P. Giuseppe Maria nacque a Torino il 7 ottobre 1913 e venne battezzato con il nome di Luciano.
Entrò tra i Cappuccini a 16 anni e seguì il cammino formativo con molta determinazione e convinzione.
Durante gli anni di preparazione aveva maturato progressivamente la sua vocazione impegnandosi a vivere unicamente per il Signore e, come condizione indispensabile, a crescere nel rinnegamento di sé. Era diventato molto esigente ed austero con se stesso, in perenne allenamento per la conquista delle virtù cristiane.
Nel 1937 venne ordinato sacerdote e cominciò ad esercitare il ministero nella zona del saluzzese: predicazioni, missioni al popolo, ritiri, corsi di esercizi, direzione spirituale. La gente che lo andava ad ascoltare rimaneva colpita da questo frate dalla parola appassionata e dallo stile di vita decisamente orientato verso un cammino di santità.
I superiori gli affidarono ben presto incarichi di responsabilità: insegnante di Teologia morale e di Diritto canonico agli studenti cappuccini della Provincia, superiore della fraternità di Busca, definitore provinciale.
La sua tensione spirituale, la capacità di diffondere attorno a sé fervore e desiderio di santità e l’energia per perseverare gli venivano, per testimonianza unanime di quanti gli hanno vissuto accanto, dall’amore alla preghiera. Il suo dialogo con il Signore, assiduo, convinto, fedele e prolungato, era anche l’aspetto che più colpiva e che più si tentava di imitare. Chi gli passava accanto non distrattamente poteva facilmente avvertire quanto nella sua preghiera fosse presente Colui che lo attirava a sé giorno dopo giorno nel suo divino mistero.
Altra costante della sua spiritualità era la fede nella Provvidenza: occorre “fede, ma di quella!”, era solito dire a imitazione di san Giuseppe Benedetto Cottolengo. L’abbandono in Dio era un ritornello sulla sua bocca e la sostanza del suo agire.
Già fin dai primi anni del dopoguerra aveva iniziato a scrivere opuscoletti su questioni di Teologia pratica. Il suo stile rapido, conciso, che andava all’essenziale fu caratteristico di tutte le pubblicazioni che seguirono: dall’apologetica all’ascetica alla spiritualità, compresa una biografia di Suor Consolata Betrone, monaca cappuccina da lui personalmente conosciuta e di cui è stata introdotta di recente la causa di beatificazione.
Nell’assillo per i destini degli uomini si inserì la sua grande passione apostolica, diretta in modo preferenziale verso coloro che si sono allontanati dalla fede. Il Padre aveva percepito come nei nostri paesi di antica tradizione cristiana si stesse progressivamente affermando una presa di distanza dal cristianesimo, soprattutto tra le giovani generazioni. Comprese che per incontrare questa gioventù e parlare loro di Cristo occorreva prima di tutto stare in mezzo a loro, vivere come tutti, mescolati tra la gente, senza distinzione di abito né di lavoro, in una autentica condivisione di vita. Non lo avrebbe potuto fare lui, frate cappuccino e neppure una suora. Ma una ragazza “come loro”, sì.
Di qui l’intuizione di dare vita ad una forma di consacrazione laicale che, con la collaborazione di Santina Lancia, prima responsabile del nascente Istituto, ebbe inizio il 2 agosto 1945, festa francescana. L’opera, successivamente approvata come Istituto secolare, venne perciò intitolata “Santa Maria degli Angeli”.
Nel 1952 p. Giuseppe Maria venne trasferito a Torino presso la Parrocchia “Sacro Cuore di Gesù” e fu nominato Assistente regionale dell’Ordine Francescano Secolare, incarico che mantenne per ventidue anni. Era convinto che la spiritualità francescana, dove di fatto sono fiorite tra i laici vigorose personalità cristiane, fosse una stupenda scuola di santità adatta ad ogni età e a qualsiasi condizione di vita. La vita del p. Giuseppe Maria era però sempre intrecciata con quella di “Santa Maria”. I superiori disposero pertanto il suo trasferimento in un fraternità con minori attività pastorali. Nel 1968 tornò a Busca (Cn) dove, tranne qualche Messa domenicale nelle frazioni, era libero di attendere alle tantissime occupazioni che ormai lo assorbivano completamente.
Nell’ambito della missione tra i “lontani”, p. Giuseppe Maria ebbe iniziative sicuramente coraggiose e originali. In collaborazione con i membri dell’Istituto, egli cercò di entrare in dialogo con la gente utilizzando gli strumenti e il linguaggio della pubblicità, per provocare negli animi la nostalgia di Dio. Fecero così la loro comparsa nelle vetrine di alcuni negozi i primi cartelloni e i primi manifesti che facevano “pubblicità”, non alla saponetta o al detersivo, ma a Dio, a Cristo, ai fondamenti della fede cristiana.
Si dedicò, senza risparmio di energie, alla stesura di brevi pubblicazioni sull’esistenza di Dio e sui contenuti essenziali della fede, da diffondere gratuitamente ovunque possibile.
Si deve a lui la creazione dei cosiddetti “crocicchi”, attività commerciali gestite dalle sorelle consacrate, dove il manifesto con il corredo degli stampati viene collocato nel punto più strategico del locale, ben accessibile agli avventori. In tal modo viene garantita la fisionomia secolare dell’Istituto e contemporaneamente si aprono concrete possibilità di apostolato tra la gente.
Per organizzare meglio tutta questa attività, diede vita nel 1974 all’“Associazione Informazioni su Cristo”, associazione culturale che costituisce la modalità operativa della missione specifica dell’Istituto.
Ad essa fanno tuttora capo la creazione e la distribuzione del materiale di informazione sulla fede. Attraverso il mezzo pubblicitario, oggi anche on-line, si lanciano messaggi che cercano di sorprendere e far pensare ai valori che contano, Dio, Gesù Cristo, il senso della vita, l’esistenza di un oltre.
Vi collaborano i membri dell’Istituto, esperti in comunicazione e amici particolarmente sensibili a questa missione.
Gli ultimi anni della vita del padre furono contrassegnati dal progredire di una grave malattia che lo rese ogni giorno più conforme al Crocefisso.
Si avvertiva la trasformazione che si stava operando in lui e che talvolta egli stesso comunicava con tanta semplicità: “Il Signore da tre anni a questa parte mi sta sterminando. Accetto questo disegno di Dio. Lasciamo che il Signore ci lavori”. Più la malattia avanzava, più il padre sprofondava in questa volontà di abbandono in Dio: “Com’è buono il Signore! Mi ha tolto tutto. Devo pregare e amare, in un abbandono totale alla Provvidenza. Voglio fare solo ciò che vuole Lui”. Perché “non c’è niente di ciò che si fa che ha importanza. Solo il sì alla sua volontà conta”.
La sua è stata una sofferenza accolta in modo esemplare, sereno, senza un lamento fino alla conclusione della sua giornata terrena, la notte del 26 agosto 1990 a Verzuolo presso l’Oasi di San Grato, la casa di formazione dell’Istituto.
Autore: Daniele Bolognini
|