Nicolino, figlio di Giovanni Di Meo e Maria Antonia Pellegrino, nacque a Trani il 5 marzo 1920. Prima di lui erano venute due gemelle, morte nell’infanzia, e fu seguito da Tonino, il quale scomparve ad appena otto giorni dalla nascita. Venne cresciuto alla fede dalla zia Laura Pellegrino, alla quale chiedeva spesso quando avrebbe fatto la Prima Comunione.
Quel momento tanto importante avvenne il 1 maggio 1927. Poco dopo, chiese alla zia d’iscriverlo nel circolo San Benedetto, per i fanciulli cattolici della parrocchia di Santa Chiara. Da allora, non mancò mai né alle riunioni del Circolo, né alla Messa, che serviva in quanto chierichetto.
In quinta elementare, rispose al maestro, che gli domandò cosa volesse fare da grande, che voleva essere sacerdote, con questa motivazione: «Io voglio lavorare affinché tutti siano buoni». Di lì a poco, manifestò la sua intenzione al parroco don Giovanni Carbone, che acconsentì a raccomandarlo per il Seminario diocesano. Purtroppo, il sacerdote sostenne un altro ragazzino, forse perché era più povero di lui. Nicolino inizialmente si dispiacque, poi intensificò la sua vita spirituale.
Papà Giovanni, uomo pragmatico, pensò che fosse il caso di avviare il figlio ad un’attività lavorativa, in attesa che le cose cambiassero. Così, il 14 dicembre 1931, gli fece iniziare un lavoro come scalpellino: fu il piccolo stesso a sceglierlo, in modo da poter adempiere liberamente ai propri doveri religiosi. L’ambiente di lavoro era duro e caratterizzato da bestemmie e comportamenti scorretti: Nicolino s’impegnava a riprendere chi sbagliava, ottenendo il nomignolo di “zi’ prete” a causa delle sue piccole esortazioni. Il sogno del sacerdozio, però, non venne meno neppure in quelle circostanze.
Il 27 dicembre di quell’anno giunsero a Trani i Padri Rogazionisti del Cuore di Gesù. In quella città erano già presenti le suore Figlie del Divino Zelo, presso la cui cappella Nicolino, un giorno non precisato, aveva incontrato il Fondatore di entrambi gli Istituti, Annibale Maria Di Francia; il santo, prima di entrare a celebrare la Messa, gli posò una mano sul capo. Forse quel segno fu profetico: don Carbone, poco dopo l’arrivo dei Padri, propose a Nicolino di entrare nella loro Scuola Apostolica, la struttura per formare gli aspiranti al sacerdozio. Suo padre inizialmente si dispiacque, ma poi acconsentì; fu più difficile, invece, far capitolare la mamma, che l’avrebbe preferito sacerdote diocesano.
Finalmente, il 16 settembre 1932, Nicolino fu ammesso alla Scuola, ospitata a Villa Santa Maria. Si dimostrò subito pieno di buona volontà, serio e religioso, ma poco adatto agli studi, perciò i superiori decisero di rimandarlo a casa. A causa delle sue insistenze, accettarono di tenerlo come Fratello coadiutore, ma era necessario il permesso dei genitori. Nonostante le resistenze della mamma, alla fine fu deciso di fargli proseguire gli studi per farlo diventare prete. Nicolino, impegnandosi accanitamente negli studi, venne promosso alla quarta ginnasiale; gli altri anni, invece, era stato portato avanti grazie alla sua buona condotta.
Sistemata la faccenda, il piccolo apostolino si diede una regola di vita in otto punti, che coprivano ogni momento del giorno e della notte. In più, intensificò il suo amore per Gesù Eucaristia, che andava a visitare in ogni momento libero, e per la Madonna, compiendo la Consacrazione a lei secondo lo schema di san Luigi Maria Grignion de Montfort.
Sul finire del novembre 1935, il ragazzo cominciò ad avere una strana tosse con sbocchi di sangue. Fu rimandato a casa, ma le radiografie eseguite diedero esito negativo. La prima domenica del marzo 1936 prese parte al consueto ritiro mensile a Villa Santa Maria, ma non poté restarci. Arrivò a casa bagnato a causa di una fitta pioggerella, sudato e con la febbre alta. Il medico diede la sua diagnosi: si trattava di tubercolosi, che non lasciava speranze di guarigione.
Ciò nonostante, Nicolino si sentiva ancora figlio spirituale del Di Francia: portò sempre la divisa da apostolino e, nella festa del Sacro Cuore di quell’anno, ricevette il distintivo dei Rogazionisti, dato che era impossibile anticipare i voti.
A letto, s’intratteneva in colloqui spirituali con zia Laura e offriva le sue sofferenze per i suoi superiori e per i loro confratelli: «Signore, fa’ che tutti i Padri siano dei veri Rogazionisti! E che le loro prediche convertano tante, ma tante anime!». Il 30 giugno, dietro suggerimento di un altro Padre, venuto per conto del Rettore, compì la sua offerta definitiva, in espiazione dei peccati degli uomini.
Il 1 luglio, festa del Preziosissimo Sangue, ricevette il Viatico e la notte successiva entrò in agonia, per calmarsi solo verso l’alba. Le sue ultime parole, «Non c’è male», furono rivolte a suo padre, accorso da fuori città.
Mentre la zia gli suggeriva le preghiere dei moribondi, Nicolino si spense. Era il 2 luglio 1936, all’epoca festa della Visitazione di Maria.
Autore: Emilia Flocchini
Note:
Per approfondire: Giuseppe Defrenza, Nicolino De Meo, Edizioni Paoline, Bari 1961
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