Per ribattezzarla “missionaria della gioia”, gioiosa deve essere sul serio. E se è vero che l’umorismo è l'arte di trasformare le cose della vita in un sorriso, lei allora è pure una gran umorista, per le allegre battute, i piacevoli scherzi e i fraterni sollazzi con cui condisce le sue giornate.
E pensare che, agli inizi, c’è davvero poco da ridere nella vita di Fernanda Riva, ad appena tre mesi già orfana di padre e a 18 mesi chiamata pure a fare i conti con la morte della sorellina di nove anni. Buon per lei che sua mamma non è abituata a piangersi addosso e subito si rimbocca le maniche, per continuare a garantire ai suoi bambini pane e sorriso.
Per questo crescono coscienziosi, maturi e temprati alla vita; i due maschietti provano a verificare in seminario la loro vocazione sacerdotale: uno rientra a casa e si forma una famiglia, l’altro diventa sacerdote pavoniano e va missionario in Brasile.
Lei, la femminuccia superstite, decide dopo la terza ginnasio di interrompere gli studi, spinta forse soprattutto dalla situazione economica della famiglia. Difatti, mentre lavora da commessa in una merceria, studia di sera con il sogno di raggiungere da privatista il diploma di maestra.
’Azione Cattolica forma in lei l’ossatura della vera cristiana ed infiamma la sua giovinezza con gli ideali di Azione – Preghiera - Sacrificio.
L’oratorio è la sua seconda casa e ne diventa anche animatrice, lasciandosi coinvolgere dalle dinamiche Madri Canossiane che propongono buone letture e drammatizzazioni, gare di catechismo e gite in bicicletta, spingendola a dare il meglio di sé anche nei tornei di pallavolo. E poiché da cosa nasce cosa, frequenta anche con piacere i congressini missionari e i ritiri mensili, sempre organizzati dalle Canossiane, di cui comincia a desiderare di far parte.
Si tratta del “suo” segreto, che svela solo al compimento dei 18 anni, quando comunica di voler diventare madre canossiana, esattamente come quelle che sono state così importanti nella sua formazione cristiana.
Inizia il noviziato a Vimercate nel febbraio 1939, ma sette mesi dopo, visto che la guerra incombe, la mandano a proseguirlo a Belgaum, in India. «Sono felice di andare là dove Gesù mi chiama ed ha preparato per me una grande famiglia che mi aspetta e mi ama prima ancora di conoscermi», dice lei, che per la gioia non sta più nella pelle.
Trova, nell’India che l’accoglie, la questione ancora aperta dell’indipendenza, che proprio in quegli anni si va affermando con la resistenza non violenta di Gandhi, e le mille contraddizioni delle sacche di miseria e dell’opulenza sfacciata.
Per madre Fernanda l’educazione rappresenta il modo migliore di dimostrare carità cristiana e secondo il carisma della Congregazione, si spende principalmente in campo educativo. Per questo, dopo la Professione, accetta di riprendere gli studi, coronati con la laurea a Bombay e successivamente con la qualifica per la docenza universitaria. Ovviamente agli studi personali deve dedicare le ore notturne, perché le sue giornate sono tutte assorbite dalle studentesse.
«La sua gentilezza e gioia costante avevano un effetto magnetico sulle ragazze. Con il sorriso sempre sulle labbra diffondeva pace e serenità tra le studentesse; durante la ricreazione contagiava tutti con la sua gioia», ricorda una consorella.
essuno tuttavia dimentica che a lei stanno altrettanto a cuore i poveri delle periferie per i quali si inventa il Social Service Samaj, una specie di servizio civile che vede impegnati studenti e docenti a ciò invogliati anche da particolari crediti formativi.
Nel 1951, quindi poco più che trentenne, diventa preside del complesso scolastico Canossiano di Mahim, alla periferia di Bombay e, due anni dopo, magnifico rettore della prima università femminile nello stato del Kerala.
Ribattezzata “angelo delle piccole attenzioni” nelle varie comunità canossiane in cui vive ed opera per la delicatezza che riserva a consorelle ed alunne, briosa, allegra, gioiosa, amante degli scherzi innocenti e anima di tutte le feste e i momenti di fraternità, assiste impotente al declino delle proprie forze a causa di un’ulcera maligna che la costringe ad un delicato intervento chirurgico, non sufficiente tuttavia ad evitare la diffusione di metastasi.
«Sperando una dolce accoglienza da TE, Maestro, che gioia è il morire per me», scrive a 36 anni non ancora compiuti: ormai è pronta a fare «il salto sulle ginocchia del Padre», che avviene all’alba del 22 gennaio 1956.
Di madre Fernanda sono state riconosciute le virtù eroiche e si attende il miracolo per la beatificazione.
Autore: Gianpiero Pettiti
Madre Fernanda Riva nacque a Monza il 17 aprile 1920, ultima di quattro figli, in una famiglia profondamente religiosa. A soli tre mesi perdette il padre, tuttavia crebbe con la sapiente guida materna e sentì ben presto l’attrattiva del Signore, imparò ad amarlo e a parlare con Lui nella preghiera.
«Fin dal mattino ti cerco, mio Dio!»
Nell’Azione Cattolica e all’oratorio presso le Madri Canossiane partecipò con impegno alle varie iniziative, formandosi ad un’intensa vita spirituale e maturando una viva sensibilità apostolica. Con il suo entusiasmo, ma anche con il suo tatto discreto, riusciva ad attirare anche le amiche all’oratorio e alla frequenza del catechismo domenicale.
Intelligente e volitiva, aveva superato brillantemente le classi ginnasiali, ma non proseguì gli studi per poter aiutare la famiglia. Si impiegò come commessa, pur continuando a studiare privatamente per superare l’esame di ammissione al Corso Superiore dell’Istituto Magistrale.
Intanto il Signore l’attirava sempre più a Sé. Scrive lei stessa che i suoi inviti a seguirlo erano così insistenti, che non poteva che rispondere con entusiasmo. La sua vocazione si delineò chiaramente come missionaria.
«Eccomi, Signore!»
Nel 1939 entrò nel Noviziato Missionario di Vimercate. Dopo pochi mesi, sia per la serietà e l’impegno con cui aveva abbracciato la vita religiosa, sia per la sua preparazione spirituale e culturale, venne mandata in India ove a Belgaum proseguì il Noviziato. Si rivelò subito una novizia esemplare nello svolgimento dei suoi doveri, particolarmente nell’obbedienza, nell’impegno della comprensione di nuove culture e nell’apprendimento di nuove lingue.
Il suo ardente anelito alla santità la spingeva ad un programma di vita spirituale molto esigente.
«Mio Signore, sono tua, tua per sempre!»
(dai suoi scritti)
Dopo la Professione, che la colmò d’indicibile gioia, con serenità e insieme con decisione, accettò di riprendere gli studi, sempre a Belgaum. Superò in modo brillante l’esame di ammissione all’Università che poi frequentò con successo. Lei però del successo non si curava. Gesù era l’unico scopo delle sue fatiche e per lui voleva divenire la migliore insegnante.
La sua bontà e il suo andare incontro con gioia e naturalezza ai bisogni altrui le guadagnarono stima ed affetto nella scuola. In Comunità le Sorelle rimasero edificate dalla sua generosità nel prestarsi umilmente per vari servizi, riservando allo studio le ore serali. Era insomma «l’angelo delle piccole attenzioni», sempre ilare e cordiale.
«Amare vuol dire donarsi»
Dopo la laurea ed in seguito ad ulteriori specializzazioni a Bombay, venne qualificata alla docenza universitaria. Nel 1951 fu nominata Preside del grande complesso scolastico canossiano di Mahim, un sobborgo di Bombay. Due anni dopo cominciò a dare segni di notevole indebolimento fisico e dovette anche sottoporsi ad un primo intervento chirurgico. Seguì un periodo di riposo. Rimessasi un poco, venne trasferita ad Alleppey, nell’attuale Kerala dove, per volere dell’autorità ecclesiastica, stava sorgendo un’Università femminile. Madre Fernanda ne seguì gli inizi e si adoperò in tutti i modi per dotarla di adeguate attrezzature. A lei fu affidata la Presidenza della nuova Università. Si dedicò anche all’insegnamento e promosse un’intelligente e sapiente azione formativa, coinvolgendo insegnanti e famiglie e cercando di creare unità e armonia tra le alunne, diverse per estrazione sociale e per credo religioso, tutte singolarmente accolte ed amate.
Animatrice instancabile di una pluralità di iniziative, attenta anche alla nuova realtà dell’India, che era divenuta indipendente, sapeva realizzare un’autentica educazione integrale della persona con sapienza cristiana e secondo lo spirito del proprio Istituto, che la portava a privilegiare le alunne più deboli e bisognose.
Il segreto della sua riuscita stava nel vivere profondamente la sua realtà di religiosa canossiana che sapeva donarsi con gioia, pur seguendo un severo ed esigente cammino di ascesi, ben documentato dalle sue annotazioni spirituali.
Fonte:
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www.postulazionecanossiana.org
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