Luca Passaglia nacque a Pavullo nel Frignano il 29 marzo 1999, alle nove del mattino, da Andrea, rappresentante in ceramica, e Teresa Casertano, casalinga, sposatisi il 10 novembre 1996. Per ammissione della stessa Teresa, i due inizialmente presero molto alla leggera il fidanzamento, ma poi ne compresero l’importanza. Un aiuto in tal senso fu loro fornito dalla Fraternità di Nazareth, una comunità monastica fondata dal sacerdote don Domenico Machetta, autore, tra l’altro, di numerosi canti religiosi, e di suor Luisa Salice.
L’attesa del primo figlio fu una delle difficoltà dei primi anni di matrimonio. Un saggio Cappuccino, padre Arcangelo, consolò la giovane moglie di Andrea: «Il Signore ti vuol far capire in questa attesa che il figlio che ti donerà apparterrà prima a Lui che a te». Nel luglio 1998 scoprì finalmente di essere incinta: la sua prima reazione fu correre nella chiesa di San Pietro a Fondi, dov’era in villeggiatura, e affidare il nascituro alla Vergine Maria.
Luca venne al mondo dopo un parto lievemente difficile e fu sistemato in un’incubatrice. Il giorno di Pasqua, però, lui e la madre furono dimessi. Venne battezzato da don Domenico il 31 maggio a Baldissero Canavese; tornato a casa, fece il suo primo sorriso spontaneo.
La fede che i coniugi Passaglia vivevano era diventata una “vita a tre”: ogni sera avevano un piccolo momento di preghiera comune. Nel corso delle passeggiate mattutine, la madre portava Luca in chiesa, per una visita a Gesù nel Santissimo Sacramento; da quando ebbe dieci mesi, invece, gli fece prender parte alla Messa domenicale, che il piccolo seguiva in silenzio. Pregava dapprima a modo suo, poi con le formule tradizionali, appena le imparò (le sue preferite erano la Sequenza allo Spirito Santo, che sapeva per intero, e la Salve Regina) sia recitate sia in canto.
Il suo sviluppo, per il resto, era quello di un bambino comune: gli piaceva giocare con le costruzioni e con un piccolo aspirapolvere, col quale fingeva di aiutare la madre nelle pulizie di casa. Amava anche disegnare e prendersi cura, per quel che poteva, del fratello Giovanni, nato nel 2001.
La sua vita cambiò la sera del 22 maggio 2002, quando iniziò ad avvertire dei dolori alle gambe e non riusciva a camminare. I genitori decisero di fargli avere l’Unzione degli Infermi, mediante il cappuccino padre Nazzareno. Una visita specialistica a Torino fornì la diagnosi: il bambino era affetto da una forma molto rara di neuroblastoma infantile all’ultimo stadio. Lo sconvolgimento che prese Teresa e Andrea fu sostituito, col tempo, dalla decisione di “dire sì al Signore”, per usare le medesime parole scritte da lei.
Le cure, a cui Luca reagiva bene, lo tennero in ospedale per nove mesi. Era molto debole e sopportava a fatica l’essere circondato da estranei vestiti con abiti protettivi e mascherine, almeno finché non capiva che operavano per il suo bene. Si alimentava solo con succhi di frutta e latte con miele, tanta era la nausea che lo prendeva, di cui però non si lamentava mai, anzi, manteneva la grande dolcezza di sempre.
Operato al surrene destro, dove si era annidata la massa tumorale, si riprese in breve tempo. Ad un tratto, poco dopo l’operazione, si rivolse a Teresa: «Mamma, Gesù ci ascolta! Dillo un po’». Lei dovette ripetere la frase per tre volte. Durante la malattia Luca si rivolgeva spesso al suo amico Gesù e alla Madonnina per riuscire a sopportare il dolore. Spesso pregava spontaneamente il suo angelo custode per gli altri bambini ricoverati.
Nella primavera del 2003 venne dimesso da Torino, ma il responsabile delle cure avvertì i Passaglia della possibilità di una recidiva. Su consiglio dei medici di Modena, decisero di iscrivere Luca all’asilo, anche se per farlo dovettero cambiare casa, dato che l’unica struttura che poté accoglierlo, la scuola materna parrocchiale di Levizzano Rangone, era lontana dalla precedente abitazione di Pavullo.
Nei fine settimana, tutti insieme presero a visitare dei luoghi significativi di pellegrinaggio: degno di nota è il viaggio a Roma, con tappa presso Santa Croce in Gerusalemme, presso la tomba della Venerabile Antonietta Meo. Teresa, infatti, si era spesso rivolta a colei che i devoti chiamano “Nennolina”, durante il periodo di degenza, in nome dell’affinità spirituale col suo caso. Luca intanto cresceva e si mostrava sempre più intelligente: apprese a memoria le tabelline e imparò a scrivere brevi pensierini sia a mano che con la macchina da scrivere.
Una notte, nell’ottobre 2003, il piccolo si svegliò urlando. Di lì a venti giorni venne nuovamente ricoverato: aveva dolori nelle braccia e nelle spalle, poi gli si gonfiarono gli occhi e la fronte, dato che le cellule tumorali erano localizzate lì. La mamma provò ad insegnargli come offrire la sua sofferenza sulla scorta dei pastorelli di Fatima. Forse ci riuscì, dato che Luca, in una sua letterina, si espresse così: «Vado in ospedale a offrire a Gesù».
Intorno al 10 gennaio 2004 peggiorò: ebbe problemi respiratori, ma accettò di buon grado di indossare la maschera respiratoria. Nove giorni dopo, i medici non gli diedero più di due settimane di vita. La madre accusò il colpo con una forte emicrania: al vederla star male, il bambino, ormai agonizzante, si sforzò di recitare ad alta voce il Padre nostro, l’Ave Maria e il Gloria al Padre.
Il 20 gennaio a Luca furono amministrati, per mano di don Domenico Machetta e dopo aver ottenuto i necessari permessi dall’Arcivescovo di Torino e dal Vescovo di Ivrea, i Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana.
Di lì a poco, fu chiaro a tutti che la morte stava arrivando. Il bambino aveva un ultimo invito per i suoi genitori ormai stanchi: «Pregate il Rosario». L'indomani mattina, 21 gennaio, memoria di Sant'Agnese, Luca lasciava questa terra per entrare nella gioia eterna del Paradiso. Si potrebbe pensare che, nel momento in cui chiudeva gli occhi, si sia rivolto al Signore con le parole che la mamma udì spesso dalla sua bocca e che pose come titolo alla piccola biografia da lei scritta, ormai fuori catalogo: «Gesù, fai la nanna vicino a me».
Nell’omelia per la Messa di trigesimo, presso la Fraternità di Nazareth, don Domenico si espresse così: «Ora lo abbiamo riconsegnato a Te per riaverlo per sempre».
Autore: Emilia Flocchini
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