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Valmaseda, Spagna, 30 agosto 1890 - Liendo, Spagna, 29 agosto 1936
Don Pedro Asúa Mendía fu un sacerdote della diocesi di Vitoria, nei Paesi Baschi. Nato il 30 agosto 1890, si laureò in architettura. Nel 1919 entrò in seminario e il 14 giugno 1924 fu ordinato prete. Esercitò il ministero con una particolare attenzione verso i giovani e i più bisognosi. Mettendo a frutto le sue competenze, si occupò della costruzione di numerosi edifici di culto, incluso il nuovo Seminario della sua diocesi. Quando iniziò la persecuzione durante la guerra civile spagnola, continuò la sua missione nonostante le perquisizioni e gli arresti. Il 25 agosto, dopo aver celebrato la sua ultima Messa, fu costretto alla fuga, ma venne catturato e ucciso a colpi di pistola sul monte Candina a Liendo, in Cantabria, il giorno prima del suo quarantaseiesimo compleanno. È stato beatificato per decreto di papa Francesco il 1° novembre 2014. I suoi resti mortali riposano presso il Seminario diocesano di Vitoria.
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Pedro Asúa Mendía nacque a Valmaseda (in basco, Balmaseda) il 30 agosto 1890, quinto figlio di Isidro Luis Asúa y San Millán, avvocato, e Francisca Mendía y Conde. Venne battezzato a pochi giorni dalla nascita nella chiesa parrocchiale di San Severino.
A quattro anni venne iscritto alla scuola del suo paese tenuta dalle Figlie della Croce; sei anni dopo, andò a studiare nel collegio dei Gesuiti di Orduña, concludendo gli studi secondari nel 1906.
Dall’ottobre 1906 al dicembre 1914 studiò architettura a Madrid. Nel 1911 intraprese un viaggio di studi, per osservare da vicino alcune realizzazioni dello stile liberty. Ad esempio, espresse queste considerazioni circa la Sagrada Familia di Gaudí: «A parer mio, è un’opera accurata quanto alla soluzione del problema architettonico, tuttavia lo stile gotico scompare a volte per la genialità dell’autore, che lotta contro le leggi elementari dell’architettura».
L’11 marzo 1915 ottenne il titolo di architetto e, nello stesso anno, intraprese il progetto del “Coliseo Albia” di Bilbao. Due anni dopo si occupò della costruzione delle scuole Mendia, nella sua Valmaseda (un centro di studi che prendeva il nome da suo zio, Martín Mendia), che furono terminate nell’autunno 1920.
Negli anni di studio rimase molto legato alla famiglia e non perse di vista la sua relazione con Dio: a dimostrazione di ciò, avviò a Valmaseda l’adorazione notturna. Per sperimentare in maniera più radicale il suo desiderio di seguire il Signore, a ventinove anni prese la decisione di lasciare la carriera architettonica per diventare sacerdote diocesano.
Nell’ottobre 1920, quindi, entrò nel Seminario della diocesi di Vitoria, dopo aver studiato latino a Gordejuela. All’inizio frequentò come esterno, vivendo a casa del cuoco del Seminario: in un solo anno compì interamente il corso di Filosofia. Studiò Teologia dapprima a Madrid, poi nuovamente a Vitoria, stavolta come interno.
Ordinato suddiacono nel dicembre 1923, accompagnò dopo un breve periodo di ferie il Rettore, don Ramon Laspiur, a visitare il Seminario di Bayonne, in vista della realizzazione di una nuova struttura analoga a Vitoria. Al suo ritorno, il vescovo monsignor Mateo Mújica Urrestarazu l’incaricò di progettare la nuova sede. Perciò, trascorse mesi e mesi tenendo in parallelo gli studi, la preparazione agli Ordini maggiori e la realizzazione dei progetti.
Dopo l’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 14 giugno 1924, gli venne chiesto di dirigere anche i lavori effettivi. Don Pedro accettò per obbedienza, poiché aveva deciso di abbandonare l’architettura dopo aver scelto il sacerdozio. Per lo stesso motivo accettò, nel 1929, la nomina ad Architetto diocesano. Portò quindi avanti altre realizzazioni: la scuola di Getxo, la chiesa di Nostra Signora degli Angeli a Romo e la chiesa di San Cristoforo a Vitoria; il nuovo Seminario, invece, fu pronto nel 1930.
Quanto al ministero effettivo, l’esercitò a Valmaseda, aiutando il parroco in particolare nella pastorale giovanile, organizzando ad esempio un gruppo di Azione Cattolica. Inoltre, era impegnato nella predicazione di ritiri ed esercizi spirituali. Gli impegni interminabili non gli impedivano di aprire la sua porta a quanti avessero bisogno di lui: poveri, disoccupati, malati sapevano di poter trovare in lui un sollievo sicuro. A tal punto era loro vicino da meritarsi l’appellativo di “El paño de lágrimas”, ossia “fazzoletto per le lacrime”.
Nominato Cameriere segreto soprannumerario di papa Pio XI, rifuggì dagli onori di quella carica, tanto che si dice abbia indossato una volta sola i relativi paramenti. In breve, aveva pienamente incarnato l’ideale presentato in quegli anni da don Rufino Aldabalde, animatore del cosiddetto “movimento sacerdotale di Vitoria” e fondatore dell’Instituto de Misioneras Seculares: «Solo sacerdote, sacerdote sempre e in tutto sacerdote».
Come tutti i sacerdoti del suo tempo, tuttavia, dovette subire gli effetti della persecuzione esplosa con l’inizio della guerra civile spagnola. Era consapevole di aver di fronte la prospettiva del martirio, come apparve in molteplici occasioni. Ad esempio, al termine di uno degli interrogatori cui venne sottoposto, dichiarò: «Dobbiamo stare pronti, se è necessario, a essere martiri». A qualcuno che, nel vederlo indossare la veste talare a rischio di essere arrestato, gli suggeriva cautela, dichiarò: «Tutti sanno che sono un sacerdote: se mi catturano, sarà volontà di Dio». Infine, nell’agosto 1936, quando apprese della morte di cinquantuno Clarettiani a Barbastro (beatificati nel 1992), esclamò: «Che io possa essere come loro!».
Il momento tanto sperato avvenne non molto tempo dopo il loro martirio. Il 25 agosto don Pedro celebrò la Messa per l’ultima volta: per sfuggire ai miliziani del suo paese, dovette rifugiarsi a Sopuerta, nei pressi di Valmaseda e, due giorni dopo, a Erandio, passando per Bilbao. Tuttavia, il 28 venne raggiunto e catturato. Senza subire processo né incarceramento, venne condotto presso il monte Candina a Liendo, in Cantabria, il 29 agosto 1936. Prima che gli venissero sparati due colpi, alla testa e alla spalla, benedisse i suoi uccisori: «Dio vi perdoni, come io vi perdono nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Stava per compiere quarantasei anni ed era sacerdote da dodici.
Il suo cadavere venne ritrovato da un pastore in un canale, alcune settimane dopo. Il riconoscimento venne dato da due indizi: un orologio, con incise le iniziali “P. A.” e la frase “Ricordo della famiglia Sota. Sopuerta 1931” (un regalo ricevuto per ringraziarlo delle opere realizzate nella chiesa di Mercadillo a Sopuerta) e la sua penna stilografica da cui non si separava mai. I suoi resti mortali, riesumati il 31 luglio 1938 e sepolti presso la tomba di famiglia a Valmaseda, vennero traslati nel 1956 presso la cappella del Seminario da lui ideato e costruito.
La sua memoria venne strumentalizzata dal regime franchista, che tentò di tramutarlo in un difensore della Repubblica. Il suo vero martirio, in odio alla fede, venne analizzato nel corso del suo processo canonico, aperto in diocesi di Vitoria il 14 maggio 1964. Il 27 gennaio 2014 è stato reso noto il decreto con cui papa Francesco lo dichiarava ufficialmente martire. La cerimonia della sua beatificazione si è svolta sabato 1° novembre 2014, presieduta dal cardinal Angelo Amato come inviato di Sua Santità, presso la concattedrale di Maria Immacolata a Vitoria.
Autore: Emilia Flocchini
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