Radibor, Germania, 2 luglio 1914 - Dachau, Germania, 3 febbraio 1943
Alois Andritzki (o Andricki) nasce a Radibor nella Slesia il 2 luglio 1914. È il quarto di sei fratelli, due dei quali diventano sacerdoti. Anche lui entra in Seminario: viene ordinato sacerdote nel 1939. Diventa subito molto amato dai giovani per i suoi metodi educativi capaci di unire la fede con lo sport, l’arte e la musica. Il suo stile è però in aperto contrasto con le politiche del regime nazista, che lo tiene sotto osservazione. Don Alois viene arrestato nel febbraio 1941 e, il 10 ottobre successivo, entra nel campo di concentramento di Dachau. Fedele al patto che ha stretto con un amico benedettino, cerca di non lamentarsi e di rallegrare, per quanto gli è possibile, i suoi compagni di prigionia. Diventa anche membro del gruppo di sacerdoti che, anche nel campo, vivono secondo la spiritualità del nascente Movimento di Schoenstatt. Nel Natale 1942 si ammala di tifo. Il 3 febbraio 1943 chiede di poter ricevere la Comunione, ma viene ucciso con un’iniezione letale. È stato beatificato il 13 giugno 2011 nella piazza di fronte alla cattedrale della Santissima Trinità a Dresda, sotto il pontificato di papa Benedetto XVI. La sua memoria liturgica cade il 3 febbraio, giorno della sua nascita al Cielo.
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È «subdolo» ed ha un’influenza «malefica» sui giovani. Per un prete è il miglior complimento, se a giudicarlo così è la Gestapo, che guarda con sospetto e perseguita proprio i preti più entusiasti e che hanno il maggior ascendete sui giovani. La vita di don Alois Andritzki (o Andricki) è tutta qui, se vogliamo, perché è limpida e coerente. E anche breve, perché si esaurisce nell’arco di appena 29 anni, di cui solo 4 di sacerdozio.
Nasce nel 1914 nella Germania sud-orientale, da genitori di origine serba, insegnanti e buoni cattolici, al punto che, proprio nel buio del regime nazista, ben tre dei loro figli entrano in seminario. Alois è un giovane brillante, sportivo e dinamico quando a vent’anni decide di farsi prete.
Ordinato nel 1939, comincia ad esercitare a Dresda, mettendo in moto le identiche qualità. Sono soprattutto i giovani a subire il suo fascino, perché sa parlare loro di Dio anche attraverso il nuoto, il disegno e la ginnastica, organizzando partite di calcio e scuole di musica.
Proprio per questo i nazisti cominciano a tenerlo costantemente sotto osservazione: parla troppo bene, è troppo critico verso il regime, riesce ad intercettare i giovani ed a farsi seguire. Tutte cose che, messe insieme, costituiscono più di un capo d’accusa nei suoi confronti.
«Queste sono solo schermaglie, il peggio deve ancora venire», dice ai suoi ragazzi a Natale 1940: è pienamente cosciente dei rischi cui va incontro, oltre ad essere un osservatore attento e lucido della situazione politica che sta vivendo. «Fra un paio d’anni saremo ghigliottinati tutti», dice profeticamente; nemmeno un mese dopo lo arrestano, al termine di una rappresentazione teatrale in cui ha cercato di spiegare ai giovani la fine che faranno i cristiani durante la seconda guerra mondiale.
Processato come «nemico dello Stato» e giudicato colpevole di aver sferrato attacchi feroci al governo ed al partito con la sua predicazione ed il suo apostolato tra i giovani, viene condannato a sei mesi di carcere, terminati i quali viene deportato a Dachau.
«Considerato il comportamento di suo figlio, si deve purtroppo ritenere che questi continuerebbe a perseverare nelle sue eretiche calunnie contro lo Stato», scrive la cancelleria di Hitler, respingendo la commovente supplica di scarcerazione inoltrata da suo padre Johann: nella sua lucida perfidia, la Gestapo è pienamente consapevole del coraggio e dell’inflessibilità di don Alois.
Questa sua caratteristica non si smentisce neanche nel campo di concentramento, stringendo con un amico benedettino, nel momento in cui vi entra il 10 ottobre 1941, un patto “eroico”: «Non ci lamenteremo mai. Non abbandoneremo il nostro contegno. Non dimenticheremo neanche per un attimo il nostro sacerdozio». Il che è più facile a dirsi che a farsi, quando i mesi si protraggono, le umiliazioni abbondano, il cibo è insufficiente, il lavoro forzato sfibra anche i più robusti.
A quei poveri esseri strappano via tutto, anche la dignità; solo il sorriso non riescono a rubare dal volto di don Alois. «Era una specie di don Bosco”, dicono adesso di lui, «curava i malati, sosteneva gli anziani, consolava chi era triste», naturalmente sorridendo sempre.
Fino a che gli restano le forze fa anche l’equilibrista, camminando sulle mani per strappare un sorriso ai compagni di prigionia. «Chi lo vedeva al mattino restava pieno di gioia per tutta la giornata», dice un testimone, neanche forse accorgendosi della gran bella cosa che sta dicendo di quel prete gioioso.
Nel Natale 1942 si ammala di tifo e viene portato in infermeria. Il 3 febbraio 1943 chiede di poter ricevere la comunione e beffardamente il guardiano del reparto gli offre un’iniezione letale. Finisce così la vita breve del prete che sorrideva sempre e che un anno prima aveva scritto: «Se ora non possiamo essere i seminatori cerchiamo di essere almeno il seme, per portare abbondanza di frutti al tempo della raccolta».
Il processo diocesano per l’accertamento del martirio di don Alois si è svolto nella diocesi di Dresda-Meissen dal 1° luglio 1998 al 22 marzo 2001; il 27 agosto 1998, intanto, aveva ricevuto il nulla osta. L’8 febbraio 2002 furono dichiarati validi gli atti dell’inchiesta.
La “Positio super martyrio”, consegnata nel 2003, è stata valutata dai consultori teologi della Congregazione delle Cause dei Santi il 7 novembre 2009 e, il 9 novembre 2010, dai cardinali e dai vescovi membri dello stesso organismo. Il 10 dicembre 2010, ricevendo il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui don Alois Andritzki era ufficialmente riconosciuto come martire.
È stato beatificato lunedì 13 giugno 2011 con la celebrazione, presieduta dal cardinal Amato come inviato del Santo Padre, tenuta nella piazza di fronte alla cattedrale della Santissima Trinità a Dresda. La sua memoria liturgica cade il 3 febbraio, giorno della sua nascita al Cielo.
Autore: Gianpiero Pettiti ed Emilia Flocchini
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