Home . Onomastico . Emerologico . Patronati . Diz.Nomi . Ricerca . Ultimi . Più visitati




Newsletter
Per ricevere i Santi di oggi
inserisci la tua mail:


E-Mail: [email protected]


> Home > Sezione Testimoni > Mons. Angelo Fiorini Condividi su Facebook Twitter

Mons. Angelo Fiorini Vescovo di Pontremoli

Testimoni

Campiglia Marittima, Livorno, 17 gennaio 1861 – Pontremoli, Massa Carrara, 5 maggio 1929


Questa è la storia di un uomo di provincia che la Provvidenza volle inserire nelle grandi vicende della sua epoca e rendere giustamente famoso. Tutta la sua vita fu segnata da un provvidenziale incontro tra la sua volontà di ritiro e le contingenze che lo portavano al centro dell’attenzione. Si tratta di uomo di profonda religiosità e tradizione ma sorprendentemente moderno in alcune intuizioni dettate dal suo animo pratico e buono. Antonio Fiorini nacque a Campiglia Marittima il 17 gennaio 1861 dove i genitori, Giovanni e Benedetta Giannarelli di Sassalbo, si recavano a svernare. Questi buoni genitori non potevano permettersi una grande istruzione per un figlio che del resto si mostrava alquanto promettente sicché lo mandarono a stare dallo zio Fiorenzo Fiorini, chirurgo dentista di Massa e terziario francescano. Per la sua istruzione egli scelse la scuola dei fratelli delle scuole cristiane ancor oggi presenti a Massa. Dallo zio, con il quale ogni giorno andava a messa dai cappuccini, apprese la devozione e la bontà ma anche la finezza e nobiltà del tratto che lo distingueranno sempre. A soli undici anni entrò nel convento dei cappuccini di Piacenza, scelto personalmente dallo zio che conosceva bene le varie realtà religiose della zona e riteneva essere quello l’ambiente più adatto alla crescita del nipote. Qui vestì l’abito francescano l’11 ottobre 1876 e gli fu imposto il nome di Angelo in onore del beato Angelo d’Acri. Nome che si rivelerà una profezia: quel santo frate calabrese era infatti un famosissimo predicatore che veniva comunemente chiamato “Angelo della pace”. Tutte le testimonianze descrivono frate Angelo come un chierico esemplare, ma non possiamo nascondere che nella sua formazione attraversò anche un momento di forte tentazione in cui aveva risoluto di lasciare la vita religiosa e tornare a casa. Fu allora un sacerdote novello, padre Gabriele da Castelnuovo sotto a rivolgergli poche ma chiare parole per le quali Fiorini lo ringrazierà più volte nel corso della sua vita. Negli anni trascorsi a Piacenza ebbe la grazia di frequentare il santo vescovo Giovanni Battista Scalabrini che sarà anche colui che lo ordinerà sacerdote il 12 agosto 1883. Per la condotta esemplare, l’ottima capacità oratoria e i buoni risultati nello studio, i superiori lo nominarono immediatamente insegnante e direttore spirituale dello studentato di filosofia e poi di quello di teologia. Coinvolto nel clima di diffidenza che percorreva la Chiesa tutta in quegli anni verso le opere del beato Antonio Rosmini di cui egli era ammiratore e conoscitore profondo, rischiò di perdere la cattedra ma la prudente lungimiranza dei superiori che, preoccupati della sana dottrina furono anche in grado di riconoscere la sincerità intellettuale del padre Angelo, gli permise di restare lettore di filosofia nel convento di Parma fino all’episcopato. Struggenti sono le lettere scambiate con i superiori a questo proposito dalle quali non emerge alcuna intenzione difensiva ma solo una grande passione per gli studenti. Di mente naturalmente aperta e dotata, mentre insegnava volle frequentare come uditore i corsi di fisica e chimica dell’università di Parma e fu per suo interessamento e grazie al contributo di alcuni amici che si acquistò il primo laboratorio di scienze per gli studenti del convento. Lo appassionava soprattutto l’elettricità studiando la quale giunse a formulare un progetto sofisticato per evitare gli scontri ferroviari, studio di cui parlò più volte la stampa del ‘900 e fu pubblicato dal Genio Civile. Nel frattempo divenne anche direttore spirituale del Conservatorio di Parma e membro del tribunale della Penitenza della stessa diocesi. Venne eletto custode generale nel Capitolo del 1890 e definitore provinciale in quello del 1893. Diventò così protagonista della faticosa ripresa del suo Ordine che seguì alle dolorose soppressioni ottocentesche. Il 5 settembre del 1899 gli venne notificata l’elezione a Vescovo della diocesi di Pontremoli nel cui territorio era nato. Turbato dal pensiero di dover lasciare la semplicità del convento e della vita cappuccina di cui era sempre più innamorato, cercò di evitarlo in ogni modo ma si arrese all’inflessibile volontà di Leone XIII. La consacrazione episcopale avvenne il 26 novembre 1899 nella chiesa di San Vincenzo dove sedici anni prima era stato ordinato sacerdote e di nuovo il consacrante principale era lo Scalabrini. I conconsacranti erano mons. Tescari Vescovo di Borgo S. Donino, nel cui piccolo convento padre Angelo aveva trascorso un periodo del suo noviziato, e mons. Sarti Vescovo di Gaustalla. Successore di mons. Alfonso Mistrangelo, promosso alla guida dell’arcidiocesi di Firenze e alla dignità cardinalizia, mons. Angelo Fiorini era il settimo vescovo di Pontremoli. Quella di Pontremoli era una diocesi relativamente giovane, sorta per interessamento del Granducato di Toscana che voleva un Vescovo residenziale in quel paese di montagna cresciuto fino a diventare una città importante per la sua posizione divenuta strategica dopo la fondazione del porto di Livorno in quanto passaggio obbligato delle merci destinate al commercio con tutto il Nord. Arrivò a Pontremoli il 30 giugno 1900 con un treno da Parma, il giorno successivo fece l’ingresso ufficiale nella sua cattedrale dove si rivolse paternamente al popolo e finalmente il 2 luglio, nella festa più cara ai pontremolesi, quella della Madonna del popolo, celebrò il primo solenne pontificale. Quando mons. Fiorini divenne Vescovo di Pontremoli, era già inesorabilmente iniziato quel lungo processo di emigrazione che interesserà per decenni tutta la Lunigiana, terra bella ma poco produttiva e rimasta ormai marginale nel processo di industrializzazione. La religiosità era ancora forte ma il pericolo in agguato. Egli vi porrà sempre grande attenzione, per esempio con la lettera pastorale del 1913, la richiesta ai parroci di compilare appositi registri degli emigranti e di seguire da vicino le loro famiglie rimaste in Lunigiana. Possiamo dire una vera pastorale dei migranti ante litteram. Inoltre, proprio in quel periodo marxismo e anticlericalismo si affacciavano anche nella vita sociale e politica lunigianese. La sua controffensiva alla prevista devastazione sociale che di lì a poco ne sarebbe venuta si svolse su due piani: da una parte irrobustire la vita spirituale del suo popolo e dall’altra incarnare lui stesso, accanto ad una spiritualità elevata, quei valori scientifici, sociali e patriottici che l’anticlericalismo negava ai rappresentanti della Chiesa.
Prima sua cura fu il seminario, anche se a onor del vero si presentava già in ottimo stato per l’efficienza numerica, didattica ed economica. L’interesse del Vescovo fu quindi rivolto a implementarne la vita di pietà incontrando personalmente e spesso i seminaristi e facendo attenzione a individuare a allontanare quei soggetti che si avvicinavano al sacerdozio solo per il lustro delle rispettive famiglie e non per sincera vocazione, malcostume ancora abbastanza diffuso all’inizio del secolo ventesimo. Poi, decretò il riordino della già ricca biblioteca del seminario con l’aggiunta di opere contemporanee di ogni argomento. Per incrementare la qualità dell’insegnamento mandava i chierici migliori nelle università pubbliche perché conseguissero anche lauree civili. A questo teneva particolarmente, tanto che, quando nel 1915 si prospettò l’idea di fondare un Arcivescovado di Luni che comprendesse in una sola metropolia le diocesi di Massa, Pontremoli, la neonata La Spezia e la storica Sarzana, pur dichiarandosi entusiasta per il suo innegabile orgoglio lunigianese si rifiutò di aderire al progetto per il solo motivo che la dipendenza ecclesiastica da Pisa gli permetteva di mandare gratuitamente gli studenti nella sua prestigiosa università. Si oppose anche alla proposta di unificare il seminario a quello di Sarzana per il timore che con l’abitudine alla vita cittadina che là si svolgeva i suoi chierici avrebbero perso affezione alle povere parrocchie di montagna di cui la Lunigiana è per la maggior parte composta. Durante il suo episcopato compì sette visite pastorali a tutte le centotrenta parrocchie della diocesi molte delle quali raggiungibili solo a cavallo per ripidi sentieri. Consacrazioni di chiese, posa di prime pietre, benedizioni di nuove opere lo videro protagonista continuamente nelle varie parrocchie anche al di fuori delle visite pastorali. Grazie anche alla giovane età si recò più volte fin sulle vette delle montagne circostanti in compagnia dei giovani per benedire croci e cappelle e aderiva spesso agli inviti dei confratelli cappuccini per ogni sorta di celebrazione. Inoltre, era spesso richiesto per predicazioni ed esercizi spirituali in tutta Italia. Nel 1902 guidò il pellegrinaggio diocesano a Roma e partecipò nel 1907 al convegno regionale della gioventù cattolica toscana presieduta dal card. Pietro Maffi. Nel 1905 ebbe la gioia di veder riprendere l’offerta dei ceri che, dal tempo del voto fatto a Maria Santissima nel 1622, la città di Pontremoli faceva alla sua cattedrale; un segno di disgelo nei rapporti difficili della Chiesa con la pubblica amministrazione. Nella pastorale sociale, oltre all’attenzione agli emigranti, diede grande impulso alla società operaia cattolica. Si adoperò contribuendo anche personalmente alla realizzazione degli asili infantili a Bagnone e Villafranca e delle suole superiori femminili a Pontremoli le cui ragazze, a causa delle soppressioni degli istituti religiosi, erano rimaste senza possibilità di una istruzione in loco con i conseguenti disagi e pericoli di restare senza istruzione o di doversi trasferire altrove. Nel 1907 fondò il giornale diocesano “Il Corriere Apuano” e nel 1926 organizzò e presiedette il congresso eucaristico diocesano. Attento non solo ai vicini ma anche ai lontani, l’indomani del terremoto che distrusse Messina e Reggio Calabria nel 1908 indisse una colletta per tutta la diocesi aperta da una sua personale cospicua offerta.
Nonostante l’intensa preghiera per la pace, nel 1915 iniziò la prima guerra mondiale. Attento ai soldati al fronte ma anche alle famiglie rimaste senza la migliore manodopera, mons. Fiorini invitò i parroci a lavorare essi stessi con le famiglie perché non perdessero il frutto dei campi concedendo loro la facoltà di lavorare anche di domenica che sarebbe stata così santificata ancor più, diceva, da questa carità. Il 9 agosto dello stesso anno arrivò a Pontremoli il primo treno della Croce rossa carico di feriti: il Vescovo mise immediatamente a disposizione i locali del seminario per allestire l’ospedale militare e di persona si recò a visitare i feriti intrattenendosi senza fretta con ognuno. Nel 1916 invitò i parroci ad adoperarsi perché i famigliari dei caduti che ne avrebbero avuto diritto ricevessero la pensione: è un grande segno di premura per un mondo contadino in cui informazione e istruzione erano ancora scarse e molti avrebbero perso per ignoranza o incapacità questo diritto. Dopo la disfatta orribile di Caporetto mons. Fiorini si unì al coro dei moti Vescovi che, riaffermando il disappunto per una guerra inutile e dichiaratamente ingiusta, in quel momento seppero richiamare il popolo italiano al dovere e all’unità necessari per vincere quella nefasta situazione che ormai si imponeva di fatto in modo così appassionato da risollevare e unire davvero gli animi disgregati dalle lotte interne dei partiti. Si distinse così anche come rappresentante di quella lucidità, razionalità e concretezza caratteristica della Chiesa che ama l’uomo vero e reale e che invece spesso manca alle guide della società civile rese cieche dalle ideologie. Durante l’epidemia di spagnola seguita immediatamente alla guerra mons. Fiorini compilò addirittura una serie di consigli igienici molto precisi trasmessi al popolo attraverso i parroci. Il 7 luglio 1919, a coronamento di questo sano patriottismo, il Re lo nominò Commendatore dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, il prestigioso ordine dinastico di Casa Savoia. Ottimi furono anche i suoi rapporti con il fascismo, ma questa è un’affermazione che va collocata storicamente molto bene: uomo del dialogo, della ragionevolezza e della pace non poté non rallegrarsi del clima di distensione che il governo fascista portò in tutto il paese dopo i difficili rapporti con le amministrazioni filo massoniche precedenti, liberali o marxiste che fossero, e dei benefici che ricaddero a cascata sui rapporti sociali sanando molte lotte. Pur a capo di una diocesi di provincia non mancò di telegrafare al Papa, al Re e al Duce per complimentarsi della conciliazione raggiunta con i patti lateranensi. Al contempo invitò sempre il clero a non fare pubbliche manifestazioni politiche come la Santa Sede stessa aveva chiesto. E non macò di far sentire la sua voce di disapprovazione dalle pagine del Corriere Apuano alla notizia degli episodi di Pisa dove squadre di fascisti avevano devastato i locali dell’Azione cattolica.
Ecco ora qualche episodio colto qua e là per descrivere come possibile in poche righe la grande personalità del Vescovo Fiorini. Il 7 settembre del 1920 non ancora ripresosi da una pleurite seguita a una polmonite venne raggiunto dalla notizia che un violento terremoto aveva distrutto Fivizzano e i suoi dintorni. Vi si recò immediatamente con mezzi di fortuna e giunto sul posto, constatati di persona gli ingenti danni, non gli rimase che confortare i sopravvissuti e celebrare la messa all’aperto ma, oltre al conforto, in ogni paese visitato lasciò un’offerta in denaro. Nel pomeriggio si fece portare a Sassalbo dove poté vedere con i suoi stessi occhi la distruzione quasi totale del suo paese d’origine. Incontrò quindi il re Vittorio Emanuele III, scrisse al papa e pubblicò appelli su molti giornali nazionali per chiedere aiuto in ogni modo. Il 3 ottobre fu anche ricevuto in udienza privata dal papa che gli consegnò una ingente somma per la ricostruzione. Un altro giorno gli giunse un telegramma da uno sconosciuto che lo pregava di recarsi immediatamente a Brescia: sentiva che poteva far del bene e partì. Era un professore ateo che al tempo dell’università lo aveva pubblicamente dileggiato proclamando davanti a quel fraticello “Dio non esiste” e ora voleva riconciliarsi con Dio anche attraverso di lui. Mons. Fiorini gli rimase accanto riguadagnando così a Dio, con la sua prontezza e carità, un’anima traviata. Accoglieva con umiltà tutti gli atti di deferenza e devozione dovuti a un Vescovo senza falsa modestia ma dicendo di sentirsi come una statua che riceve omaggi non per sé ma per ciò che rappresenta. Rifiutò la proposta di Pio XI di assumere il governo della diocesi della Spezia incentivato anche dal conferimento del titolo personale di Arcivescovo ma rifiutò dicendo: “Santità, mi lasci tra i miei monti”. Si alzava sempre alle 5.30, si recava immediatamente in cappella dove tornava più volte durante il giorno e prima di andare a letto per pigliare, come diceva, la buonanotte dal Signore. A tavola continuò fino alla fine ad osservare tutti i digiuni francescani e all’inizio si faceva anche leggere un brano del Vangelo come sogliono fare i cappuccini ma smise quando si accorse che ciò era gravoso per il suo segretario che tornava da varie ore di insegnamento in seminario.
Fiaccato da una vecchiaia precoce dovuta alle fatiche del suo apostolato che lo avevano fortemente segnato anche nell’aspetto, ripeteva negli ultimi anni la preghiera del beato Arcivescovo di Milano card. Andrea Ferrari: “Signore, non mi date un episcopato decrepito”. Il 2 aprile del 1929, era il mattino di Pasqua, si recò come di consueto all’ospedale per la comunione agli ammalati ma nel pomeriggio si mise definitivamente a letto. Andò incontro alla morte con la serena tranquillità con cui ne aveva sempre parlato. La notte del 5 maggio, intorno alle due chiese il viatico al segretario e il Vicario generale gli amministrò la sacra unzione, poi, alle tre santamente spirò. Nell’epigrafe del monumento eretto nella cappella del Santissimo Sacramento della cattedrale di Pontremoli, l’amico card. Maffi, giocando con suo il nome, lo descrisse come “angelo e fiore di bontà e carità”.


Autore:
Emanuele Borserini

______________________________
Aggiunto/modificato il 2013-08-01

___________________________________________
Translate this page (italian > english) with Google

Album Immagini


Home . Onomastico . Emerologico . Patronati . Diz.Nomi . Ricerca . Ultimi . Più visitati