Avigliana, Torino, 1390 - Chiusa Pesio, Cuneo, 22 marzo 1458
Antonio Coq, nacque ad Avigliana, da una nobile famiglia, antenata di CamilloBenso, conte di Cavour. Entrò nella Grande Chartreuse di Grenoble, dove fece la suaprofessione religiosa e fu ordinato sacerdote.Venne trasferito alla Certosa di Pesio, per sottrarlo alla popolarità ognor crescente.Nel silenzio dell’alta montagna trascorre il resto della vita, in preghiera e scrivendoopere ascetiche. Compose pure uno studio sulla Certosa, poi andato perso.Sia per la sua casata sia per la sua fama di dottrina e santità, ebbe corrispondenzacon i duchi di Savoia e con lo stesso re di Francia. Dedicò un trattato sul libro diGiobbe a Jolante sorella del re e madre dei principi di Savoia Filiberto e Carlo.Ospitò alla Certosa Luigi, figlio di Carlo VII; gli predisse la riconciliazione con il padree la sua ascesa al trono. Infatti nel 1461 salì al trono con il titolo di Luigi XI e fu famosoper essere riuscito a riunire sotto il dominio della corona la maggior parte del territoriofrancese.Quando Carlo VIII scese in Italia, gli venne consegnato il Libro delle profezie diCocq.Anche alla Chiusa Pesio, Antonio ebbe fama di santità per la fede, il distacco dalmondo, l’amore al silenzio e alla preghiera contemplativa.Morì il 22 marzo 1458.
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Antonio Le Cocq (o Le Coq) nacque ad Avigliana nel 1390 da nobile famiglia. Ancora oggi, nell’antica e importante cittadina della bassa Val di Susa, si ha memoria della sua casa che sorge nei pressi della chiesa del Gesù. Dovette essere un giovane assai incline alla preghiera se nel farsi religioso decise, a venti anni, di essere certosino. A sette miglia da Susa vi era la certosa di Montebenedetto, ma volle entrare nella Grande Chartreuse di Grenoble, la più antica. Si distinse per il rispetto della Regola, venne ordinato sacerdote e professò solennemente. Come i confratelli, accompagnò la solitudine del corpo all’unione totale con Dio. Il suo esempio però cominciò ad essere additato e il suo nome divenne noto anche fuori della certosa. Nonostante la giovane età aveva frequenti visite da parte di gente semplice e di nobili. Trascorsi sei anni, per non disturbare la quiete del monastero, il Capitolo Generale decise che sarebbe tornato in Italia, tra le montagne di Chiusa Pesio, nei pressi di Mondovì. Nel decreto era nominato come “nuovo professo” secondo la norma prevista quando si cambiava certosa. Le sue giornate tornarono ad essere scandite dalle orazioni, dalle austerità e dallo studio. Amava dipingere immagini di Cristo, della Madonna e di santi e per lui era come pregare, come fu per il beato Angelico. L’umiltà di Antonio aumentava come cresceva la stima di quanti lo conoscevano. Nel celebrare la S. Messa si commuoveva e alle volte andava in estasi. Il monaco portinaio testimoniò che amava recarsi su una vicina altura, detto il bricco della Madonnina, dove si immergeva in una profonda contemplazione e più volte lo vide pregare sollevato da terra, con le mani stese a forma di croce e il capo circondato da raggi splendenti. Anche in cella lo videro rapito, con il corpo sollevato da terra. Aveva il dono di leggere nei cuori e di prevedere il futuro ed era un riferimento anche per gli altri monaci. Quando fra Raimondo Franco della Briga fu destinato con un incarico di responsabilità alla certosa di S. Pietro di Genova fu il beato che lo convinse ad accettare. Nel Capitolo Generale del 1447 i superiori della Lombardia decisero che non avrebbe lasciato Chiusa Pesio per dedicarsi solo allo studio. Era ormai nota a tutti la sua santità. Il beato Le Cocq era cercato per dottrina e santità dai duchi di Savoia e dal Re di Francia. A Jolanda di Francia, figlia di Carlo VII e sposa del B. Amedeo IX di Savoia, dedicò un trattato sul libro di Giobbe. Contro la duchessa, futura reggente, si scatenerà l’odio dei cognati. Jolanda aveva per il Beato una grande stima e gli chiese di ospitare il fratello Luigi. L’erede voleva anzitempo il trono e il padre giunse persino ad ordinarne l’arresto. Una situazione assai complessa costrinse il delfino, con poca scorta, a rifugiarsi prima presso il duca di Borgogna e poi in varie province. A Pesio i monaci pensarono che fosse un semplice gentiluomo, ma rivelatore e fortunato fu il suo incontro con Antonio. Trascorsero insieme alcune ore, il certosino gli diede molti consigli dicendogli che non era corretto ambire alla corona prima del tempo. Gli predisse la riconciliazione con il padre e l’ascesa al trono, come avvenne nel 1461. Luigi XI passò alla storia per aver riunito sotto il dominio della corona la maggior parte del territorio francese, proseguendo l'opera paterna di unità e stabilità dopo la terribile la Guerra dei Cent’anni. Il monarca lo tenne sempre in grande considerazione e lo avrebbe voluto presso di sé, se la morte non fosse sopraggiunta (chiamò poi s. Francesco da Paola). Si conservavano nella certosa alcune lettere autografe del re che bruciarono nel 1515 in un furioso incendio. Dalla Francia giunsero anche alcune sacre suppellettili e fondi per l’abbellimento della chiesa. Molti furono i vantaggi che nei decenni a venire furono concessi alla certosa. Antonio fu un fecondo scrittore anche se le sue opere non vennero mai stampate. Oltre al commento sul libro di Giobbe che dedicò a Jolanda, scrisse il “Liber consolationis” in cui raccolse alcuni pensieri tratti da s. Bonaventura e da s. Bernardo e un libro di profezie dalla storia singolare. Carlo VIII Re di Francia, mentre nel 1494 andava alla conquista del regno di Napoli, si fermò ad Asti un mese perché colpito dal vaiolo. Memore della devozione del padre Luigi XI verso Antonio, sapendo che nella certosa si conservava un libro di profezie, spedì un suo cavaliere con lettera al priore, chiedendo del libro. Non c’era il tempo di copiarlo e fu mandato l’originale. Probabilmente andò perso durante la battaglia di Fornovo o non fu più restituito perché il contenuto non era da divulgare. Antonio compose anche uno studio sulla certosa, anch’esso poi andato perso. Dopo quarantotto anni di vita religiosa, il dotto certosino serenamente spirò il 22 marzo 1458 e come era abitudine dei monaci fu sepolto senza alcun monumento. Presso il suo sepolcro ci furono molte grazie e si raccoglievano piante e fiori da cui si ricavavano unguenti contro la febbre. Molti venivano al monastero e si dice che per non turbare la quiete il priore gli ordinò di non fare più miracoli. Grazie alla fama del beato, furono molti i lasciti per grazie ricevute giunte in particolare da Mondovì. Il suo corpo fu poi trasferito sotto la grande croce comune. Nell’Ordine gli è stato dato il titolo di beato, non confermato perché i certosini per umiltà non lo chiesero a Roma. Sia a Pesio che nella casa natia ad Avigliana fu affrescato il suo ritratto. I certosini da Montebenedetto nel 1498 di trasferirono a Banda nei pressi di Villar Focchiardo, poi andarono ad Avigliana e infine, fino alla soppressione napoleonica, a Collegno. L’importane agiografo piemontese Giacinto Gallizia gli ha dedicato un libro insieme al b. Cherubino Testa nel 1724.
Autore: Daniele Bolognini
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