Pietro Jo Suk, detto Myeong-su (“Suk” era il suo nome da adulto, secondo le consuetudini coreane), nacque a Yanggeun, nel distretto di Gyeonggi, da una famiglia nobile. Durante la persecuzione Shinyu, esplosa nel 1801, si rifugiò nel distretto di Gangwon, presso l’abitazione di sua madre.
Crescendo, dimostrò di essere molto intelligente, dotato, gentile e molto maturo per la sua età. Tuttavia, influenzato dall’ambiente circostante, prese a trascurare la religione cattolica cui era stato educato. Tornò alla fede a diciassette anni, quando sposò Teresa Kwon Cheon-rye.
Quest’ultima, nata a Yanggeun nel 1784, era figlia di Francesco Saverio Kwon Il-sin, uno dei primi cattolici coreani, perito durante la persecuzione Sinhae del 1797; sua madre, invece, morì quando lei aveva sei anni.
Sin da bambina si distinse per virtù e per fede. Crescendo, cercava di portare amore e pace tra i suoi familiari con gentilezza e carità, anche in mezzo alla persecuzione Shinyu, esplosa quando aveva diciott’anni.
Rimasta sola al mondo, Teresa decise di trasferirsi a Seul con un nipote e di dedicare la propria verginità a Dio. Tuttavia, i parenti andarono a trovarla e le fecero presente che la società coreana poneva degli ostacoli per una donna sola. A quel punto, accettò la loro proposta e, a vent’anni, venne data in sposa a Pietro Jo Suk.
Il suo proposito, tuttavia, non era un’idea passeggera. La prima notte di nozze, infatti, Teresa consegnò al neo-sposo una lettera, nella quale gli domandava di poter vivere restando vergine lei e celibe lui. Commosso dalla sua determinazione, lui accettò la proposta e ritornò allo zelo di un tempo.
La fede di entrambi si accresceva sempre più. Trascorrevano il loro tempo in preghiera, nella proclamazione del Vangelo e nella quotidiana offerta dei propri sacrifici. Anche se erano poveri di per sé, sapevano dare in elemosina a chi stava peggio di loro. A volte Pietro si sentiva tentato a venir meno al suo impegno di celibato, ma con l’aiuto di Teresa resistette.
Insieme provvidero ad aiutare il compagno di fede Paolo Jeong Ha-sang (o Chong Hasang) per organizzare un viaggio a Pechino, allo scopo di ottenere dei sacerdoti missionari per il Paese. Lo stesso Paolo, insieme alla vedova Barbara Ko, li aiutava nel loro operato.
Tuttavia nel marzo 1817, proprio mentre lui si trovava a Pechino, la polizia irruppe nell’abitazione: aveva appreso che Pietro era cattolico. Teresa lo seguì volontariamente e fu imprigionata con lui e con Barbara.
L’ufficiale incaricato di sottoporli all’interrogatorio usò tutti i mezzi possibili per far svelare loro dove si trovassero gli altri credenti, ma non ottenne di far aprire loro bocca. Quando fu il turno di Teresa, lei rispose: «Il nostro Signore è il Padre di ogni essere umano e il Padrone di tutte le creature. Come posso rinunciare a Lui? Quando uno tradisce i propri genitori, non può essere perdonato. Quindi, come possiamo tradire Dio che è Padre di tutti?».
Dopo ripetute torture e altri interrogatori, il giudice comprese che non avrebbero cambiato idea e li rimise in prigione. Ogni volta che Pietro si sentiva debole e scoraggiato, Teresa era accanto a lui per chiedergli di restare fedele, cosicché entrambi potessero morire per Dio. Con Barbara al loro fianco, rimasero in carcere per più di due anni, in condizioni miserande, ma incrollabili quanto alla fede.
Infine, un giorno successivo al 10 agosto 1819 (20 giugno per il calendario lunare), Pietro, Teresa e Barbara vennero decapitati. Lui aveva trent’anni, la moglie trentacinque. Un mese dopo, ai fedeli rimasti fu concesso di prelevare i loro cadaveri. Le reliquie, tra le quali c’era una lunga treccia dei capelli di Teresa, conservata in un cesto, vennero custodite in casa di Sebastiano Nam I-gwan. Molti, aprendo il contenitore, affermarono di sentire un dolce profumo.
I due sposi e la loro compagna, insieme al fratello di Teresa, Sebastiano Kwon Sang-mun, che venne martirizzato durante la persecuzione del 1801, sono stati inclusi nei 124 martiri beatificati da papa Francesco il 16 agosto 2014, durante il suo viaggio apostolico in Corea del Sud. Paolo Jeong Ha-sang e Sebastiano Nam I-gwan, invece, sono stati canonizzati insieme ad altri 101 credenti coreani da san Giovanni Paolo II, il 6 maggio 1984.
Autore: Emilia Flocchini
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