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San Niceta di Remesiana Vescovo

22 giugno

335-414 circa

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Commemorazione di san Niceta, vescovo di Remesiana in Dacia, nell’odierna Serbia, che san Paolino da Nola celebra in un suo carme per aver insegnato il Vangelo ai barbari rendendoli come pecore condotte in un ovile di pace e perché coloro che un tempo erano una popolazione incolta e dedita alle ruberie avevano ora imparato a far risuonare Cristo in un cuore romano.


Remesiana, ora Bela Palanka, ad una quarantina di Km. a Sud-Est di Nisch (Naissus) in Serbia, sull'importante via di comunicazione tra Belgrado (Singidunum), Sofia (Sardica) e Costantinopoli, apparteneva all'antica Dacia Mediterranea, politicamente riunita da Teodosio all'Oriente (379), ma ecclesiasticamente dipendente dal patriarcato di Roma, e costituiva un punto d'incontro tra le lingue e le culture greca e latina.
Le fonti della Vita di Niceta sono: s. Paolino di Nola (Ep. 29. 14; Carmi, 17 e 27); Gennadio (De vir. ill., 22); Cassiodoro (De instit. divin. litterarum, 16).
La figura di Niceta di Remesiana è rimasta incerta nella tradizione, perché talora confusa con quelle dell'omonimo vescovo di Aquileia (454-485) e di Nicezio di Treviri (527-566). L'orientamento attuale, che identifica il Niceta menzionato da Gennadio con l'apostolo della Dacia cantato da s. Paolino e non con il vescovo di Aquileia, come voleva il Braida nella sua ed. degli scritti di N. (Udise 1810; v. la sua Dissertatio in S. Nicetam, in PL, LII, coli. 875-1134), è dovuto agli studi di G. Morin, i cui risultati furono confermati da A. E. Burn nell'ampio studio introduttivo all'ed. degli scritti del santo.
L'episcopato di Niceta si protrasse per ca. cinquantanni: era già vescovo nel 366-367, perché è nominato tra i destinatari di una lettera inviata da Germinio di Sirmium (Mitrovitza) ai vescovi della regione ed è ancora destinatario d'una lettera di Innocenzo I del 414.
S. Paolino informa che « il venerato e dottissimo vescovo venne a Roma dalla Dacia e fu meritamente ammirato dai Romani » (Ep. 29, 14). A Roma, venne almeno due volte, nel 398 e nel 402 e fu anche a Nola a visitare il sepolcro di s. Felice e l'allora santo sacerdote Paolino (vescovo nel 409). Questi, dopo la prima visita, dedicò a Niceta che par tiva un carme d'accompagnamento (propempticon) in ottantacinque strofe saffiche.
Questo carme, assieme al carme 27, è fonte, quasi unica, per tratteggiare la figura e l'opera di Niceta, evangelizzatore, fondatore di monasteri tra i barbari, santo di fede adamantina e di profonda pietà, tutto permeato di spirito romano. Cantando il viaggio di Niceta, Paolino nomina i popoli ai quali il santo vescovo predicò il Vangelo, in regioni molto più vaste della sua circoscrizione episcopale: Daci, Geti, Bessi e Sciti, i quali ora « attendono il loro padre, come il campo riarso attende la pioggia o il vitello le poppe materne ». «Sotto la guida di Niceta, i Bessi, più duri del loro ghiaccio, sono diventati miti pecorelle e si sono radunati in una pacifica coabitazione». «Monti, prima impervii e insanguinati, ospitano ora ladroni convertiti, che imparano dai monaci pensieri di pace». «In una squallida regione del mondo (la Dacia) i rozzi abitanti imparano a cantare le lodi di Cristo con cuore romano ». Opera dunque di civilizzazione e di cristianizzazione nello spìrito romano, che caratterizza Niceta « vero Israelita senza frode, che vede Dio con l'occhio d'una granitica fede».
Nel 402 la festa di s. Felice fu rallegrata a Nola dalla presenza del santo vescovo dei Daci. S. Paolino dedica il carme 27 a questo giorno doppiamente festivo, e per il glorioso transito di s. Felice e per il ritorno di Niceta, « la cui vita è tutta purezza e la cui anima splende di limpide verità, fiori ed aromi di Cristo ». Dopo avere tessuto l'elogio del dotto maestro, la cui presenza conferisce a lui ispirazione, Paolino prende affettuosamente per mano « il padre santo » e lo conduce a visitare le nuove costruzioni erette in onore di s. Felice.
Gennadio, parlando delle opere di Niceta (De vir. ill., 22), nomina « sei libretti d'istruzione ai catecumeni, composti con stile nitido e semplice » e ne indica il contenuto. Del libro I, che trattava della condotta che devono tenere i candidati al Battesimo, sono pervenuti sino a noi tre brevi frammenti, e due del libro II, che parlava degli errori del paganesimo. Dovevano formare il III libro i due scritti scoperti e pubblicati nel 1827 da Angelo Mai, De rottone fidei (in cui difende la consustanzialità del Figlio contro gli Ariani) e De Spiritus Sancti potentia (in cui è difesa la consustanzialità dello Spirito Santo). Il libro IV, nel quale si combatteva la pratica degli oroscopi, è andato perduto. E pervenuto intero il libro V, Explanatio symboli, un'importante spiegazione del simbolo, che caratterizza il metodo catechetico di Niceta. Vi troviamo una delle più antiche testimonianze dell'articolo "la comunione dei santi". Il libro VI, che trattava della « vittima pasquale », finora non è stato identificato con sicurezza tra gli scritti pervenuti sino a noi.
Cassiodoro loda la chiarezza e brevità dell'esposizione di Niceta. Dopo avere elencato gli autori che scrissero intorno alla Trinità, cioè Ilario, Ambrogio e il sommo Agostino «che scrisse con ammirevole profondità i suoi quindici libri», prosegue: «Chi vuole avere una conoscenza della Trinità in breve sintesi, senza stancarsi con una lunga lettura, legga il libro del vescovo Niceta Intorno alla fede; e, ripieno del fulgore d'una dottrina celeste, sarà guidato, con proficua brevità, a contemplare Dio».
Gennadio nomina ancora un libretto Ad lapsam virginem, identificato da alcuni con lo scritto pseudo-ambrosiano De lapsu virginis consecmtae (ibid., XVI, coll. 383-400). S'aggiungono a queste opere due discorsi: De vigiliis servorum Dei e De Psalmodiae bono (o De utilitate hymnorum), già pubblicati sotto il nome di Nicezio di Treviri e il primo anche tra le lettere apocrife di s. Girolamo; ed un breve trattato De diversis appellationibus [Christi]. Il Te Deum è stato attribuito a Niceta, Ambrogio, Ilario, Agostino ed altri: ma nessuno degli argomenti addotti è assolutamente decisivo per la scelta.
Gli scritti di Niceta non hanno carattere speculativo, mirano allo sviluppo della vita cristiana e ci danno dell'autore una rappresentazione conforme a quella delineata nei carmi del suo grande amico s. Paolino di Nola: un santo vescovo, pieno di zelo apostolico. Quantunque vissuto in una regione soggetta all'impero d'Oriente, Niceta manifesta una mentalità schiettamente latina e romana. Un'iscrizione pervenuta mutila dice che la chiesa di Remesiana era dedicata ai ss. Apostoli Pietro e Paolo e a tutti i santi: testimonianza della romanità di questa comunità cristiana della Dacia.
Il nome di Niceta, vescovo latino in una regione soggetta ai Greci, non entrò nei sinassari e menologi della Chiesa bizantina, quantunque teologi russi lo nominino con venerazione (v. di M. Jetvic, una serie di articoli in Pregled [rivista della eparchia di Nisch], XVIII [1937] e XIX [1938]). Anche in Occidente sono scarse le notizie conservate; un'antica istruzione per i catechizzandi (cod. lat. Monacensis 6325, del sec. IX) annovera Niceta tra i Dottori della Chiesa e lo pone tra s. Ilario e s. Girolamo. Il Martirologio Romano al giorno 7 genn. annota: «In Dacia sancti Nicetae episcopi, qui feras et barbaras gentes evangelii praedicatione mites reddidit ac mansuetas». La notizia viene ripetuta, in forma un po' variata, al 22 giugno e i Bollandisti nel loro Commento concludono: «De Nicetae natali nihil traditum est neque omnino de eius veneratione apud antiquos».


Autore:
Guido Bosio


Fonte:
Bibliotheca Sanctorum

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Aggiunto/modificato il 2008-11-23

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