Di famiglia povera e onesta, a Cortemilia (Cuneo) il 1° maggio 1901, nasce Giuseppe Calvi. I suoi genitori, Giovanni e Maddalena, provati da una vita di lavoro e sacrificio, sono persone di fede vissuta che trasmettono ai loro figli. L’8 maggio viene battezzato dal parroco don Michele Coraglia, sacerdote ricco di opere di carità e apostolato, promotore, con il suo stile di amore a Cristo, di numerose vocazioni sacerdotali
"Che io cerchi Te solo!"
Oltre al buon parroco, Giuseppe nella sua fanciullezza ha un sacerdote amico di famigli, don Giuseppe Vacchetto, confessore della sua mamma, che lo aiuta a intessere un intenso rapporto di amore con Gesù. È un ragazzo timido e riservato, ma non teme di dichiararsi "di Gesù", davanti a chiunque. I compagni lo rispettano e sentono il suo ascendente su di loro.
Frequenta le elementari con profitto, distinguendosi per la sua vita autenticamente cristiana, l’impegno nello studio, la calma, la docilità e il costante sorriso. Assai presto gli cresce dentro il progetto di farsi sacerdote, per donare tutta la sua vita a Gesù e ai fratelli da condurre a Lui.
Una mattina di agosto 1914, mentre l’Europa è già "in fiamme" per la 1ª guerra mondiale, "il guerrone", e a Roma si spegne il santo Pontefice Pio X, Giuseppe entra nel Seminario degli Oblati di S. Giuseppe, fondati ad Asti, da Mons. Giuseppe Marello (1844-1895), poi vescovo di Acqui.
Tra "i carissimi", come vengono chiamati i più giovani in Congregazione, vorrebbe vivere umile e nascosto, ma senza volerlo attira l’attenzione altrui per il suo stile raccolto e devoto di partecipare alla Messa, per le sue "lacrime" durante la Benedizione Eucaristica, per i suoi furtivi baci al Crocifisso, per le sue letture spirituali, il suo cercare esempio nella vita dei santi. A scuola riesce con intelligenza e impegno, ma preferisce non mettersi in mostra.
Dal 1° settembre 1917 al 1° ottobre 1919, Giuseppe è novizio, sotto la guida del Padre Maestro Lorenzo Franco, che dirà di lui: "Caritatevole e affabile… delicato di coscienza, desidera solo uniformarsi alla volontà di Dio e vive in stretta unione con Gesù". Il 1° ottobre 1919, 18 anni, offre a Dio la prima professione dei santi voti. E’ già piuttosto fragile di salute e i superiori, prima di avviarlo agli studi teologici, lo mandano a Roma come sacrestano nella chiesa di S. Lorenzo in Fonte (Via Urbana). Uno dei suoi compagni, Enrico Giovetto, scriverà: "Sono stato con lui negli anni di studio e sono convinto di essere stato con un santo".
Annota appunti e riflessioni, nei suoi diari, il chierico Giuseppe, come questa: "Gesù, fa’ fiorire nel mio cuore la santa confidenza che io voglio essere tutto tuo, per sempre tuo nel tempo e nell’eternità. Rendimi mite e umile come sei Tu". Padre Cortona, il superiore generale del tempo, è solito dire ai seminaristi, compagni di Giuseppe: "Guardate il vostro confratello Calvi, non ha salute ed è piuttosto fragile, ma con la sua dedizione riesce a fare tutto… Basta un’occhiata per capire che è un santo". In comunità edifica tutti con il suo stile di vero religioso. I suoi "quadernetti" sono pieni di propositi di santità.
Ora studia teologia con passione: essere prete, essere ministro di Cristo è per lui la vetta più alta della sua vita. Sabato 29 maggio 1926, è ordinato sacerdote da Mos. Luigi Spandre, Vescovo diocesano di Asti, nella cattedrale con altri sei confratelli Oblati di S. Giuseppe. Per la sua 1ª S. Messa: P. Giuseppe Calvi, 25 anni, così prega: "O Gesù, vittima e sacerdote, preservami in tutta la mia vita sacerdotale dal peccato mortale, dal peccato veniale deliberato, dalla tiepidezza nella celebrazione della S. Messa: se no, prendimi con Te. Gesù, dammi la grazia di nascondere nel tuo Cuore i miei confratelli, i parenti e tutte le anime, per amarle e ritrovarle sempre in Te, degne di ogni mia cura… Dammi di volere sempre ciò che Tu vuoi da me, che io cerchi solo Te, vero, unico, amabile, eterno bene, nel quale ci sono tutti i beni".
Missionario in Brasile
Il 27 luglio 1926, P. Giuseppe Calvi celebra la sua prima Messa nella sua parrocchia d’origine, Cortemilia, ma non intende fermarsi né ad Asti né in Italia. Ha visto i primi Padri Oblati, nel 1915, partire missionari per le Filippine, e nel 1919, altri partire per il Brasile. Così, il 14 settembre 1926, festa dell’Esaltazione della Croce di Gesù, riceve il Crocifisso: è uno dei sette missionari in partenza per il Brasile e per le Filippine. Il 28 settembre, è già a Rio de Janeiro, il 4 ottobre giunge a Curitiba, accolto dai confratelli e dai ragazzi dell’Abrigo de Menores, un’istituzione che accoglie ragazzi soli e abbandonati.
Comincia subito il suo ministero sacerdotale: missionario e portatore di Gesù. Si preoccupa subito che quei ragazzi affidati alle sue cure, siano intensamente amici di Gesù. E’ disponibile da subito alla predicazione e alle confessioni e appare presto come ottima guida spirituale. Studia a fondo il portoghese per comunicare al meglio il Vangelo, per condividere gioie e dolori di ogni fratello che lo cerca, che anzi lui stesso va a cercare.
Della sua opera, lascia testimonianza in sette quaderni scritti fitto fitto: è chiaro da queste pagine che non lo interessa né il successo né la carriera, che lui vive di Gesù solo, di preghiera, di contemplazione del suo Volto. Ma dopo un anno a Curitiba, P. Giuseppe non sta bene: è stanco e dimagrisce a vista d’occhio. Ha la febbre alta e tossisce. Agli inizi di gennaio 1928, è ricoverato al sanatorio di S. Sebastiano a Lapa. La diagnosi è chiara: tubercolosi. Lui lo sa e comincia a offrire le sue sofferenze, la vita che forse gli sfuggirà in giovane età al Signore Gesù, sulle sue orme di Salvatore crocifisso. Ha un solo desiderio: rassomigliare a Lui e immolarsi per i sacerdoti, i missionari, tutte le anime.
Dopo più di un anno di ricovero, sembra rimettersi in salute. Lascia il sanatorio il 22 aprile 1929 e viene ospitato nella comunità degli Oblati di S. Giuseppe di Agua Verde nella zona sud di Curitiba. Una settimana dopo è mandato a Paranaguà, sull’Atlantico, dove gli Oblati si prendon cura della parrocchia dedicata alla Madonna del Rosario e del Santuario di Nostra Signora della Rugiada. Ha un compito leggero: presidiare la chiesa con la sua presenza.
Ma per lui è una grandissima gioia poter dedicarsi alla preghiera davanti al Tabernacolo, da solo o con i gruppi di fedeli che vengono a pregare; poter occuparsi per lunghe ore delle confessioni e della direzione spirituale delle anime; poter predicare, far catechismo ai bambini, alle associazioni religiose; formare le Figlie di Maria e i chierichetti; battezzare e portarsi ad assistere i malati. Il suo confessionale è letteralmente assediato, perché "tutti vogliono confessarsi dal santo". Chi lo incontra e ne è beneficato, riconosce: "Mi pare di aver incontrato Gesù che è venuto da me". Dal 1929 al 1933, dunque un tempo di feconda azione sacerdotale.
Apostolo tra i malati
Dunque, sembra stare bene. Nell’aprile 1933, è nominato parroco della parrocchia del Sacro Cuore, in Agua Verde e viene incaricato dei Fratelli coadiutori degli Oblati di S. Giuseppe e consigliere della Missione. Vi rimane due anni con una singolare dedizione a Gesù e ai suoi parrocchiani: una vera svolta per la parrocchia, come può venire soltanto da un Uomo di Dio.
Nel dicembre 1935, P. Giuseppe ha un’improvvisa ricaduta, come sette anni prima. Sì, davvero si era trascurato, per la sua voglia di far amare Gesù e di portare le nime a Lui verso il Paradiso. Era andato anche a fare il catechismo ai ragazzi nelle case sparse per la campagna. Commenta: "Il Signore, vedendo che è inutile la mia vita, se non peggio, mi chiama a Sé, e dà a uno più fedele di me l’onore della sua missione. Gli offro i dolori e la vita ancor giovane in spirito di penitenza".
Il 24 gennaio 1936, fa ritorno al sanatorio di Lapa. Mentre comincia le cure, scrive al Generale degli Oblati, P. Mario Martino (1884-1972) che risiede ad Asti: "Il Signore ha permesso tutto per il mio bene. Chiedo la grazia di conservare i miei sentimenti sino alla fine per offrirmi a Lui".
P. Martino, che è un "vero sant’uomo, come lo definirà Papa Pio XI, gli risponde incoraggiandolo e assicurandogli la sua preghiera, in un momento difficile della Congregazione.
La santità di P. Giuseppe ora brilla in modo splendente negli anni in cui resterà in sanatorio: malato trai malati, un angelo, un apostolo, un padre, un fratello per i malati. Vero "Alter Christus" sofferente sulla croce, trasmette ad essi l’esempio della sua offerta con Gesù, bontà senza limiti, fortezza e disponibilità eroiche. A motivo di questo suo esempio, quasi nessuno rifiuterà di ricevere da lui i Saramenti: impossibile resistere alla sua dolcezza, alla sua parola vera e suadente.
In sanatorio passa gli ultimi anni della sua vita, come una vera presenza di Gesù in mezzo agli altri ricoverati con un’irradiazione di luce e di santità, di Gesù stesso, senza confini: non si sente un malato che è lì per curarsi la tubercolosi, ma missionario di Gesù tra i malati. Ai suoi familiari che a Cortemilia si danno da fare affinché rientri in Italia per curarsi meglio e ristabilirsi, scrive: "Se tu (si rivolge alla sorella Valentina) avessi fede e il desiderio che Gesù sia conosciuto e amato, mi avresti incoraggiato a rimanere qui. Sappi che il Signore ha promesso che chi lascerà casa e parenti per amor suo, salverà tante anime e avrà tante grazie".
Grazie a lui, la vita cristiana in sanatorio rifiorisce: fonda l’Associazione dell’"Apostolato della sofferenza", pubblica un foglietto mensile per diffondere lo spirito e lo stile dell’offerta di vita e dolori con Gesù. I primi venerdì del mese, il mese di maggio, le feste liturgiche vengono, con lui, celebrate con la partecipazione di quasi tutti i ricoverati. Nonostante l’aggravarsi della malattia, è sempre sorridente e diffusore di pace e letizia, di amore e confidenza nel Cuore di Gesù.
Tutti i malati hanno una grande ammirazione per lui e molti lo chiamano "il santo" …Non si contano le conversioni che avvengono grazie alla sua parola e all’offerta della sua esistenza: spiritisti, protestanti di diverse denominazioni, atei incalliti, a contatto con lui ritrovano la giusta via, l’unica via che salva: la conversione a Gesù nella Chiesa Cattolica. I più miscredenti e ostili, solo a sentire il suo nome, cominciano a farsi seri e pensosi. Il dottor Pedro Gonçalves, direttore del sanatorio, dirà che "la ragione per cui P. Giuseppe non migliorava, era perché si alzava di notte per andare ad assistere i malati gravi".
Ha una sola preoccupazione: crescere nell’offerta sempre più piena con Gesù crocifisso e salvare le anime: traspaiono in lui l’amore a Dio, la passione di salvare le anime, l’umiltà, la semplicità, la pazienza, la preghiera intensa a Gesù Eucaristico. Dopo i primi anni in sanatorio, non pensa più di dover uscire guarito, ma solo di compiere al massimo la volontà di Dio. Con la 2ª guerra mondiale (1939-’45), le comunicazioni tra il Brasile e l’Europa, Italia compresa, sono quasi impossibili. P. Giuseppe pensa ai suoi genitori dei quali non sa più nulla. Ma il Generale degli Oblati da Asti, riesce a fargli sapere che la sua mamma era morta il 28 febbraio 1942, e il suo papà, il 13 marzo 1942. Un dolore immenso: da quando era partito, nel 1926, non li aveva mai più visti: l’offerta è totale.
Ora gli restano una manciata di giorni da vivere. Li consuma per Gesù e i suoi "fratelli" infermi: tutti egli vuole condurre a Lui. Nonostante la sua estrema debolezza, assiste i morenti sino all’ultimo. Celebra la S. Messa, dando l’impressione che all’altare ci sono due vittime: Gesù immolato e lui. Negli ultimi giorni, non potendo più celebrare, si reca ancora in cappella per ricevere la Comunione.
Sentendo vicina la morte, fa ordinare al massimo la sua camera. Tutto dev’essere bello e in ordine per andare da Lui. Il 26 settembre 1943, alle 14,30 tenendo il Crocifisso tra le mani, al quale ha dato i suoi baci sino alla fine, P. Giuseppe Calvi va incontro a Dio, a 42 anni di età. Nel sanatorio di Lapa e tra quelli che l’hanno conosciuto, si diffonde la voce: "È morto P. Giuseppe, il santo!".
La sua fama di santità, già così viva durante la sua esistenza, è andata crescendo: il 9 novembre 2007, Mons. José Vitti, Arcivescovo di Curitiba ha aperto la sua causa di beatificazione. Una vita, come "oblatio munda" con Gesù.
Autore: Paolo Risso
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