Ha detto di no a un matrimonio forzato con un giovane musulmano, ha detto di no alla inesorabile conversione all’Islam necessaria per le nozze, ha detto di no, infine, al tentativo di violenza sessuale di quel ragazzo. Tre rifiuti che sono costati la vita a Mariah Manisha, cattolica, 18 anni, massacrata a colpi di pistola dal pretendente respinto il 27 novembre scorso nel villaggio di Samundari (diocesi di Faisalabad), nello stato del Punjab, regione nell’est del Paese.
Adesso, in quel villaggio, per tutti lei è la “Maria Goretti del Pakistan”: la sua figura è stata accostata a quella della santa italiana morta a dodici anni nel 1902 a seguito di un tentativo di stupro da parte di un vicino di casa.
L’assassino di Mariah si chiama Arif Gujjar, è un tossicodipendente figlio di un ricco proprietario terriero. L’hanno arrestato, ma in prigione potrebbe restarci poco. «Ci sono già delle pressioni politiche per la sua liberazione – racconta a Vatican Insider il professor Mobeen Shahid, presidente dell’associazione pakistani cristiani in Italia che è in contatto con la famiglia della giovane vittima – e stanno spuntando dei falsi testimoni secondo i quali la ragazza si sarebbe suicidata». Non solo. Secondo fonti locali citate dall’agenzia vaticana Fides, infatti, alcuni leader islamici locali starebbero cercando di comprare il silenzio della famiglia della ragazza. Una pratica conosciuta come “diyat”, il cosiddetto “prezzo del sangue” previsto dalla sharia: soldi in cambio del perdono. Offerta che i genitori di Mariah, Razia Bibi e il padre Manisha Masih (i due hanno altri cinque figli), respingono al mittente: «Non siamo in vendita», hanno detto.
Secondo altre fonti locali, in un primo momento la polizia non avrebbe nemmeno voluto – vista la posizione altolocata della famiglia del killer – raccogliere la denuncia dell’omicidio. «È vero – conferma ancora il professor Shahid – è stato necessario l’intervento della diocesi per riuscire a far accettare il modulo con la denuncia e dunque far partire le indagini».
Chi la conosceva bene descrive Mariah come una ragazza buona, semplice. Niente studi, solo tanto lavoro per aiutare la madre nelle faccende di casa. E una fede limpida. La foto pubblicata da Vatican Insider la ritrae in un momento di preghiera.
Il suo killer se ne era invaghito: da tempo la perseguitava e la minacciava soprattutto dopo i rifiuti opposti alle sue avances. Lo scorso 27 novembre Mariah e sua madre si recano al canale poco distante dal villaggio per raccogliere acqua potabile. Arif è li, in compagnia di un amico. Si dirige verso la ragazza, impugnando la pistola. Cerca di trascinarla con sé e di stuprarla. Lei si oppone e fugge. Lui la fredda, esplodendo alcuni colpi da pochi passi. Poi tenta di occultarne il cadavere. Cadavere che verrà ritrovato dal padre della giovane.
«Una vicenda straziante – commenta Shahid – conlcusasi in modo drammatico. Ma non bisogna dimenticare che ogni anno, in Pakistan, sono più di 700 le ragazze cristiane che vengono rapite, violentate e poi convertire forzatamente all’Islam prima di un matrimonio “riparatore”».Per molti Maria è già martire, cioè testimone della fede. Una testimone che ci interpella tutti.
Autore: Mauro Pianta
Fonte:
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www.vaticaninsider.it
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