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Don Aldo Mei Martire

Testimoni

Capannori, 5 marzo 1912 – Lucca, 4 agosto 1944

Aldo Mei nasce a Ruota, nel comune di Capannori (Lucca) e vive a Fiano di Pescaglia in provincia di Lucca. Entrato in seminario nell’ottobre del 1925 viene ordinato prete dall’arcivescovo Antonio Torrini il 29 giugno 1935. Durante il periodo della Resistenza spesso offre rifugio a ebrei, disertori del regime fascista e perseguitati politici. Il 2 agosto 1944 viene arrestato dai nazisti nel corso di un rastrellamento, subito dopo aver celebrato la messa nella sua parrocchia. Fu rinchiuso nella Pia Casa di Lucca, processato con l’accusa di aver dato rifugio ad un ebreo e condannato a morte. A nulla valse il tentativo in extremis di salvarlo dell'arcivescovo di Lucca monsignor Antonio Torrini: alle ore 22 del 4 agosto 1944, venne condotto da un plotone di esecuzione di SS sotto gli spalti delle Mura di Lucca nei pressi di Porta Elisa: fu costretto a scavarsi la fossa e venne ucciso con un colpo di pistola. Prima di essere fucilato, volle, come Cristo, perdonare e benedire i suoi assassini.



“In coscienza non ho commesso delitti.  Solamente ho amato come mi è stato possibile”: lo scrive, la sera prima di essere giustiziato, un “pretino pallido e magro, dagli occhi profondi dietro le lenti, forse un po’ ammalato, ma ben dotato di virtù e di dottrina”. Sostanzialmente tre i capi d’accusa, emersi a suo carico nel corso di un processo-farsa, che conducono ad una sentenza già decretata ancor prima dell’arresto: 1)aver dato ospitalità ad un ragazzo ebreo per salvarlo dalla deportazione; 2) aver amministrato i sacramenti ai partigiani; 3) aver detenuto una radio con la quale essere informato dell’avanzata degli Alleati e che, al momento dell’arresto, non era già più funzionante. E se pure il terzo motivo “non è nobile come i precedenti”, per ammissione dello stesso interessato, in realtà la brutale esecuzione vuole essere un chiaro messaggio inviato all’arcivescovo e al suo clero più impegnato sul terreno dell’assistenza alla popolazione civile e che da mesi ha ormai scelto da che parte stare, rifiutando di denunziare ed anzi nascondendo nelle sue strutture (le parrocchie, le canoniche, i monasteri e i conventi) molti renitenti alla leva, uomini che vogliono evitare la deportazione al lavoro coatto, antifascisti o ex fascisti ricercati, e naturalmente ebrei.

Il teatro di questa vicenda è la Lucchesia, il periodo quello dell’occupazione tedesca e tutto ruota attorno a don Aldo Mei, giovane prete nato a Ruota di Lucca il 3 marzo 1912. A soli 23 anni è consacrato sacerdote e subito viene destinato come parroco della parrocchia di Fiano, comune di Pescaglia, dove si insedia il 14 agosto 1935. Gli tocca una popolazione (poche centinaia di persone) composta per la stragrande maggioranza da poveri e una chiesa di recente costruzione, neppur ancora completata. Non sembra scoppiare di salute, ha un aspetto fragile, sembra quasi timoroso e non alza mai la voce: in realtà si rivela tutto fervore, intraprendenza e coraggio nel rivitalizzare la vita parrocchiale, dare impulso all’Azione Cattolica e organizzare l’asilo per i più piccoli. Negli anni bui della guerra, per inclinazione personale e in obbedienza alle precise indicazioni del vescovo di Lucca, si prende particolare cura di sfollati, perseguitati e poveri. È in costante collegamento con il team di sacerdoti cui il vescovo ha conferito l’incarico dell’assistenza agli ebrei, in particolare con fratel Arturo Paoli, che coglie dalle sue labbra la frase “Bisogna esser pronti a morire per i fratelli”: decisamente qualcosa in più di un pio proposito, soprattutto alla luce dei fatti. Don Aldo non si tira indietro quando bisogna salire sulle colline di Pescaglia, per portare la sua assistenza spirituale a chi sta combattendo per la liberazione di quella porzione d’Italia e, in prossimità di una base partigiana, ha fatto realizzare anche un altare, dove periodicamente si reca a celebrare. In casa sua, poi, ha accolto Adolfo Cremisi, un giovane ebreo destinato alla deportazione: pur ospitandolo con tutte le precauzioni del caso (al punto che di questa presenza neppure si accorgono gli abituali frequentatori della canonica), la sua intensa attività pastorale non sfugge ad una spia repubblichina, autrice di una “soffiata”.

Il 2 agosto 1944, nel corso di un rastrellamento tedesco della zona, don Aldo viene arrestato ,insieme ad altri parrocchiani, sulla porta della chiesa, dopo la celebrazione della messa.  Tradotto a Lucca e rinchiuso nell’edificio adattato a carcere, viene processato per direttissima il giorno successivo e condannato a morte. Gli negano gli ultimi sacramenti e gli impediscono di incontrare il vescovo, nel tentativo di piegare la sua resistenza e di ottenere informazioni sui movimenti dei partigiani, provando ad estorcergliele anche con insulti e percosse. Le ultime parole, che riesce a vergare sulle pagine bianche del breviario e sulla parte interna di una busta, indirizzate ai genitori e al ragazzo ebreo suo ospite, trasudano serenità e perdono: “Muoio travolto dalla tenebrosa bufera dell’odio, io che non ho voluto vivere che per l’amore! Deus Charitas est e Dio non muore. Non muore l’amore! Muoio pregando per coloro stessi che mi uccidono”.  Alle 10 di sera del 4 agosto, sotto le mura di Lucca, cade crivellato dalla mitragliatrice nella fossa che gli han fatto scavare con le sue forze residue: muore pregando, con la corona del rosario in mano. Ora riposa nella sua chiesa parrocchiale, in attesa che la sua morte venga riconosciuta come martirio e si possa così procedere alla sua beatificazione.

Autore: Gianpiero Pettiti

 


 

Aldo Mei parroco di Fiano (Lucca), 33 anni, “sacerdote modello, piissimo” lo definirà l’arcivescovo, che non ottiene dai tedeschi neanche il permesso di vedere per un momento quel suo prete condannato dall’occupante nazista: viene fucilato il 4 agosto 1944 e il primo motivo della condanna è l’aiuto dato a un ebreo.
Viene arrestato nella chiesa parrocchiale, subito dopo la celebrazione della messa. È processato sotto l’imputazione di aver dato rifugio a un giovane ebreo, di aver dato i sacramenti ai partigiani, e per aver nascosto la radio ricevente che una persona aveva regalato a lui pochi mesi prima.
Verso le ore 22 della sera 4 agosto fu visto passare per Via Elisa, a Lucca, in mezzo a tre soldati tedeschi. Teneva una vanghetta appoggiata sulle spalle e nelle mani la corona del rosario.
La piccola schiera si fermò oltre la porta della città, sul prato verde fra il rossigno delle mura e il gomito del tetro bastione. Dovette scavarsi la fossa. Poi, ad un ordine, si pose contro il muro, davanti alla fossa aperta. Fu crivellato dai colpi di mitraglia.
Accetta la morte “con la serenità di un santo”, scriverà l’arcivescovo citando la lettera ai genitori che Donaldo scrive – dopo l’annuncio della condanna – su pochi pezzi di carta e sulle pagine del breviario:
«Babbo e Mamma, state tranquilli – sono sereno in quest’ora solenne. In coscienza non ho commesso delitti. Solamente ho amato come mi è stato possibile (…) Muoio travolto dalla tenebrosa bufera dell’odio io che non ho voluto vivere che per l’amore! “Deus Charitas est” e Dio non muore. Non muore l’Amore! Muoio pregando per coloro stessi che mi uccidono. Ho già sofferto un poco per loro… è l’ora del grande perdono di Dio! Desidero avere misericordia; per questo abbraccio l’intero mondo rovinato dal peccato – in uno spirituale abbraccio di misericordia. Che il Signore accetti il sacrificio di questa piccola insignificante vita in riparazione di tanti peccati (…)
«Anche in questo momento sono passati ad insultarmi – “Dimitte illis – nesciunt quid faciunt” (perdona loro perché non sanno quello che fanno, ndr) – Signore che venga il vostro regno! – Mi si tratta come traditore – assassino – non mi pare di aver voluto male a nessuno – ripeto a nessuno – mai – che se per caso avessi fatto a qualcuno qualcosa di male – io qui dalla mia prigione – in ginocchio davanti al Signore – ne domando umilmente perdono (…)
«Muoio anzitutto per un motivo di carità – per aver protetto e nascosto un carissimo giovane. Raccomando a tutti la carità – Regina di tutte le virtù – Amate Dio in Cristo Gesù – Amatevi come fratelli – Muoio vittima dell’odio che tiranneggia e rovina il mondo – muoio perché trionfi la carità cristiana – (…) Il povero Don Aldo Mei, indegno Parroco di Fiano».
Maria Eletta Martini così ricorda l’uccisione di Don Aldo, che conobbe da giovanissima esponente cattolica del Cln di Lucca: «Quella benda che ho nel mio cassetto è intrisa del sangue di un prete, don Aldo Mei, che fu ucciso dai tedeschi a qualche centinaio di metri da casa mia, in una tarda sera di agosto, perché fu considerato “traditore”: aveva nascosto nella sua casa ebrei perseguitati e aveva amministrato i sacramenti ai partigiani. Noi sentimmo le raffiche di mitra e mio padre disse, piano, a tutti noi ragazzi e a mia madre che gli eravamo intorno: “Ecco non ce l’abbiamo fatta: l’hanno ucciso”. La mattina presto, mio padre partì e tornò a casa a mezzogiorno con quella benda intrisa di sangue di don Mei» (Tintori).


Autore:
Luigi Accattoli


Fonte:
www.luigiaccattoli.it


Note:
Per approfondire: www.donaldomei.it

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Aggiunto/modificato il 2014-12-02

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