fatto troppo male!».
Era forse nei disegni della divina Provvidenza, che Giulietta dovesse sostenere questa prova che per lei fu grave. Tre mesi dopo morì e la grande delusione avrà di certo contribuito ad illuminare sempre più la sua bell’anima e ad avvicinarla a Dio.

La piccola inferma
Il 18 novembre 1922 Giulietta si lamentò d’una grande spossatezza. Nella notte si alzò la febbre, cosicché il giorno dopo dovette stare a letto. Il medico la trovò malata di polmoni e ordinò di portarla in campagna; così, ai primi di marzo, il babbo l’accompagnò a Bourg presso i nonni. Per alcune settimane si sentì sempre bene, ma poi la febbre riprese con maggior violenza. Giulietta soffriva in modo indicibile; gli sforzi di tosse, accompagnati da vomito violento, duravano spesso lunghe ore; la debolezza la prostrava sempre più, ma la cara inferma conservava la sua pazienza senza mai lamentarsi.
La mamma veniva spesso a Bourg, ma ogni volta il distacco era per la figliola un grande sacrificio che pure sopportava in silenzio, anzi non avrebbe nemmeno voluto che chiamassero la mamma, quando la febbre saliva, perché voleva risparmiare ogni dolore ai suoi cari. Ma la mamma veniva. Veniva proprio quando il pericolo si faceva sempre maggiore. Grande era la gioia che provavano nel rivedersi.
«Oh! Mamma, come sono felice di vederti qui!... Quante volte ho pensato che sarebbe così bello, se mi curasse la mia mamma!».
La mamma le disse che sarebbe restata con lei per curarla e Giulietta ne rimase oltremodo contenta.

Giulietta ritorna tra gli angeli
La madre vedeva chiaramente che la sua bambina si avvicinava all’eternità. Il parroco la confortava spesso col pane degli Angeli e un giorno le amministrò l’estrema Unzione.
Era la metà di maggio del 1923 e già la morte s’annunciava vicina.
«Morirò?» chiese l’ammalata.
La mamma incominciò a prepararla al passo estremo.
«Vedi, amor mio» le disse «le anime che amano Dio vogliono fare la sua volontà. Tutta la perfezione sta qui: nell’adempire la santa volontà di Dio. Vi sono delle anime che passano tutta la vita nei conventi a far penitenza, ad ubbidire, a patire e così raggiungono la santità. Tu puoi farti santa, se accetti volentieri ciò che ti manda il buon Dio. Se Egli vuole che tu viva ancora a lungo, sei contenta? Se poi vuole che tu soffra e vada in paradiso, sei contenta ugualmente?».
«Oh! Sì... parla ancora, mamma..., parla più piano...».
«Il buon Dio ti ha già perdonato tutto: adesso ti fa far penitenza anche per i più piccoli difetti».
«Sei sicura, mamma?».
«Sì, cara figliola. Quando la tua mamma ti contempla così martoriata dai dolori, ti perdonerebbe, anche se avessi commesso delle colpe gravi. E il buon Dio, che ti ama assai di più, non perdonerà i tuoi piccoli falli?».
L’intimo colloquio continuò ancora.
Giulietta aspettava il babbo e la sorella Giovannina. Tendeva l’orecchio per sentire se arrivava la carrozza. Non sentendo nulla, s’inquietò e disse: «Non viene!».
«Ma sì, viene di certo!... Vado a prenderlo io... guarda! Eccolo, lo vedo».
La mamma uscì incontro al babbo: egli era così accasciato dal dolore, che non fu capace di entrare subito nella stanza della morente. Nell’indugio dell’attesa, Giulietta si volse alla nonna: «Babbo e mamma piangono».
Il padre s’accostò a quel letto di morte.
«Dunque, Giulietta mia, come stai?».
«Non tanto male» rispose con un sorriso.
Tutto il giorno fu tormentata dalla sete. Un quarto d’ora prima di morire parlava ancora.
«Mamma, mi si oscura la vista... gli occhi mi fanno male!».
«Sì, cara figliola... Non vedi bene?... Sarà la nebbia».
Ad un tratto si fece tutto buio agli occhi della morente, le membra s’irrigidirono in un freddo mortale, il respiro divenne breve, poi impercettibile e quell’anima pura di fanciulla volò in seno al suo Dio, mentre il padre diceva ad alta voce: «Signore, prendila con Te!... Noi te la doniamo... facciamo il sacrificio di questa cara figliola».

La sepoltura
Giulietta era sbocciata come un fiore di prato per piacere a Gesù in Sacramento; l’avevano ammirata solo gli occhi di Dio e dei genitori.
Ora era sfiorita.
Adorna del bianco velo da sposa della mamma, il Crocifisso tra le mani, fu composta nella camera ardente. La morte aveva cancellato le tracce del lungo dolore su quel volto che appariva più bello di quando era in vita. Tutta coperta di fiori bianchi, la piccola salma pareva scomparire sotto quel trionfo di candore e di profumi.
Lo strazio dei genitori si fece più vivo, quando si videro davanti la loro figlioletta così bella, così pura. Ripetevano tuttavia, col cuore spezzato, le parole del sacrificio: «Signore, te la doniamo con tutto il cuore!». Quindi con le loro mani composero la piccina nella bara che fu portata a braccia da quattro fanciulle biancovestite. La partecipazione fu così unanime e larga, che il funerale, più che un mesto rito di morte, parve una festa trionfale.

Bambini santi
Può un bambino farsi santo? Oh sì, purché lo voglia! I santi sono uomini come noi, semplici, buoni, che amano tanto tanto il buon Dio. Si purificano di frequente nel sacramento della penitenza, si nutrono ancor più spesso della santa Comunione, fanno molti piccoli sacrifici ed esercitano la carità del prossimo in tutto quello che possono.
Quando sono ancora piccini, ubbidiscono prontamente ai genitori e in scuola prestano attenzione e studiano con diligenza. Il fanciullo pio prega volentieri e non solo per sé, ma anche per i suoi genitori, per i peccatori, per le anime del purgatorio, per tutti gli uomini. Egli incomincia la sua giornata con un piccolo sacrificio, alzarsi per tempo, per amore di Dio; volge spesso e volentieri il suo pensiero all’amabile Bambino Gesù e procura di fare ogni cosa per bene, proprio come faceva Gesù Bambino. Non si lamenta mai né del cattivo tempo, né dei compagni, ma è sempre contento e tranquillo, anche se qualche cosa non gli garba. Tutti dicono: «È un fanciullo paziente».
Se l’ira gli monta alla testa, sa contenersi subito e pensa: «Voglio vincermi! Per amore di Gesù Bambino non voglio arrabbiarmi!».
Così il buon fanciullo diventa sempre migliore, e agli occhi del buon Dio è santo e puro come un angelo.


Fonte:
www.vocechegrida.it

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Aggiunto/modificato il 2009-06-26

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