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Hongju, Corea del Sud, 1732 – 28 gennaio 1793
Pietro Wong Si-jang, a cinquantasette anni, aderì al Cattolicesimo poco tempo dopo la sua introduzione in Corea e si diede all’insegnamento del catechismo tra i suoi parenti e amici. Scoperto dalle autorità governative durante la persecuzione Sinhae del 1791, vene più volte torturato e percosso, ma non rinnegò mai gli insegnamenti che aveva ricevuto. Morì per le conseguenze di un’ultima tortura il 28 gennaio 1793. Inserito nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung, è stato beatificato da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.
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Pietro Wong Si-jang nacque nel 1732 a Hongju, nell’antica provincia del Chungcheong, da una famiglia di ceto umile. Tra il 1788 e i 1789, pochi anni dopo l’introduzione del Cattolicesimo in Corea, lui e suo cugino Giacomo Won Si-bo vi aderirono dopo averne ascoltato gli insegnamenti. All’epoca, Pietro aveva circa 57 anni. “Si-jang” era il suo nome da adulto, in base all’usanza, di stampo confuciano, in base alla quale i giovani che raggiungevano la maggior età ricevevano un nuovo appellativo.
Per approfondire il catechismo, Pietro lasciò casa sua per un anno. Durante quel periodo maturò una profonda convinzione: «La fede cattolica è una medicina per mantenere la vita umana viva per centinaia d’anni». Tornato a casa, spiegò a parenti e amici i punti cardine del catechismo: persuase tutti coloro che l’ascoltavano, pur non essendo ancora battezzato. Evidentemente, la grazia di Dio agiva già in lui.
Per il suo carattere feroce, era stato soprannominato “tigre”, ma, praticando le virtù cristiane, s’ingentilì. Distribuì la sue sostanze ai poveri e si diede all’insegnamento del catechismo ai suoi vicini. Fu proprio per questa sua attività che divenne noto alle autorità civili.
Con l’esplosione della persecuzione Sinhae nel 1791, la polizia venne ad arrestare Pietro e Giacomo: il secondo riuscì a fuggire grazie all’avviso di alcuni amici, l’altro venne catturato e portato all’ufficio governativo di Hongju. Immediatamente sottoposto a interrogatorio, non si piegò e affermò: «Non posso tradire né il Signore né i miei compagni cristiani, e neppure dire dove sono i libri della Chiesa».
Il magistrato che l’interrogava ordinò di percuoterlo sulle natiche per settanta volte. Ciò nonostante, lui esprimeva continuamente la propria fedeltà a Dio, ai genitori e all’insegnamento della religione cattolica.
Durante la sua prigionia, Pietro venne spesso richiamato dal giudice per essere invitato ad apostatare, ma, invece di ritrattare, continuava a spiegargli le verità di fede. Nel frattempo, ricevette la visita di un fratello nella fede, che lo battezzò.
Il magistrato dello Hongju riferì l’andamento della vicenda al governatore e ricevette l’ordine di picchiare il prigioniero fino a farlo morire. Dopo ulteriori torture, tentò di convincerlo ad apostatare facendo appello al suo amore paterno. Pur sentendo parlare dei suoi figli, Pietro replicò: «Il mio cuore è profondamente commosso dalle storie dei miei bambini, ma, dato che il Signore stesso mi chiama, come posso rifiutarmi di rispondere alla Sua chiamata?».
Il magistrato, volendo concludere il caso il prima possibile, ordinò che Pietro, secondo l’uso, ricevesse il suo ultimo pasto prima di essere percosso a morte. Nonostante ciò, lui rimase ancora in vita. A quel punto, venne condotto all’esterno e gli venne versata sul capo dell’acqua, che congelò all’istante (era il 28 gennaio 1793). L’uomo trascorse i suoi ultimi momenti meditando sulla Passione di Gesù e, offrendo la sua vita a Dio, emise la sua ultima preghiera di rendimento di grazie.
Pietro Wong Si-jang, inserito nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung, è stato beatificato da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.
Autore: Emilia Flocchini
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