Luigi Padovese nasce a Milano nel 1947, nel 1964 è novizio tra i frati minori cappuccini; nel 1968 emette la professione solenne; nel 1973 viene ordinato sacerdote. Chi lo ha conosciuto come giovane frate ricorda la gioia che trasmetteva per la scelta di consacrazione che aveva compiuto. Erano tempi difficili quelli della sua formazione iniziale; erano gli anni del cosiddetto sessantotto, della contestazione globale. Lo si poteva incontrare frequentemente tra i giovani, soprattutto nella sua parrocchia nel centro di Milano, la “Santissima Trinità”. Parlava senza timore con tutti con il suo proverbiale garbo. Chi lo ha conosciuto fin dall’ora ne apprezzava la capacità di dialogo, la sua profonda onestà intellettuale. Nell’accogliere le discussioni e le critiche, sapeva sempre valorizzare qualche cosa del suo interlocutore.
Ricordo una discussione nella quale un suo giovane interlocutore gli disse che non poteva credere nella Chiesa perché c’erano troppi scandali e compromessi; egli con calma rispose che con tutta probabilità lui stesso conosceva un numero ben maggiore di difetti della Chiesa rispetto al suo interlocutore, ma che questo era spunto per una responsabilità più grande ed un impegno più deciso e non di scandalo.
Come non sentire in questo l’eco della parole che san Francesco sente pronunciare da Cristo nella chiesetta di san Damiano: “va e ripara la mia Chiesa che come vedi va in rovina”. Chi vive veramente la fede non perde il suo tempo a scandalizzarsi dei difetti ma capisce che il punto decisivo della vita è la conversione continua a Cristo ed essere così “riparatori”, riparatori di Chiese, riparatori dell’umano ferito, edificatori di ponti.
Mons. Padovese ha dato la sua preziosa testimonianza cristiana anche come ricercatore e docente alla Pontificia Università Antonianum, all’Istituto Francescano di Spiritualità, che ha amato e servito con intelligenza e dedizione. Ha insegnato a Roma dal 1982 fino all’Anno Accademico 2009-2010. E’ stato preside dal 1988 fino al 2004, fino al giorno della sua elezione episcopale. Lo ricordiamo anche come professore alla Pontificia Università Gregoriana, all’Alfonsianum e in altri centri accademici. L’innumerevole schiera dei suoi studenti possono testimoniare come non ci si annoiasse mai durante le sue lezioni.
Una caratteristica della sua docenza è stata sicuramente quella di coniugare la certezza della fede e lo spirito di costante ricerca. La certezza della fede nei misteri cristiani accendeva ogni volta il desiderio di una nuova ricerca. Non si accontentava mai di quello che aveva già trovato. La costante ricerca non era segno di un dubbio, o di una incertezza: al contrario, lo aveva imparato dai Padri della Chiesa che Dio, proprio in quanto è Colui che si fa trovare è continuamente cercato – come affermava sant’Agostino –, poiché è infinto, immenso nel suo amore. E questa costante ricerca diveniva in lui possibilità di coinvolgere altri, studenti, studiosi ricercatori, anche molto diversi tra loro. Proprio perché conosceva la risposta che viene da Dio sapeva proporre a tutti l’itinerario della ricerca, anche a coloro che potevano apparire più scettici.
Anche durante il suo ministero episcopale, il vescovo Luigi non ha tralasciato di offrire la sua presenza di docente all’Antonianum, con un corso intensivo ogni anno. Colpisce vedere i titoli dei suoi ultimi corsi che ha tenuto all’Istituto Francescano di Spiritualità. In particolare desidero ricordare quello che avrebbe dovuto tenere nell’Anno Accademico 2010-2011: La ricerca di Dio: ponte di dialogo. Esperienze religiose antiche e moderne a confronto. In questo c’è, forse, in sintesi la sua eredità, di studioso, di frate francescano e di pastore.
Mons. Luigi Padovese, con l’ordinazione episcopale, da studioso si è fatto così pastore amorevole, non smettendo tuttavia di essere ricercatore, ma scoprendo la stessa ricerca come risorsa per il lavoro pastorale e per l’animazione spirituale del suo gregge. In tal modo ci ha aiutato a scoprire che il vero orizzonte della teologia è sempre pastorale: proprio i padri della Chiesa ci mostrano come i grandi pastori delle origini cristiane sono stati anche grandi dottori. Infatti, la verità rivelataci in Cristo non è altro che l’amore trinitario, il Quale solo può saziare in nostro desiderio di essere amati ed amare.
Vorrei richiamare qui anche il motto da lui scelto come vescovo. Cito direttamente le sue parole dalla lettera con cui si è presentato ai suoi fedeli: “Ispirandomi al grande figlio di Antakia e poi vescovo di Costantinopoli, Giovanni Crisostomo, ho scelto come motto episcopale: In Caritate Veritas – La Verità nell’amore. Sono poche parole ma esprimono il mio programma di ricercare nella stima e nel reciproco volersi bene la verità. Se è vero che chi più ama, più si avvicina a Dio, è anche vero che per questa strada ci avviciniamo al senso vero della nostra esistenza che è un vivere per gli altri. Del resto la porta della felicità si apre solo dall’esterno. Su questa convinzione si fonda anche la mia volontà di dialogo con i fratelli ortodossi, quelli di altre confessioni cristiane e con i credenti dell’Islam”.
Infine, vorrei ancora ricordare un ultimo impegno importante svolto da mons. Padovese in vista dell’assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi sul Medio Oriente svoltasi nell’ottobre 2010. Certamente, con la sua morte ancora una volta è stato riportato in primo piano la condizione dei cristiani in Medio Oriente che penano spesso in silenzio – spesso nella complice indifferenza dell’Occidente, le cui radici, lo si voglia o no, sono cristiane. Mons. Padovese aveva denunciato con prudenza e fermezza la situazione problematica e richiesta maggiore libertà religiosa per le minoranze religiose nel Medio Oriente, soprattutto a partire dall’omicidio di don Andrea Santoro.
Significative sono le sue parole in un intervento all’Assemblea del Patriarcato di Venezia, riportato dalla rivista Oasis: “Particolarmente oggi, in epoca di pluralismo, va ravvivata la consapevolezza che la testimonianza fonda e precede l'annuncio, anzi è il primo annuncio. E' sempre vero che il primo passo nel diventare cristiani si fonda nell'incontro di uomini che vivono da cristiani convinti”. In tal senso si capiscono anche le sue parole in relazione al fatto di accettare di “rimanere” nella terra delle origini cristiane, nonostante le gravi difficoltà: “Se, come è avvenuto nei decenni passati, accettassimo come cristiani di non comparire, restando una presenza insignificante nel tessuto del paese, non ci sarebbero difficoltà, ma stiamo rendendoci conto che, come sta avvenendo in Palestina, in Libano e soprattutto in Iraq, è una strada senza ritorno che non fa giustizia alla storia cristiana di questi paesi nei quali il cristianesimo è nato e fiorito, e che non farebbe giustizia alle migliaia di martiri che in queste terre ci hanno lasciato in eredità la testimonianza del loro sangue” (Venezia, 14/10/10).
Di questo rischio della libertà, richiesto dalla testimonianza cristiana, il vescovo Luigi era ben consapevole, fin dall’inizio del suo mandato episcopale; nella sua semplicità sapeva che questa missione avrebbe potuto chiedergli il sacrificio della vita. Lo aveva ricordato del resto proprio nell’anniversario dell’uccisione di don Andrea Santoro nel febbraio 2010, quando nell’omelia disse, riferendosi al sacerdote romano morto in Turchia nel 2006: “la sequela di Cristo può arrivare anche all’offerta del proprio sangue”.
In tal senso credo dobbiamo guardare alla testimonianza di mons. Padovese nella scia del grandi martiri del XX e XXI secolo, nella scia di Francesco e Chiara e del loro desiderio di martirio, cioè di passione per Cristo e per la lode di Dio e dei santi martiri francescani.
Autore: Padre Paolo Martinelli, OfmCap
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