Un giorno in una cattedrale ho letto questa frase: “il chicco di grano se non muore non porta frutto”. Mi è parsa bella, ma ho faticato a capirne il senso. Poi ho ritrovato la storia che sto per raccontare e un raggio di sole mi ha illuminata.
Il 21 settembre 1944 Graziella Fanti aveva diciassette anni ed era bella, di una bellezza delicata, mi hanno sempre detto mio padre e mia madre: Graziella era una loro compagna di scuola. Aveva capelli biondi, occhi chiari, sorrideva poco. Era figlia di contadini comunisti: sua madre e il suo patrigno, che poi era lo zio. Il padre, non c’era. Graziella era “una bastarda” e sua mamma, Bruna, colpevole dell’onta più grave, essere una ragazza madre e come tale emarginata dalla comunità. Bruna faceva la cameriera in una casa di aristocratici che andavano alle Piastre, sull' Appennino sopra Pistoia, per la villeggiatura estiva e si spettegolava in giro che il padre di Graziella fosse il padrone. La storia, però, ha smentito le malelingue.
Le Piastre si trova su quella che all’epoca era la Linea gotica e che 60 anni fa fu assediata dai nazisti. Giorni terribili. Gli alleati si battono ma perdono, i contadini appoggiano i partigiani, i tedeschi e i fascisti reprimono la resistenza: 4400 morti in tre mesi.
La piccola Graziella il 21 settembre 1944 era in riva al Fosso dei Gambioni, un ruscello dove andava a lavare i panni. Cantava, come faceva sempre. Canta che ti passa, le diceva qualcuno. Che cosa doveva passarle? Le pene di un mondo che la rifiutava, sin dalla nascita. I nazisti furono attirati dalla sua esile voce, scesero al ruscello, le strapparono i vestiti che indossava. Graziella si ribellò. Si dibatté, e mentre quelli ridevano lei gridava «Mamma, mamma!» e poi: «Dio mio!». Fece la sua personale resistenza, ma una raffica di mitragliatrice la zittì. Se ne andarono facendole il verso: «Mama, mama!». E poi: «Pum, pum!». Non era la prima a cui accadeva, non sarebbe stata l’ultima. Le altre, però, erano tutte con una famiglia in grazia di Dio. Graziella, figlia della colpa, non avrebbe avuto diritto neppure a una lacrima. Fino a quando i nazisti si ritirarono dalle Piastre, nessuno reclamò il suo corpo, neppure la madre. Venne buttata in una buca rinvolta in un sacco sporco. Il prete del paese non propose nessuna messa. Da quel giorno, e per sessant' anni, nessuno si è ricordato di Graziella Fanti. Solo un suo compagno di scuola – mio padre - è riuscito a far mettere una lapide nella piazza del paese, alla memoria.
È successo nel 2006.
Dopo le celebrazioni davanti alla lapide, però, è accaduto qualcosa di imprevedibile.
In uno stabilimento che produce pasta biologica, a Urbino, qualcuno dice di sapere chi era il padre di Graziella. Sta tutto in un chicco di grano di grande valore nutrizionale e storico: un frumento che viene da una tomba egizia. In Italia è stato portato, verso la fine degli anni Settanta, da un archeologo, che lo consegnò a Ivo Totti socio di una Cooperativa di pastai. Consegnò a Ivo quei chicchi di frumento con un mandato: se riuscirete a moltiplicarlo dovete chiamarlo Graziella, il nome di mia figlia morta tragicamente durante la seconda guerra mondiale, e dovrete aggiungere il cognome Ra. Dopo varie traversie sono riusciti a moltiplicarlo e ad ottenerne le prime produzioni di pasta. Da analisi condotte dall’Università di Urbino risulta essere un frumento particolarmente ricco di proteine, di sali minerali e di selenio, un potente antiossidante in grado di contrastare i radicali liberi, responsabili di molte patologie umane. Così nella Cooperativa oggi si produce una pasta con questo grano chiamato Graziella Ra. E in questo suo nuovo cognome è racchiuso un sentimento d’amore. Ra, in egiziano, significa sole. Sono i suoi raggi caldi a maturare le spighe bionde, come le trecce di Graziella. E dalle spighe cadono i chicchi di grano. Si disperdono ma, come la storia di Graziella pare insegnarci, mai inutilmente. Solo per portare frutti.
Autore: Raethia Corsini
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