Lorenzo Wang Bing, nativo di Guiyang, era l’unico figlio maschio in una famiglia cattolica. Durante la Rivolta del Loto Bianco, i suoi genitori vennero imprigionati insieme ad altri cristiani. Poco dopo, vennero esiliati a Yili, in Mongolia, e vi morirono. Lorenzo allora andò a vivere con sua sorella maggiore, ma quando anche lei venne esiliata andò ad abitare da una zia. A vent’anni si sposò con Maria Ly Che, la quale gli diede due figli e tre figlie. Era benestante e possedeva alcuni terreni. Era noto per la sua generosità e per la sua carità, che lo resero il capo della sua comunità cattolica.
Nel 1854, nelle località di Pingyue e Wongan si verificarono numerose conversioni, grazie all’attività missionaria di Lorenzo. L’anno seguente, chiese di andare a Puan e anche lì portò molti alla fede. Tempo dopo, sulla base di alcune accuse falsamente rivolte contro di lui, scappò a Maokou, dove l’attendeva l’amico Girolamo Lu Tingmei.
I due decisero di costruire un luogo dove predicare e fare catechismo, ossia una chiesa o cappella: Lorenzo voleva erigerla dietro il villaggio, mentre Girolamo preferiva uno spazio vuoto, accanto al tempio degli antenati; alla fine il suo parere prevalse. Uno zio non cristiano di Girolamo, Lu Sankong, e un cugino, Lu Kuepa, furono scontenti di quel progetto e decisero di contrastarlo con tutti i mezzi possibili, anche se l’autorità del loro parente era tale da non permettere nessuna opposizione aperta. Un altro zio, Lu Wenzai, aveva avuto un vago desiderio di farsi cristiano e aveva chiesto al nipote alcuni chiarimenti sulla dottrina, ma cambiò idea così radicalmente da diventare un persecutore dei neofiti. Per attuare il loro piano, attesero cinque giorni dall’inizio dei lavori di costruzione, poi, in segreto, riferirono ad alcuni soldati che un predicatore della religione cristiana, insieme ad alcuni compagni, voleva costruire un luogo di preghiera che sarebbe diventato più bello del tempio degli antenati.
I soldati ritennero che l’affare meritasse considerazione, così introdussero gli accusatori al funzionario che faceva da intermediario fra il popolo e il mandarino Tai Lu Che. Costui li indirizzò al suo superiore, che prima mandò due sottoposti a controllare la situazione a Maokou, poi vi si diresse personalmente. Dopo essersi consultato insieme ai capi del villaggio, il mandarino ordinò a tre soldati di prelevare Lorenzo e Girolamo.
Il 13 dicembre 1857, al momento dell’arresto, i due catechisti, insieme ad altri compagni, erano radunati per le preghiere della sera. Quando i soldati fecero loro cenno di seguirli, Girolamo prese con sé un opuscolo che conteneva il testo del trattato di tolleranza stipulato nel 1846 e due libriccini cristiani, supponendo che sarebbe comparso davanti al mandarino.
Appena i due giunsero davanti a Tai Lu Che, egli iniziò l’interrogatorio, che qui traduciamo dagli Annali delle Missioni Estere di Parigi. Dopo essersi rivolto a Girolamo, passò a Lorenzo:
«Qual è il vostro nome?».
«Mi chiamo Wang e sono cristiano».
«Qual è il vostro paese natale?».
«Io sono di Guiyang».
«Cosa fate qui?».
«Insegno i libri».
«Quanti studenti avete?».
«Ne ho cinque».
«Non manchiamo di maestri qui; perché siete venuto da così lontano per insegnare?».
«Sono venuto perché sono stato invitato».
«Perché non siete alloggiato nell’albergo della piazza pubblica e ricevete l’ospitalità della famiglia di Lu Tingmei?».
«Sono ospitato da lui perché anch’io, un poveruomo, pratico la religione del Signore del Cielo».
«Perché non tornate indietro a trascorrere il nuovo anno insieme alla vostra famiglia?».
«Ho voluto andarmene molte volte, ma sono stato sempre impedito dall’insicurezza delle strade».
«Partite domani; ordinerò ai soldati di condurvi fino a Guiyang».
Lorenzo e Girolamo, terminato il processo, tornarono nella casa di quest’ultimo. Dopo che egli ebbe rivolto parole di conforto ai figli e a sua madre, l’amico andò con lui a confortare la vergine Agata Lin, la quale li invitò a prepararsi al martirio o a un altro processo.
Dopo una leggera cena, i membri della famiglia andarono a riposare, mentre Girolamo e Lorenzo, rimasti soli, vegliarono in preghiera. Avrebbero potuto fuggire durante la notte, ma preferirono restare, per evitare alla nascente comunità cristiana una persecuzione che l’avrebbe distrutta. Speravano, quindi, che la loro vita sarebbe bastata per assicurare la pace e procurare ai neofiti la libertà religiosa. Nel frattempo, il mandarino era indeciso se condannare i due o meno, ma le insinuazioni dello zio di Girolamo lo fecero decidere per la pena capitale.
Fra le sette e le otto del mattino del 14 dicembre, poco dopo che ebbero terminato la preghiera del mattino recitata in comune, Lorenzo e Girolamo seguirono i soldati che li avevano fatti chiamare su ordine di Tai Lu Che, presso l’albergo dove lui era alloggiato. Si prostrarono davanti al mandarino, poi rimasero in ginocchio; Lorenzo si trovava a sinistra del compagno.
Il primo a essere interrogato fu Girolamo, a cui vennero rivolte le medesime accuse del giorno precedente, che contrastò esponendo con serenità i dieci comandamenti e guardando sempre in faccia il suo persecutore. Lorenzo, invece, rimase con gli occhi rivolti a terra e rispose alle domande a bassa voce.
Cominciò rispondendo che si era fermato a Maokou per ricambiare la visita che Girolamo gli aveva fatto quando era passato nel suo paese. Alcuni dignitari, però, fecero presente al mandarino che l’avevano spesso visto là e che, durante la sua sosta, l’avevano spesso udito cantare e pregare insieme agli altri cristiani dei paraggi, sospettando che stessero organizzando una rivolta. Tai Lu Che continuò:
«Se siete venuto di passaggio, non bastava che vi riposaste un giorno da un amico, durante il vostro viaggio?».
Lorenzo rimase in silenzio. Il mandarino, pensando che non avesse capito, riprese:
«Dunque, voi mangiate questa religione? Siete venuto qui per corrompere gli abitanti nel propagare la vostra setta! Non ne avete già corrotti abbastanza, a tal punto che serie calamità minacciano questo paese? Tornate a Guiyang; là, se i magistrati supremi lo gradiranno, mangerete la vostra religione!».
«Io non mangio la mia religione», replicò il catechista. La pratico o, meglio, la confesso».
«Che vuol dire praticare o confessare la religione?».
«Noi pratichiamo la religione osservando i dieci precetti del Decalogo».
Così anche Lorenzo elencò i comandamenti, dal primo all’ultimo, come Girolamo. L’interrogatorio proseguì:
«Nella vostra setta, la preghiera fatta in particolare, da parte di un solo uomo, è efficace?».
«Sì, è efficace».
«Allora perché, al ritorno del primo giorno della settimana, vi radunate per cantare delle preghiere tutti insieme, uomini e donne? Secondo me, è evidentemente per tramare dei complotti e commettere crimini».
«Grande uomo, la religione cristiana è buona e santa e non può condurre a nulla di male».
«Se questa religione è buona, come può far sì che uomini e donne si radunino per recitare delle preghiere? Voi siete venuto da Guiyang ma costei – disse indicando Agata Lin, arrestata forse durante o dopo l’interrogatorio di Girolamo, «che non è sposata? Cos’ha dunque in comune con voi, per riunirvi qui, se voi non state macchinando una rivolta o cose dannose o malvagie? In una parola, perché avete abbandonato la città di Guiyang?».
«Io dichiaro di aver ricevuto questa religione dai miei genitori. I nostri antenati ci hanno trasmesso questo modo di pregare. Come smetterei di pregare? Come potrei abbandonare la mia religione?».
«Chi pensa a preoccuparsi dei pagani che adorano gli idoli, in base alla tradizione dei loro antenati, o a forzarli a rigettare il culto che hanno ricevuto dai loro genitori e che vogliono conservare? Voi mi ordinate di rinunciare alla mia religione; io non ci rinuncio, e non mi pento di averla abbracciata».
«Vi interrogo ancora una volta: volete infine pentirvi?».
«Io non mi pento!».
«Ho saputo che gli abitanti di questo villaggio si lamentano che voi vi siete fermato qui più a lungo di quanto si possa tollerare. Bisogna assolutamente che vi pentiate; vi pentite, adesso?».
«Io non mi pento! La mia religione è l’omaggio supremo di tutti gli esseri al Principio sovrano. Come potrei rinunciare a questa religione? Io non mi pento!».
Il prefetto, vinto una seconda volta, gridò incollerito:
«Non vi pentite? Ebbene, siete condannato a morte! Non lo capite? Non l’avete capito?».
Successivamente, fu il turno di Agata Lin, che si dimostrò si dimostrarono altrettanto ferma nel non voler rinunciare alla fede. Di conseguenza, il mandarino pronunciò per tutti e tre la condanna a morte. Appena l’ebbe udita, Girolamo Lu Tingmei esclamò: «Gesù, salvaci!».
Il 28 gennaio 1858 si consumò il loro martirio, per decapitazione, presso la riva sinistra del fiume Ou. Si diffuse la voce che, al momento dell’esecuzione, tre fasci di luce, due rossi e uno bianco, fossero apparsi attorno a loro. Si disse anche che alcuni non cattolici, dopo la loro morte, avessero visto tre globi di luce salire in cielo. Alcuni loro amici, di notte, vennero a seppellirli.
Lorenzo Wang Bing e i suoi compagni di martirio vennero inclusi nel gruppo di 33 martiri dei Vicariati Apostolici di Guizhou, Tonchino Occidentale e Cocincina, il cui decreto sul martirio venne promulgato il 2 agosto 1908. La beatificazione, ad opera di san Pio X, avvenne il 2 maggio 1909.
Inseriti nel più ampio gruppo dei 120 martiri cinesi, capeggiati da Agostino Zhao Rong, vennero infine iscritti nell’elenco dei santi il 1 ottobre 2000, da parte del Beato Giovanni Paolo II.
Autore: Emilia Flocchini
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