Murcia, Spagna, 1534 - Gandia, Spagna, 18 aprile 1602
Nato a Murcia da nobile famiglia decaduta, Andrea subisce una rapina che lo spoglia dei beni terreni, evento che lo spinge a consacrarsi a Dio. Entrato nell'Ordine Francescano, abbraccia la rigida riforma alcantarina, dedicandosi con fervore ai lavori più umili e faticosi. La sua profonda spiritualità si manifesta nella costante meditazione dei misteri divini, nell'amore per la sofferenza e nell'ardente desiderio di espiare le pene del Purgatorio. Dotato di doni mistici, tra cui la bilocazione e la profezia, Andrea si distingue per la sua umiltà e obbedienza, considerandosi il "più grande peccatore della terra". La sua fama di santità si diffonde rapidamente, attirando l'ammirazione di sacerdoti e laici, tra cui San Giovanni de Ribera, arcivescovo di Valencia.
Martirologio Romano: Nella città di Gandía nel territorio di Valencia sulla costa della Spagna, beato Andrea Hibernón, religioso dell’Ordine dei Frati Minori, che, da giovane derubato del suo denaro dai briganti, coltivò poi mirabilmente la povertà.
|
Il beato Andrea Hibernon (1534-1602), commemorato in data odierna dal Martyrologium Romanum, non è che uno dei quattro fratelli laici appartenenti all’Ordine Francescano dei Frati Minori che, quasi contemporaneamente, edificarono la Spagna in quello che si rivelò il secolo d’oro della sua spiritualità e della sua letteratura. Gli altri tre furono San Pasquale Baylón (1540-1592), il Beato Sebastiano dell’Apparizione (1502-1600) ed il Beato Giuliano di Sant’Agostino (1553-1606).
Andrea Hibernon nacque nel 1534 a Murcia, nel sud della Spagna, da una nobile famiglia di Cartagena caduta quasi in rovina. Fu battezzato nella cattedrale cittadina, ove un suo zio era cappellano. La mamma, donna di profondi sentimenti religiosi, lo educò con amore ai doveri verso Dio e verso il prossimo. Il ragazzo trascorse innocentemente l’infanzia ad Alcantarilla ed in seguito si trasferì a Valencia, in casa di uno dei suoi zii, ove la sua giovinezza fu contraddistinta da un’innata purezza. Il suo animo generoso lo spinse ad impegnarsi per creare una buona dote alla sorella e dunque, pur senza trascurare i suoi doveri religiosi, si mise a lavorare sodo giorno e notte, risparmiando anche sulle più piccole somme di denaro. A vent’anni pensò di fare ritorno in famiglia portando con sé tutto l’ammontare del suo guadagno, ma per strada venne assalito dai briganti, che lo spogliarono di tutto ciò che possedeva. La sua delusione non poté che essere molto amara e l’infausto avvenimento cambiò la sua vita. Toccata così con mano la fragilità dei beni e dei piaceri terreni, da quel giorno decise di dedicare l’intera sua vita al Signore ed al suo prossimo.
Il 1° novembre 1557 Andrea fu ammesso alla vestizione del saio in qualità di fratello laico nel convento di Albacete. Dopo il noviziato fu ammesso alla solenne professione dei voti ed inviato nella sua città natale in qualità di frate cercatore. Fu in quel convento che egli venne a conoscenza della riforma molto austera introdotta in Spagna nel 1555 da San Pietro d’Alcantara. Fra’Andrea nel febbraio del 1563 passò allora al convento di Elche, dei Francescani Scalzi (detti Alcantarini), ove l’anno successivo ebbe l’opportunità di assistere alla vestizione religiosa di San Pasquale Baylón, che come lui per tutta la vita fu un umile fratello cercatore. Fra’Andrea rimase sino al 1574 presso Elche, eccetto un breve soggiorno a Villena, dedito alle occupazioni più umili e faticose. Nel 1574 i superiori lo destinarono a collaborare alla fondazione del convento di Valencia in cui, essendo ancora giovane e forte, fu nuovamente addetto ai lavori più pesanti. In quel periodo strinse amicizia con San Giovanni de Ribera, arcivescovo di Valencia. Questi aveva subito percepito di trovarsi di fronte ad un eccezionale fratello laico. Non potendo incontrarlo di giorno per le sue pressanti occupazioni nel governo della diocesi, sovente lo andava a trovare di sera in convento per conversare con lui. Dai documenti del processo di beatificazione risulta che Fra’Andrea parlasse dell’incarnazione, della passione, della morte e della risurrezione del Signore con tanta venerazione, che gli uditori ne restavano ammirati e si domandavano da dove un ignorante fratello laico potesse aver tratto cotanta scienza. Anche numerosi sacerdoti esperti in teologia e sacra scrittura accorrevano da lontano per esporgli i loro dubbi sulle più spinose questioni religiose, per poi tornare sempre meravigliati dalle sue dotte risposte. Fra’Andrea meditava continuamente i divini misteri e, quando ricorreva la loro memoria liturgica, moltiplicava i digiuni e le penitenze. Si può affermare che fosse insaziabile di austerità. In convento erano suoi non solo i lavori più ripugnanti e faticosi, ma anche gli abiti più consunti ed i tozzi di pane secco avanzati a mensa dai confratelli. Amava essere partecipe dei dolori del Signore per il bene delle anime del Purgatorio. Più volte fu notato andare in estasi, levitare da terra cinto da un’aureola, al sentir parlare del Calvario e della crocifissione di Gesù.
In seguito, tra il 1574 ed il 1584, Fra’Andrea prestò servizio, a secondo delle necessità, nei conventi di Elche e di Valencia. Su invito del duca di Gandia, santificò con la preghiera, il lavoro e la penitenza anche il convento di quella città, dove in seguito terminò i suoi giorni, non prima di aver compiuto altri due brevi soggiorni a Murcia ed a Valencia. I superiori gli facevano ogni tanto cambiare residenza al fine di ristabilire o consolidare la riforma nei vari conventi della provincia di San Giuseppe, di cui egli era indubbiamente considerato una colonna portante, nonostante Fra’Andrea si stimasse quale più grande peccatore della terra e si rattristasse sentendosi talvolta elogiare per l’esatta osservanza della regola: “Dio mio, concedimi di essere veramente quello che si pensa che io sia”. Quando fu poi in età avanzata, i confratelli presero a soprannominarlo “il santo vecchio”, ma l’interessato reagiva borbottando: “Non dite santo, ma stolto”. Non gli mancarono talvolta alcuni rimproveri da parte di superiori non molto avveduti, ma egli subì sempre in silenzio, prostrato a terra, proponendosi di adempiere al meglio le varie incombenze di questuante, infermiere, portinaio, cantiniere e refettoriere che di volta in volta gli venivano assegnate.
Fra’Andrea iniziava ogni sua giornata partecipando al maggior numero possibile di Messe e ricevendo la Comunione ogni volta che la regola glielo consentiva. Pregava inoltre per tutte le necessità della Chiesa, ma gli stava innanzitutto a cuore la conversione dei mori, assai numerosi a quel tempo nella Spagna meridionale. Molti infatti si convertirono grazie ai suoi buoni esempi ed ai suoi insegnamenti. In suffragio delle anime del Purgatorio cercava di acquistare il maggior numero di indulgenze. Quando un confratello sacerdote si recava a confortare un moribondo o a predicare qualche missione popolare, Fra’Andrea lo accompagnava con la preghiera. Nutriva una particolare devozione verso Maria Santissima, che tutti i giorni venerava con la recita del Piccolo Ufficio e la corona delle sette allegrezze, nonché con soventi pellegrinaggi ai santuari a lei dedicati.
Straordinaria fu anche la devozione che il frate nutrì verso l’angelo custode, in cui era solito riporre piena fiducia. Essendo ben più laborioso dei suoi confratelli, rischiava di non svegliarsi in tempo per la recita del Mattutino: provvedeva allora puntualmente il suo angelo custode a destarlo dal sonno dicendogli: “Fra’Andrea, è tempo di andare a pregare”. Una mattina, anziché andare in cucina a preparare il pranzo, si era attardato in chiesa per servire tutte le Messe, ma il suo angelo gli apparve e nel giro di mezz’ora lo aiutò nel recuperare il tempo perduto. Nelle vite dei santi è comunque cosa assai frequente trovare episodi soprannaturale e sarebbe un errore considerarli grossolanamente come leggende o fantasticherie. Sempre secondo le notizie emerse dai processi, Fra’Andrea fu anche divinamente favorito dai doni della profezia, della bilocazione, dei miracoli in favore di malati e poveri. Infine, ben quattro anni prima gli fu rivelato il giorno e l’ora della sua ormai prossima morte: ebbe dunque modo di prepararsi adeguatamente alla visione di Dio. Il suo confessore asserì che il frate avesse conservata intatta per tutta la vita l’innocenza battesimale. Morì nel convento di Gandia il 18 aprile 1602, dopo aver recitato con un superstite filo di voce il santo rosario. Molti miracoli si verificarono sulla tomba di Fra’Andrea, motivo per cui il pontefice Pio VI lo beatificò il 13 maggio 1791. Le sue spoglie mortali sono ancora oggi oggetto di venerazione a Murcia, presso la chiesa dei Frati Minori Francescani.
Autore: Fabio Arduino
|