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Lucia Pisapia

Testimoni

1887 - 1982


Potrebbe decollare a breve la causa di canonizzazione di Lucia Pisapia, più familiarmente conosciuta come “Mamma Lucia”, cui si sta lavorando praticamente dall’indomani della sua morte. Perché i compaesani l’hanno considerata una santa già da viva e vorrebbero che anche la Chiesa la consideri tale. Nata a Cava de’ Tirreni nel 1887, da bambina viene ribattezzata “la briganta” per quella sua “mania” di andare in ospedale a consolare i moribondi, semplicemente tenendo la loro mano tra le sue, perché nessuno muoia senza sentire che qualcuno lo sta accompagnando per mano verso il trapasso. In famiglia questo non è gradito, perché si ha paura che porti in casa il contagio da tbc; e “briganta” diventa così per i suoi familiari, dato che disubbidisce per correre al letto di chiunque sia in procinto di passare all’altro mondo. Nel 1912 sposa Carlo Apicella, piccolo fruttivendolo di frutta secca, che la Grande Guerra risparmierà, rendendolo però permanentemente invalido. Quasi al termine della Seconda Guerra Lucia (ormai vicina ai 60 anni) scopre la sua “vocazione”: dopo aver visto un gruppo di ragazzini del paese giocare con un teschio, presumibilmente di un militare, recuperato chissà dove e preso a calci a mo’ di pallone, in un sogno premonitore si sente chiamare da otto soldati stranieri che, in un italiano stentato, la supplicano di restituire le loro salme alle rispettive mamme. Dal giorno successivo si dedica alla ricerca dei resti dei militari, rimasti insepolti o sommariamente seppelliti a filo terra, nei giorni concitati dell’avanzata degli Anglo-Americani su Napoli. In una grotta in collina trova i primi tredici cadaveri ammucchiati, poi altri venticinque, e poi ancora diciotto, addirittura cinquanta in un campo di patate: facendo ben attenzione a non danneggiare le coltivazioni e risarcendo di tasca sua il proprietario quando ciò è inevitabile. Com’è facile immaginare, perlopiù si tratta di militari tedeschi, cioè degli odiati “nemici” che hanno messo a ferro e fuoco l’Italia e che magari sono stati essi stessi uccisori dei ragazzi italiani. Ma trova anche americani, polacchi, marocchini, quanti cioè, da quando “pietà l’è morta” non hanno trovato degna sepoltura perché “non erano dei nostri”.  Per lei, invece, sono tutti "belli ‘e mamma", tutti figli di mamma, tutti uguali nelle sue amorose mani. Il “rituale” diventa così identico per tutti: la pietosa raccolta dei resti, la loro accurata pulizia, la decorosa sistemazione in cassette metalliche che fa realizzare a proprie spese, il loro trasporto in una chiesetta  sconsacrata che le è stata concessa in uso e che trasforma in camera ardente per quei suoi “figli”. Sono in molti a non capirla, molti la deridono anche, alcuni la invitano a “interessarsi dei vivi e non dei morti”, altri ancora la minacciano di non raccogliere i resti “dell’odiato tedesco”. Lei, diventata improvvisamente forte e volitiva, perennemente vestita a lutto perché di quei poveri ragazzi si sente davvero mamma, scavando con le sue mani o con l’aiuto di pochi e saltuari volontari pagati da lei, finisce per allineare nella chiesetta quasi ottocento piccole bare di altrettanti soldati. Su ognuna piange e prega, come farebbe ogni mamma per il proprio figlio. “«Non potevo avvertire la sua mamma. Pregavo io per lui, e come me pregavano mio marito, i miei figli, i miei nipotini (ormai me li ero conquistati tutti). Rinunciavo a tutto quello che potevo per raggranellare i soldi per queste cassette“, racconta Lucia. Di alcuni resti è possibile l’identificazione, grazie al ritrovamento di documenti o di piastrine militari: li riporterà lei stessa in Germania, per riconsegnarli alle rispettive famiglie e piangere insieme a quei genitori. Gli altri troveranno degna collocazione nel sacrario di Montecassino. Dalla Germania, nel 1951, arriva la Gran Croce dell’Ordine al Merito Germanico, nel 1959 l’Italia le conferisce la Commenda al Merito della Repubblica, Pio XII la riceve in udienza privata e Beniamino Gigli le dedica la canzone “Mamma”. Quando le forze non le consentono più di  proseguire nella sua pietosa opera, si ritira nella chiesetta, permanentemente in preghiera per i suoi tanti “belli di mamma”, pronta comunque a testimoniare ai giovani ed a quanti vanno a trovarla che l’amore non ha confini e che la pietà non si ferma davanti alle bandiere od alle ideologie. Nel 1982, a quasi 95 anni, si addormenta dolcemente per andare a conoscere i “figli” che aveva amato e onorato quaggiù.


Autore:
Gianpiero Pettiti

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Aggiunto/modificato il 2013-09-01

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