Conti di Turbigo, fondarono il monastero di San Vittore nella loro città natale. Durante una battuta di caccia, furono inseguiti da un branco di cinghiali e si rifugiarono in un luogo solitario, dove edificarono una chiesa in onore di San Vittore. Alla chiesa unirono un monastero femminile secondo la regola benedettina. I due fratelli furono sepolti nella chiesa e la loro tomba fu spesso miracolosa. La fama di santità dei due fondatori, che ancora perdura, li portò ad essere venerati da san Carlo Borromeo e dal cardinale Ildefonso Schuster.
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Il più antico documento intorno ai santi Aimo e Vermondo è quello conservato in originale alla biblioteca Trivulziana di Milano, che risale all'incirca al 1357, cui si rifecero coloro che ne scrissero, come il Bascapè, il Bugato, il Morigia, il Ferrari e, da ultimo, l'Agrati, che ne ha pubblicato integralmente il testo latino, dando a fianco la traduzione italiana. La tradizione li vuole fratelli, conti di Turbigo sul Ticino, dove fondarono il monastero di S. Vittore. Sospinti da un branco di cinghiali, mentre cacciavano in luogo solitario, ripararono verso levante, nella regione briantea, dove più tardi sorse l'industriosa cittadina di Meda e dove edificarono una chiesa in onore di s. Vittore, alla quale unirono un monastero femminile secondo la regola benedettina.
Sepolti in quella chiesa, la loro tomba fu spesso miracolosa e molti, anche da lontano, ottennero segnalati favori e grazie particolari, onde sorse la fama di santità dei due fondatori, che ancora perdura.
Il 31 maggio 1581 furono venerati da s. Carlo e da Federico Borromeo, mentre il card. Ildefonso Schuster fece una ricognizione delle reliquie dei due santi nel 1932, quando si celebrarono in loro onore dei solenni festeggiamenti.
La loro festa ricorre il 13 febbraio.
Autore: Pietro Gini
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