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> Home > Sezione Servi di Dio > Servo di Dio Antonio (Antoninho) da Rocha Marmo Condividi su Facebook Twitter

Servo di Dio Antonio (Antoninho) da Rocha Marmo Fanciullo

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San Paolo, Brasile, 19 ottobre 1918 - 21 dicembre 1930

Antonio da Rocha Marmo, detto Antoninho, era un fanciullo dell’Arcidiocesi di San Paolo in Brasile. Sin dai primi anni di vita, parve dotato di singolari doni: un suo intervento durante un dialogo tra sua madre e una suora circa la soluzione della Questione Romana sembrò quasi una profezia sui Patti Lateranensi. Colpito dalla tubercolosi, cercò di accoglierla come segno della volontà di Dio su di lui. Morì a San Paolo del Brasile il 21 dicembre 1930, a dodici anni. Il nulla osta per l’avvio della sua causa di beatificazione è stato concesso il 27 novembre 2007; da allora si stanno svolgendo le fasi preliminari.



Il 19 ottobre 1918, in rua Bandeirantes 24 (oggi 128) a San Paolo del Brasile, nacque l’ultimo figlio di Pamfilo Marmo, poliziotto, e dona Maria Isabel da Rocha Marmo; era stato preceduto da Maria da Penha, Nair, Ciro e Wanda. L’epoca in cui venne alla luce era insanguinata dagli scontri della prima guerra mondiale, mentre in Brasile imperversava un’epidemia di crup o febbre spagnola.
Il 13 giugno 1920, nella memoria di sant’Antonio di Padova, il bambino venne condotto al fonte battesimale della chiesa di Santo Antonio do Pari: venne scelto per lui proprio il nome di Antonio, ma per tutti fu Antoninho (come il nostro “Tonino”).
A neanche sei mesi, quando veniva portato a passeggio dalla balia per le vie di San Paolo, Antoninho era molto felice e, se per caso passava di fronte a qualche chiesa, agitava le braccine per chiedere, a modo suo, di entrare. Se veniva condotto dentro, subito cambiava espressione nell’avvicinarsi all’altare dove erano conservate le Ostie consacrate. Gli piaceva molto assistere alla benedizione eucaristica e cercava d’imitare i gesti del sacerdote, alzandosi in piedi e dando la benedizione con le sue piccole mani.
Ben presto, il piccolo manifestò un’intelligenza vivissima, dimostrando di comprendere facilmente gli eventi principali che si svolgevano attorno a lui. Un giorno del 1924, quando aveva cinque anni, mentre si trovava all’ospedale Santa Casa da Misericordia per alcune cure, udì sua madre e una suora dell’ospedale, suor Maria Vincenzina, dialogare sulla Questione Romana e definire, come si usava, il Papa come prigioniero dello Stato italiano. Intervenendo nel discorso, si rivolse alla suora: «Ma non potrà continuare così. Vedrà che presto il Papa non sarà più prigioniero. Non si affligga, perché il Papa sarà liberato». La suora sorrise di fronte a quell’energico intervento su una questione troppo complicata per un bambino della sua età e rispose: «Prega, Antoninho, prega molto per il Papa!».
In effetti, Antoninho nutrì anche in seguito un grande affetto per il Pontefice, che all’epoca era Pio XI. Appena ne sentiva pronunciare il nome, si rallegrava molto. Ai bambini che venivano a trovarlo e ai quali insegnava il catechismo come poteva, ripeteva con enfasi: «Gesù disse a san Pietro: “Ti darò le chiavi del regno dei cieli e tutto quello che legherai sulla terra, sarà legato nei cieli e tutto quello che scioglierai sulla terra, sarà sciolto nei cieli”. Così la Chiesa e il Papa c’insegnano la verità che dobbiamo professare».
Allo stesso tempo, portava grande rispetto per la figura del sacerdote. Lui stesso, da grande, avrebbe voluto diventarlo. A chi l’interrogava circa la sua vocazione, rispondeva: «Voglio essere prete, ma voglio appartenere al clero secolare, perché desidero stare più a contatto col popolo. E se un giorno diventassi vicario, saprei compiere il mio dovere». Per il momento, si accontentava, come tanti altri bambini, di giocare a celebrare la Messa con un altarino portatile completo di tutto, perfino di paramenti in miniatura, che gli venne regalato da un vescovo amico di famiglia. La “celebrazione” era seguita da un momento in cui spiegava il catechismo a una mezza dozzina di coetanei e a qualche ragazzino più grande.
Una mattina, partecipò con i suoi familiari alla Prima Messa di padre Olegario da Silva Barata, che suo papà aveva tempo addietro incoraggiato a seguire la vocazione al sacerdozio. Al momento di baciargli, come d’uso, le mani consacrate, gliele strinse fortissimo, poi l’abbracciò ed esplose in pianto. «Guarda che stai bagnando i paramenti!», l’avvisò la madre, ma Antoninho non smetteva di piangere, commuovendo anche il novello sacerdote.
Improvvisamente, il piccolo cadde malato di tubercolosi. Per cercare di farlo riprendere, venne inviato all’ospedale di São José dos Campos, a Campos de Jordão, ma anche i più grandi sforzi risultarono vani. L’11 febbraio 1929, alcuni giorni dopo il suo ingresso, vennero firmati i Patti Lateranensi, che sancirono definitivamente la chiusura della Questione romana. Le parole che Antoninho aveva pronunciato cinque anni addietro avevano assunto, ormai, un valore quasi profetico.
Pur in mezzo a quelle sofferenze, lui non scordava i più bisognosi: s’interessò personalmente di far liberare dalla prigione un povero, intercedendo in suo favore. I poliziotti, colpiti dal suo comportamento, decisero di rimettere in libertà l’uomo, che volle ricompensare Antoninho regalandogli una capra e due capretti. Lui rifiutò e gli suggerì di rivenderli, così avrebbe ricavato qualche soldo.
Non era delicato solo nei confronti delle persone, ma anche degli animali. Aveva un cane, Diamante, col quale si fece ritrarre da un fotografo professionista: quella stessa foto, ora, compare sui suoi santini.
La sua salute peggiorava di giorno in giorno, ma, allo stesso tempo, lui andava conformandosi alla volontà di Dio. Una sera, al vedere sua madre rattristata a causa delle sue condizioni, le chiese:
- Perché sei triste, mamma?
- Per nulla, figlio mio. Non sono mai triste accanto a te.
- Mamma, bisogna fare la volontà di Nostro Signore! Nostro Signore ha bisogno di me!
Dopo una breve pausa:
- Vedi quell’uccellino su quell’albero? Se io facessi in modo che lui venga a posarsi sul mio dito e a cantare, riconosceresti che è per volontà di Nostro Signore?
- Sì, figlio mio!
- Allora, guarda! Uccellino, caro passerotto, nel nome di Dio Nostro Signore, posati qui sul mio dito e canta!
In effetti, il passerotto volò sulla mano di Antoninho e intonò un canto meraviglioso e dolce.
- Adesso, mamma, senti la volontà di Nostro Signore?
- Sì, figlio mio, la sento e la riconosco!
- Va’, va’, amichetto mio, sul tuo albero, e continua a cantare lì!
Così avvenne. L’uccellino andò e riprese a cantare dall’albero dove stava prima.
Madre e figlio tornarono a casa. Alcune ore dopo, il ragazzino la interpellò:
- Stai ancora pensando al passerotto, mamma?
- Sì, davvero, figlio mio...
Alcuni giorni dopo, le domandò:
- Madre mia, chi è il frate che stava parlando qui con me?
- Frate, figlio mio? Non ho visto nessun frate accanto a te. Certamente, avrai sognato...
- Bene, mamma, non parliamone più...
Poco dopo, bussò alla porta il postino, con una busta, che conteneva l’immagine di un frate. Antoninho lo riconobbe:
- Questo ritratto, madre mia, è di fra’ Fabiano di Cristo, che, poco fa, stava chiacchierando con me.
Si trattava, in realtà, di un francescano morto nel 1747 in concetto di santità; l’immagine era stata inviata da una sorella del ragazzino, per chiedere di metterlo sotto la sua protezione.
Ormai la morte di Antoninho era imminente. Il 19 dicembre 1930, con grandi sforzi, si mise a preparare il presepio, come se fosse in salute. La madre lo riportò subito nel suo letto, dal quale non si sarebbe più alzato.
La mattina del 20, venne visitato dalla superiora dell’ospedale della Santa Casa, accompagnata da altre suore: ne fu molto felice. Dopo arrivò fra’ Angelo da Rezende, che gli amministrò gli ultimi Sacramenti adoperando, allo scopo, l’altarino che il ragazzo aveva preparato in anticipo.
Dopo la Comunione, il sacerdote credette che lui avesse già reso l’anima a Dio perché aveva gli occhi chiusi e lo toccò leggermente sulla spalla, per verificarlo. Antoninho aprì gli occhi e disse: «Sto ringraziando Dio!».
In seguito, chiese alla madre di preparare un’automobile per riportare il religioso al suo convento e che non lo lasciasse andar via senza che avesse preso una tazza di caffè. Poi chiese un bicchiere e prese a mormorare:
- Che bella strada... ricoperta di fiori... come sono belli! Quanti angeli! Guarda, madre mia: alcuni suonano... altri sorridono! Mi invitano ad accompagnarli... Che bel corteo!... Io vado, mamma... Vedo... Sì... Vedo una luce! Si avvicina un volto... Guarda, mamma: è mio nonno, tuo padre!
Chiese che si accendessero due candele accanto all’immagine di sant’Antonio, vicino al letto.
- Prima che queste candele si consumino, io sarò in cielo! Sono stanco... ho bisogno di riposare...
Era l’inizio dell’agonia.
Ad un tratto, in uno sforzo, aprì gli occhi. Percorse con lo sguardo la stanza, sorridendo a tutti. Le labbra tremarono, come se dovesse dire qualcosa, poi più nulla. L’orologio segnava le 23.30 del 21 dicembre 1930, giorno anniversario di quella Prima Messa e di quel pianto inaspettato. Antonio aveva dodici anni.
Il giorno dopo, venne sepolto nel Cimitero della Consolazione (Cemiterio da Consolação) di San Paolo, precisamente al campo 80, tomba numero 6. Per uno sbaglio da parte delle pompe funebri, il suo corpo venne chiuso in una cassa da adulto, caricato su un carro da adulto e sepolto in una fossa da adulto. Quell’errore, però, può essere interpretato pensando che lui, nonostante la giovane età, fosse già maturo.
Prima di morire, il ragazzo manifestò ai suoi familiari che desiderava che fosse costruito un sanatorio per bambini. Il suo progetto venne messo in atto da sua madre e da un gruppo di benefattori e ne affidarono l’amministrazione a madre Maria Teresa di Gesù Eucaristico, fondatrice della Congregazione delle Piccole Missionarie di Maria Immacolata (Venerabile dal 2014), la quale si occupava già da tempo dell’assistenza agli ammalati di São José dos Campos. Inaugurato il 13 dicembre 1952, il Sanatorio Infantile Antoninho da Rocha Marmo divenne in seguito ospedale pediatrico, con un notevole reparto maternità.
La tomba del ragazzo divenne presto meta di pellegrinaggi: accanto al suo monumento funebre sono state poste più di 300 targhette come ex voto. Per via di questo fenomeno di devozione popolare, che gli è valso in anticipo gli attributi di “Santo Antoninho” e “santo do povo” (“santo del popolo”), e per accertare se effettivamente lui avesse incarnato le virtù cristiane in grado eroico, l’Arcidiocesi di San Paolo ha avviato il suo processo di beatificazione, tuttora nelle sue fasi preliminari, dopo aver ottenuto il nulla osta da parte della Santa Sede il 27 novembre 2007.


Autore:
Emilia Flocchini


Note:
Per approfondire: www.santoantoninho.com.br

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Aggiunto/modificato il 2015-02-19

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