Cagliari, 13 ottobre 1960 - 18 aprile 1984
Simona è una giovane come tante altre; nasce a Cagliari il 13 ottobre 1960, è innamorata della vita, desiderosa di realizzarsi come donna, sposarsi, avere dei figli, ma in sé custodisce e fa crescere qualcosa che la differenzia da tutti gli altri, un amore incontenibile e smisurato che supera ogni altro amore e traspare tra le righe dei suoi diari: «Mio Signore, mio unico vero Amico, la mia vita Ti appartiene, Tu mi hai creata»; «Te la offro, la mia giovinezza, Gesù, arricchita di errori, di delusioni, di sofferenze, di gioie». Ed ecco che, come un fulmine a ciel sereno, questo amore diventa saggezza della croce, diventa amore immolato e offerto per il fidanzato, i suoi amici, la famiglia, i giovani, la Chiesa. Muore la sera del Mercoledì santo, il 18 aprile 1984.
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C’è una ragazza, appassionata di volley e innamorata di Gesù, che sta giocando i supplementari di un match, postumo ed impegnativo, presso la Congregazione dei Santi e tutto lascia prevedere che presto anche la pallavolo avrà la sua prima beata. Simonetta (ma chiamiamola Simona, perché lei preferisce!) Tronci è nata a Cagliari il 13 ottobre 1960, terza di sei figli: un’infanzia e un’adolescenza normali, piene di slancio e vitalità, con le vittorie sul campo di volley e le appassionate sfide a calcetto, i bei voti a scuola ed i meravigliosi rapporti di amicizia intrecciati. Tra questi ultimi, particolarmente intenso è quello stabilito con Gesù: non può rinunciare alla comunione quotidiana; alle sue lunghe ore di preghiera, anche notturna; ai suoi colloqui, confidenziali ed intensi, che lasciano intravvedere come questa ragazza sia riuscita a stabilire un filo diretto con l’aldilà. A 17 anni è tra le fondatrici della Comunità carismatica della sua parrocchia: un gruppo giovane, brioso e spumeggiante proprio come lei e di cui diventa ben presto l’anima. Con l’Effusione, ricevuta nel 1978, sembra davvero che lo Spirito si impadronisca di lei, cesellando e potenziando le sue qualità umane e spalancandole nuovi campi di apostolato, in cui esprime i suoi carismi del canto, della preghiera, dell'esortazione, dell'insegnamento. Nello zaino di Simona non manca mai la chitarra, per invitare giovani ed adulti alla lode del Signore e alcuni dei canti da lei composti sono ancora oggi eseguiti nelle comunità carismatiche di tutt’Italia: ”il mondo ha bisogno di sentir cantare... deve riscoprire che c'è un Dio, un Dio d'Amore che ci chiama alla gioia”, confida ai più intimi. Con l’entusiasmo dei giovani, che credono nei valori della giustizia e della legalità, si iscrive a Giurisprudenza, che abbandona dopo i primi pur brillanti esami, quando prende coscienza della precarietà e dell’imperfezione della giustizia umana nei confronti di quella divina. Si iscrive alla Facoltà Teologica di Cagliari, di cui è la prima donna laica ad affrontare difficoltà e pregiudizi di un corso di studi ancora fortemente maschilista; il massimo dei voti conseguiti fin dai primi esami confermano la bontà della scelta e il suo interesse per la materia. Ottiene anche le prime supplenze per insegnare religione e si sperimenta così subito con entusiasmo in questa nuova veste. Nel 1981 si fidanza con Sergio e nelle sue preghiere anche questo nuovo sentimento che le sboccia dentro diventa occasione per lodare e ringraziare, come d’altronde fa sempre, “sia quando otteneva qualcosa, sia nell'attesa di una grazia e, soprattutto, quando non otteneva nulla di quanto richiesto: ringraziava da figlia ubbidiente al Padre”. Il suo quotidiano diventa estremamente ricco di incontri, di amicizie, di persone rintracciate anche nelle corsie degli ospedali, per le quali Simona diventa abbraccio per consolare, carità e fermezza per correggere, delicatezza ed entusiasmo per sostenere. In questo periodo, alla lode ed al ringraziamento, si affianca in lei la consapevolezza che la Croce può diventare un mezzo per amare di più i fratelli. Approda a questa convinzione osservando che questa, dal retro, non è occupata dal crocifisso: “Se guardo dietro la tua croce, Gesù, vedo solo il legno, c'è un posto vuoto... là devo adagiarmi....”. L’occasione le viene offerta dal cancro polmonare, che le viene diagnosticato nel 1983 ed al quale non c’è rimedio, malgrado le cure cui si sottopone, anche a Parigi. Preparata com’è a considerare la sofferenza come “l’ascensore che conduce in paradiso”, Simona non si lascia distruggere dentro dalla malattia che le sta demolendo il fisico: “se è meglio per me e la salvezza dei miei fratelli, guariscimi. Ma se il mio servizio dovesse essere finito, ed è fonte di salvezza per me e i fratelli, la mia famiglia, che Tu mi prenda, mio buon Gesù, sia fatta la Tua volontà”. Per non privarla della Comunione cui non può rinunciare, non potendo più deglutire l’ostia, arrivano a farle sorseggiare alcune gocce di vino consacrato, prelevato con una siringa dal calice, durante la messa. Immobilizzata nel suo letto, resa paralizzata, quasi sorda, muta e cieca in attesa del grande incontro con l'Amato, si spegne il 18 aprile 1984, mercoledì santo. Nel 2003 la Chiesa cagliaritana ha avviato l’inchiesta diocesana che dovrebbe portarla tra breve alla gloria degli altari.
Per chi volesse approfondire consigliamo: Clemente Pilloni, Innamoratissima di Gesù, San Paolo Edizioni
Autore: Gianpiero Pettiti
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