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Beata Maria Engrazia (Josefa) Lecuona Aramburu Vergine visitandina, martire

18 novembre

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Oyarzun, Spagna, 2 luglio 1897 - Madrid, Spagna, 18 novembre 1936

Josefa Joaquina Lecuona Aramburu nacque il 2 luglio 1897 a Oyarzun presso Guipúzcoa, nella comunità autonoma dei Paesi Baschi. Dopo un’infanzia e un’adolescenza trascorse a lavorare per sostenere la sua famiglia, entrò nel Primo Monastero della Visitazione di Madrid il 7 dicembre 1924. Con la vestizione religiosa, cambiò nome in suor Maria Engrazia. Era una delle sorelle esterne, addette alla foresteria e ai contatti con il resto del mondo. Svolse il suo incarico anche quando la comunità dovette trasferirsi a Oronoz, perché minacciata dai disordini che anticipavano la guerra civile spagnola. Fu una delle sette monache che, per ordine della superiora, rimasero nel monastero di Madrid a partire dai primi mesi del 1936. Dopo aver trascorso cinque mesi in uno scantinato vicino al monastero, il 18 novembre 1936 le monache furono prelevate da una pattuglia di miliziani anarchici: vennero fucilate mentre, tenendosi per mano, scendevano dal camion che le aveva condotte fuori città. L’unica superstite, suor Maria Cecilia, venne uccisa cinque giorni dopo. Insieme a lei e alle proprie compagne di martirio, suor Maria Engrazia fu beatificata dal Papa san Giovanni Paolo II il 10 maggio 1998 a Roma. I suoi resti mortali sono venerati nella cripta del monastero di calle Santa Engracia a Madrid.

Martirologio Romano: Presso Madrid in Spagna, beate Maria del Rifugio (Maria Gabriella) Hinojosa y Naveros e cinque compagne, vergini dell’Ordine della Visitazione di Santa Maria e martiri, che, durante la persecuzione, benché chiuse in monastero, furono arrestate con l’inganno dai miliziani e andarono incontro a Cristo Sposo uccise a fucilate.


I primi anni
Josefa Joaquina Lecuona Aramburu nacque il 2 luglio 1897 a Oyarzun presso Guipúzcoa, nella comunità autonoma dei Paesi Baschi. Era la maggiore dei quattordici figli di Pedro e Matilde, profondamente cristiani.
Si distinse sin da piccolissima per l’intelligenza e il senso di responsabilità. Imparò dai genitori l’amore per il lavoro e, soprattutto, a servire Dio, ad amarlo con tutto il cuore e a rendere felici quanti la circondavano. Dopo aver ricevuto la Prima Comunione, alla quale era stata preparata da sua madre, sentì sempre più forte il desiderio di andare in chiesa.

Un’adolescente laboriosa e penitente
A tredici anni, per aiutare la sua famiglia, andò a lavorare in una fattoria non distante da casa sua. Tornò a casa dopo due anni, ma trovò impiego in una famiglia di San Sebastián, insieme a sua sorella Juanita, che testimoniò: «Andavamo alla Messa delle 6 nella chiesa di Santa Maria. Lei aveva una specie di Rosario e, ogni volta che commetteva una colpa, faceva scorrere un grano e ogni sabato confessava tutte le colpe commesse. Aveva una corona di spine fatta da lei e se la metteva sulla spalla su cui si appoggiava; in questo modo faceva penitenza mentre pregava, per imitare Gesù. Se le dicevo qualcosa replicava: “Gesù faceva di più”».

Un rimprovero per il padrone di casa
Lavorò poi per una terza famiglia, a Rentería. Lì il padrone di casa costringeva tutti i familiari a un regime alimentare vegetariano, ma solo lui si concedeva di mangiare carne. Un venerdì, Josefa Joaquina preparò di magro per tutti: quando il padrone protestò, lei ribatté di aver ragione. Da allora, il sistema fu cambiato, ma il fisico della ragazza, già molto esile, ne risentì.
Nella sua casa aprì una scuola affinché i bambini dei paraggi imparassero la dottrina cristiana; con loro aveva una gran pazienza. Devota alla Vergine Maria tanto da essersi consacrata a lei, manifestò ai familiari di essere decisa a entrare in monastero. I suoi genitori accettarono di lasciarla partire, provando da una parte dispiacere, dall’altra gioia per la sua scelta.

Nel Primo Monastero della Visitazione di Madrid
Ai Vespri dell’Immacolata del 1924, quindi, Josefa Joaquina entrò nel Primo Monastero della Visitazione di Santa Maria a Madrid. L’8 ottobre seguente vestì l’abito e cambiò nome in suor Maria Engrazia.
Anche in monastero non perse il buon umore che la caratterizzava quando viveva ancora in famiglia. In una lettera scrisse: «Sono sempre tanto piena di gioia, che non faccio altro che ridere per qualsiasi cosa. E come possiamo stare tristi se viviamo nella casa di Dio?».
Altrove: «Nel mezzo delle mie corse e cadute sono ogni volta più felice, perché mentre le cadute non sono volontarie non dobbiamo aver paura e quanto più grande sarà la nostra piccolezza e fragilità, tanto maggiore dev’essere la nostra fiducia in Gesù che, prendendoci per mano, ci condurrà alla sua gloria quando meno lo pensiamo».
Confessò poi in una missiva ai genitori: «Tutta la mia felicità consiste nel mantenere la mia volontà completamente unita a quella di Dio, infatti nulla voglio, se non ciò che Lui vuole e ciò che Lui permette».

La diaspora e il ritorno
Nel 1931, dopo la proclamazione della Seconda Repubblica spagnola, iniziarono a verificarsi incendi di chiese e di edifici sacri, anche a Madrid. Le monache sapevano qualcosa di ciò che stava accadendo, anche se non nei minimi dettagli.
Quando anche il monastero era sul punto di essere dato alle fiamme, madre Maria Gabriella Hinojosa Naveros, la superiora, riunì la comunità, composta da ottantatré suore: diede l’ordine di indossare abiti secolari e di uscire a piccoli gruppi. Sarebbero state scortate da parenti e amici: chi di loro non avesse avuto nessuno che le potesse accogliere, poteva rifugiarsi dai familiari delle altre.
Il 21 maggio, dieci giorni dopo l’evacuazione forzata, le Visitandine poterono fare ritorno dalle case dov’erano disperse. Tuttavia, la situazione non sembrava tornare pacifica. Per questa ragione, dopo un tentativo andato a vuoto di essere ospitate dalle consorelle in Belgio e in Francia, le monache si trasferirono ad Oronoz in Navarra, dove rimasero fino al marzo 1932.
In quel tempo di esilio, suor Maria Engrazia, che era una sorella esterna, ossia addetta alle comunicazioni esterne al monastero, fece tutto il possibile per ottenere il necessario alla sussistenza della comunità.

All’epoca della guerra civile
Nei primi mesi del 1936, poiché continuava a non esserci tranquillità, la comunità fuggì di nuovo a Oronoz. Tuttavia, non volendo lasciare completamente abbandonato il monastero, la nuova superiora, madre Leocadia Aparici, stabilì che sette suore rimanessero tra le sue mura. Raccomandò poi che restassero unite quanto più fosse stato possibile, senza separarsi l’una dall’altra.
Suor Maria Engrazia era una delle sette, insieme alla già citata suor Maria Gabriella, a suor Teresa Maria Cavestany Anduaga, suor Giuseppa Maria Barrera Izaguirre, suor Maria Agnese Zudaire Galdeano, suor Maria Angela Olaizola Garagarza e suor Maria Cecilia Cendoya Araquistain.

Un tempo di attesa
Nei quattro mesi seguenti, le monache cercarono di condurre la loro vita ordinaria, prima in monastero, poi in un seminterrato preso in affitto come nascondiglio. La portinaia, che voleva molto bene alle monache, dichiarò che suor Maria Engrazia attendeva con ansia il momento in cui avrebbe reso la sua suprema testimonianza, esclamando di tanto in tanto: «Il martirio è già vicino: che gioia! Ah, i miliziani non vengono ancora per noi! Come si fa lunga l’attesa!».
La sua tensione spirituale era costante, come fanno capire queste parole scritte a una delle sorelle: «Oggi... ho formulato un proposito saldo d’iniziare a lavorare veramente a questo affare, che è il più importante di tutti gli affari, cioè la santificazione della nostra anima».

La denuncia
Tuttavia, a metà agosto, l’andirivieni di suor Maria Engrazia e di suor Maria Angela, anche lei sorella esterna, cominciò a destare sospetti: una donna denunciò la presenza nel rifugio. Lo scantinato fu perquisito più volte, ma le religiose, anche se non fu trovato nulla che le potesse incolpare, sentivano che la loro fine era imminente.
A novembre, dopo cinque mesi di permanenza, suor Maria Gabriella comunicò alle altre che il portinaio offriva loro la possibilità di fuggire una per volta, a intervalli separati, verso rifugi sicuri. Tutte rinnovarono la scelta di restare unite. Quando possibile, ricevevano la Comunione o perché qualche sacerdote, di nascosto, veniva a celebrare la Messa, o perché veniva portata dalla sorella di suor Teresa Maria.

Il martirio
Il 17 novembre 1936, dopo la quarta perquisizione, i miliziani si congedarono con un saluto che sapeva di minaccia: «A domani!». Quando si furono allontanati, suor Maria Engrazia esclamò: «Che peccato aver perso un’occasione tanto buona di andarcene in cielo con Nostro Signore!», e aggiunse: «Il Signore ci annuncia che da un momento all’altro ci darà la palma del martirio”». Le monache trascorsero il giorno successivo pregando e digiunando.
La sera seguente, si presentò loro una pattuglia della FAI (Federazione Anarchica Iberica) per caricarle su un camion. Mentre uscivano in strada, tutte si fecero il segno della croce. Qualcuno tra la folla che si era radunata ammirava il loro coraggio, ma altri gridavano: «Dovrebbero fucilarle qui sul posto, perché facendo il segno della croce ci sfidano».
Dopo un breve tragitto, furono condotte fuori città. Scese dal mezzo, si presero per mano, a due a due, per farsi coraggio: furono subito abbattute con scariche di fucili. Suor Maria Gabriella teneva per mano la più giovane di esse, suor Maria Cecilia: appena lei fu caduta, però, l’altra monaca fuggì impaurita nella notte. In seguito, si consegnò ai miliziani e venne uccisa all’alba del 23 novembre 1936, davanti al muro del cimitero di Vallecas, fuori Madrid.

La causa di beatificazione
Il nulla osta per l’avvio della causa di beatificazione delle sette Visitandine di Madrid porta la data del 2 luglio 1985. L’inchiesta diocesana, avviata a Madrid il 29 ottobre 1985, si concluse il 26 aprile 1989 e ottenne la convalida degli atti il 6 dicembre 1991.
La “Positio super martyrio”, consegnata nel 1992, è stata esaminata dai Consultori teologi della Congregazione delle Cause dei Santi il 4 ottobre 1996 e, il 3 giugno 1997, dai cardinali e dai vescovi membri della medesima Congregazione.
Il 7 luglio 1997, il Papa san Giovanni Paolo II autorizzò la promulgazione del decreto con cui suor Maria Engrazia e compagne venivano dichiarate ufficialmente martiri. Lo stesso Pontefice le beatificò il 10 maggio 1998 a Roma, fissando la loro memoria liturgica al 18 novembre, giorno della nascita al Cielo di tutte, tranne che di suor Maria Cecilia.
I resti mortali di suor Maria Engrazia, suor Maria Gabriella, suor Maria Agnese e suor Teresa Maria sono venerati nella cripta del monastero di calle Santa Engracia a Madrid, mentre quelli di suor Maria Angela, suor Maria Cecilia e suor Giuseppa Maria riposano nella chiesa dell’abbazia della Santa Croce al “Valle de los Caidos” (diventato poi tempio della riconciliazione nazionale) di Madrid, precisamente nella cappella del Santo Sepolcro.


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2020-08-05

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