Giovanni Folci nacque a Cagno, in provincia e diocesi di Como, il 24 febbraio 1890, e ricevette il Battesimo tre giorni dopo nella parrocchia di San Michele. Era figlio di Carlo Folci, gestore di una posteria (un negozio di generi alimentari con annessa osteria) e di Teresa Sonzini, che oltre a lui ebbero tre figli.
Giovanni crebbe in un contesto molto religioso: a sette anni iniziò a fare il chierichetto e, nello stesso periodo, cominciò le scuole elementari. Nei mesi estivi si recava dalla nonna a Malnate, facendo quindi la conoscenza di un fratello della madre, Carlo Sonzini, che studiava nel Seminario di Milano. La sua frequentazione fece sorgere e alimentò nel bambino il desiderio di diventare anche lui sacerdote.
Fu proprio lo zio a suggerire ai genitori d’inviare Giovanni a completare le elementari nel collegio arcivescovile di Milano a Vendrogno: il suo profitto fu tale che gli venne concesso di saltare la quinta classe.
Alla fine dell’estate del 1901, poco dopo aver assistito all’ordinazione sacerdotale di don Carlo, Giovanni giunse alla sede di Domaso del Seminario di Como, per frequentarvi il ginnasio. Tuttavia, mentre era al terzo anno, venne colpito da una malattia polmonare: fu quindi mandato a curarsi nell’ospedale delle Suore Infermiere dell’Addolorata a Valduce. Appena ristabilito, riprese a studiare da esterno in vista degli esami, che superò nel 1909.
Grazie all’interessamento di don Carlo Sonzini, in via eccezionale il seminarista passò in diocesi di Milano, nel collegio arcivescovile di Lecco; vi restò due anni, al termine dei quali tornò a Como. Il 6 gennaio 1913 Giovanni venne ordinato diacono e, il 13 luglio dello stesso anno, sacerdote nel Seminario maggiore di Como. Proprio quel giorno formulò un proposito solenne: «Mi impegnerò con ogni mio mezzo a suscitare e ad aiutare le vocazioni sacerdotali e religiose».Il giorno dopo celebrò la Prima Messa nel Santuario del Crocifisso a Como, con lo zio al suo fianco; la settimana seguente, il 20 luglio, celebrò nella sua parrocchia d’origine.
La prima destinazione del novello sacerdote avrebbe dovuto essere Primolo, nell’alta Valmalenco, ma nel mese di agosto il vescovo di Como cambiò parere, incaricandolo della parrocchia di Valle di Colorina, frazione di Colorina, paese della Valtellina. Il luogo non godeva di buona fama, come lui stesso ebbe modo di constatare: quando arrivò per la prima volta, il 23 agosto 1913, accompagnato dalla madre, fu accolto solo dal capostazione. In parrocchia la situazione non fu diversa: dei circa 300 abitanti, non trovò quasi nessuno.
Per riorganizzare, anzi, per far rivivere la comunità, don Giovanni comprese di dover partire dalla catechesi per tutti, bambini e adulti: la gente del luogo era impegnatissima nel lavoro sui monti e nell’allevamento del bestiame, per cui non curava molto la propria formazione spirituale. Anche per questo motivo, invitò lo zio don Carlo a tenere un triduo di predicazione speciale. Nel giro di pochi mesi, la vita della parrocchia cambiò notevolmente.
Era trascorso appena un anno dal suo arrivo quando nell’agosto 1914, con lo scoppio della prima guerra mondiale, don Giovanni venne chiamato alle armi nella sezione di Sanità; in seguito, verso la fine di settembre, fu nominato cappellano militare. Dal settembre 1915 al maggio 1916 fu in prima linea con i soldati sul fronte dell’Isonzo, poi, a seguito di una breve licenza, di nuovo in prima linea dall’ottobre 1916 al gennaio 1917.
L’esperienza vissuta al fronte lo segnò particolarmente, come testimoniano i suoi diari, le lettere allo zio. Alcuni brani dei resoconti del giovane cappellano furono pubblicati proprio da don Carlo su «Luce», il settimanale da lui fondato a Varese, sua nuova destinazione. In più di un’occasione don Giovanni rischiò la vita, anche nella celebrazione della Messa al campo, ma si sentiva sempre protetto dalla sua veste da sacerdote.
Il 24 ottobre 1917, durante la dodicesima battaglia dell’Isonzo, le truppe italiane non ressero allo scontro con quelle austro-ungariche e tedesche. In quella che passò alla storia come la disfatta di Caporetto rimase coinvolta anche la brigata di cui faceva parte don Giovanni: dopo una provvisoria prigionia a Rastatt nel Baden-Württemberg, venne internata nel campo di Celle, nella Bassa Sassonia.
Anche in quella circostanza, il cappellano non si scoraggiò: per prima cosa chiese e ottenne il permesso di celebrare l’Eucaristia per sé e per gli altri confratelli, poi si occupò di catechizzare e confortare i prigionieri.
A fine settembre 1918 don Giovanni venne inviato in un ospedale per ammalati gravi, vicino a Limburg. Non se ne allontanò nemmeno quando, il 4 novembre 1918, fu dichiarato l’armistizio: come scrisse allo zio, «Resto e resterò fino a quando non sarà partito l’ultimo ammalato». Finalmente, nel gennaio 1919, ripartì per l’Italia, portando in cuore un progetto concepito già durante gli anni di prigionia: erigere un tempio votivo in onore e a suffragio dei prigionieri di guerra. Di passaggio per Roma, lo riferì a papa Benedetto XV e venne da lui incoraggiato ad attuarlo.
Rientrato a Valle di Colorina nel mese di luglio, comunicò ai parrocchiani la sua idea. Poco più di un anno dopo, il 19 luglio 1920, viene benedetta la prima pietra del santuario. Fu intitolato a Gesù Divin Prigionieroin riferimento al fatto che, come si diceva al tempo, il Signore si era fatto Prigioniero d’Amore nel Tabernacolo e quindi la sua condizione appariva simile a quella di tanti altri prigionieri di guerra. Tra pause, ampliamenti e raccolte di fondi, il Tempio venne consacrato il 27 settembre 1925.
Anche nel mezzo delle attività di costruzione, don Giovanni non dimenticò di essere anzitutto pastore di quella comunità. I suoi fedeli sapevano che, quando non lo vedevano in paese a parlare con loro o ad assistere gli ammalati, potevano sicuramente trovarlo in chiesa a pregare.
La sua intensa attività lo portò comunque, nel dicembre 1925, a prendere un periodo di riposo. Mentre era costretto a letto, non restava comunque inerte: ragionava e pregava riguardo a come dare concretezza al suo proposito di dodici anni prima, con un’opera che sostenesse le vocazioni sacerdotali «dall’alba al tramonto», come diceva lui, ossia dall’infanzia fino all’età avanzata.
Un altro degli impegni in cui era coinvolto era la predicazione degli Esercizi spirituali. Nell’estate 1926, ad esempio, fu impegnato all’istituto San Carpoforo di Como per un corso destinato alle giovani di Azione Cattolica, di cui era Assistente ecclesiastico per la Valtellina. Una maestra elementare, Celestina Gilardoni, chiese di lui a un’amica che veniva da Valle e che glielo presentò: era rimasta tanto colpita dalla sua presentazione del sacerdozio cattolico da decidere di aderire alla sua iniziativa.
Don Giovanni fu molto esigente con lei, ma due mesi dopo se la vide di nuovo davanti, con il medesimo intento. Forse per metterla alla prova, scrisse un questionario e le disse di rispondere in tutta sincerità, mettendosi in preghiera davanti al Tabernacolo del Santuario del Divin Prigioniero. Le risposte, anche se con non poche lacrime, furono tutte positive.
A settembre furono quindi accolti, nella canonica ristrutturata, i primi sette bambini che vi avrebbero frequentato il preseminario. Per prendersi cura di loro, Celestina partì il 29 novembre 1926 e, insieme a tre compagne, si stabilì in una stanza sul lato destro del Santuario: fu quello il primo nucleo delle Ancelle del Divin Prigioniero, che professarono i primi voti religiosi l’8 dicembre 1930 e i voti solenni il 30 novembre 1931. Cinque anni dopo arrivò il rescritto con cui diventavano congregazione di diritto diocesano.
Mentre i ragazzi aumentavano di numero, monsignor Alessandro Macchi, vescovo di Como, che già aveva conosciuto e benedetto l’opera, inviò a Valle don Carlo Alfieri come aiutante. Undici anni dopo, nel novembre 1942, don Giovanni era nuovamente a Roma, per l’approvazione delle Costituzioni delle Ancelle, ma stava già pensando alla costituzione anche di un’Associazione Sacerdotale.
Sorgevano intanto nuove case a Como e a Santa Caterina Valfurva, cui si aggiunse la prima realtà fuori diocesi, un preseminario a Borghetto d’Arroscia presso Albenga. Nel 1946, però, suor Maria della Santissima Trinità, ossia Celestina Gilardoni, fu colpita da paralisi progressiva; morì due anni dopo, il 7 settembre 1948.
Nel 1950 si tenne l’inaugurazione della Casa Gesù Sacerdote a Loano in Liguria, come casa di cura e di vacanze per sacerdoti. Nello stesso anno don Giovanni andò ancora una volta a Roma, in occasione della proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria Vergine, ma si occupò anche di prendere i contatti per un nuovo preseminario. Cinque anni dopo, grazie a un accordo con l’Arciprete di San Pietro, fu avviato il Preseminario San Pio X, tuttora in funzione: lo scopo era l’accoglienza di ragazzi che, oltre a studiare, prestassero servizio come ministranti nella Basilica Vaticana (per questo sono comunemente detti “i chierichetti del Papa”).
Il 5 febbraio 1957 don Giovanni accorse a Varese presso il capezzale dello zio che, nominato monsignore nel 1942, aveva fatto sorgere a sua volta un nuovo istituto, le Ancelle di San Giuseppe. Monsignor Sonzini, da tempo malato, morì lo stesso giorno, dopo che il nipote aveva celebrato la Messa; anche per lui è in corso il processo di beatificazione.
Il 23 febbraio 1960 don Giovanni venne nominato rettore del Santuario della Madonna del Soccorso a Ossuccio, a lui molto caro, dove inviò subito le Ancelle e alcuni ragazzi. Tuttavia, nel medesimo anno, mentre si trovava ad Albenga, accusò problemi cardiaci e venne ricoverato a Milano.
Mentre la malattia avanzava, lui non trascurava le visite alle varie case. Proprio il giorno dopo essere tornato da Loano ed essere passato per Como, il 31 marzo 1963, fu trovato morto nella sua stanza dalle Ancelle che l’aspettavano per la Messa: si era sentito male ed era caduto a terra dopo aver salutato, dalla sua finestra, alcuni ragazzi del paese. Il suo corpo, inizialmente sepolto nel cimitero cittadino, sette mesi dopo fu traslato nel Santuario del Divin Prigioniero, in un’apposita tomba.
Tre anni dopo, giunse l’approvazione diocesana dell’associazione sacerdotale, col nome di Sacerdoti di Gesù Crocifisso, che dal 1990 ha la qualifica di associazione pubblica clericale. Le suore, invece, assunsero la denominazione di Ancelle di Gesù Crocifisso. I due rami, insieme ai collaboratori laici, sono uniti nell’Opera Divin Prigioniero, detta anche Opera Don Folci. Il suo scopo è quello di formare sacerdoti e cristiani santi, per rendere santo tutto il popolo. L’attenzione è rivolta in particolare ai sacerdoti, che, secondo un’espressione continuamente ripetuta dal Padre fondatore, devono essere interamente dediti a «dare Dio alle anime e le anime a Dio».
A fronte della perdurante fama di santità di don Giovanni Folci, è stato aperto il suo processo di beatificazione. Ottenuto il nulla osta da parte della Santa Sede il 7 luglio 2003, è stata aperta l’inchiesta nella diocesi di Como, durata dal 15 settembre 2004 al 12 novembre 2005 e convalidata il 24 febbraio 2007. Il volume della “positio super virtutibus” è stato consegnato alla Congregazione vaticana per le Cause dei Santi il 16 febbraio 2013. Sia i consultori teologi sia i cardinali e vescovi membri della Congregazione hanno dato parere positivo sull’esercizio in grado eroico delle virtù cristiane da parte del Servo di Dio.
Ricevendo il Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, cardinal Angelo Amato, il 30 settembre 2015, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui don Giovanni Folcipuò essere dichiarato Venerabile.
Autore: Emilia Flocchini
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