Angelo nacque a Favara il 10 agosto 1919, quarto di sei fratelli in una famiglia di modeste condizioni ma ferma fede; soprattutto la mamma Agata fu per i figli prima maestra di fede ed esempio di virtù cristiane, tanto che dalla famiglia uscirono ben due vocazioni religiose, a cui la famiglia non oppose resistenza, obbediente alla voce del Signore.
Sin da piccolo Angelo manifestò la sua particolare predisposizione verso Gesù, dedicandosi, oltre che ai giochi, anche alla preghiera e seguendo l’esempio del fratello maggiore Salvatore, anch’egli chiamato a consacrarsi al Signore. All’età di 14 anni entrò a far parte della “San Vincenzo”, tramite cui ebbe modo di sperimentare la bellezza della carità, che esercitò con gioia e dedizione, visitando e aiutando i poveri.
Seguì con particolare attenzione il percorso vocazionale del fratello, fino a quando questi partì per le missioni in Cina e, a quel punto, giunto ormai all’età giusta, manifestò alla mamma il desiderio di seguire le sue orme, entrando fra i salesiani, poiché anch’egli sentiva nel suo cuore l’ardente richiamo della missione evangelizzatrice. La madre accolse non senza sofferenza la sua richiesta, perché sapeva che, come non avrebbe più rivisto Salvatore, così non avrebbe più potuto rivedere Angelo se anche lui fosse partito per le missioni, ma lo incoraggiò a seguire la voce del Signore.
Dal 1934 al 1938 Angelo rimase presso l’Istituto di Gaeta per studiare e per discernere la sua vocazione, furono anni improtanti, in cui la fede semplice del ragazzo maturò e si arricchì di quei pilastri importanti, che sorreggono nel momento della prova. A Gaeta i superiori poterono constatare che la vocazione di Angelo non era una mera imitazione del fratello ma aveva delle basi salde in un’anima profondamente unita a Cristo.
Il 21 settembre 1938 lasciò l’Italia per partire in missione, giunse a Hong Kong, dove fece il noviziato e il corso filosofico, i compagni ricordano che “aveva un carattere buono e allegro, sempre pronto a prestarsi per qualunque servizio alla comunità”, amava scherzare e accettava volentieri anche gli scherzi che gli facevano gli altri. Era anche appassionato di canto e, oltre che le sacre lodi al Signore, gli piaceva anche cantare insieme ai confratelli per allietare le loro giornate.
Il giorno della sua professione scrisse come impegno nel suo taccuino: “Combatterò la superbia e coltiverò la purezza” e sarà veramente un esempio di umiltà e innocenza per tutti.
Terminato il corso filosofico ricevette l’obbedienza di andare a Macao per il tirocinio ma lo scoppio della guerra gli impedì di raggiungere l’isola e, non volendo sprecare un giovane così brillante e ricco di virtù, fu temporaneamente inviato a Shangai come assistente e insegnante del noviziato. Nel frattempo, non senza difficoltà, studiava la lingua locale, l’alfabeto e le tonalità, perché desiderava quanto prima dedicarsi alla missione sul campo.
Terminato il corso filosofico ricevette l’obbedienza di andare a Macao per il tirocinio ma lo scoppio della guerra gli impedì di raggiungere l’isola e, non volendo sprecare un giovane così brillante e ricco di virtù, fu temporaneamente inviato a Shangai come assistente e insegnante del noviziato. Nel frattempo, non senza difficoltà, studiava la lingua locale, l’alfabeto e le tonalità, perché desiderava quanto prima dedicarsi alla missione sul campo.
Come assistente del Maestro dei Novizi si trovò a doversi occupare totalmente della loro formazione. Prese con serietà l’impegno e ogni mattina si svegliava alle 4.30 per essere mentalmente e spiritualmente pronto a una nuova giornata, durante la quale, non senza sforzo, cercava di essere in tutto modello per quei giovani, che si preparavano a consacrarsi al Signore.
Purtroppo la guerra portò non solo paura e incertezza ma anche una grande fame. Il cibo scarseggiava e i militari non permettevano neanche che si facesse la carità ai mendicanti. Il forzato digiuno colpiva, ovviamente, anche il noviziato e don Angelo, per primo, si privava del cibo, per poter dare quel poco che c’era ai ragazzi. Come ricorda un salesiano testimone di quei giorni, per strada si vedevano ragazzi strappare la corteccia degli alberi e mangiarla. La razione di cibo dei salesiani consisteva in un pugno di riso cotto nell’acqua con qualche foglia di verdura.
In queste proibitive condizioni lo spirito di don Angelo si fortificava ma il suo fisico subiva i colpi e alla fine cedette, al rientro da una passeggiata si sentì male, sentiva un forte dolore al petto e affaticamento. Continuò, per un po’, nel suo servizio ai novizi, ma l’aggravarsi delle sue condizioni richiesero, alla fine, diversi viaggi verso l’ospedale per fare degli esami, da cui emerse che un polmone era completamente intaccato dalla tisi.
Anche le medicine erano di difficile reperibilità e don Angelo, incoraggiando il fratello assicurandogli che la guerra sarebbe presto finita, spesso rifiutava le medicine chiedendogli di darle agli altri ammalati, e alla fine accettò di prenderle per obbedienza, non accettando però quella poca frutta che si riusciva a trovare e che si portava agli ammalati. Con pazienza sopportare le sofferenze senza mai lamentarsi, anzi ripeteva: “Siamo nelle mani di Dio, il più amabile dei padri. Le prove che ci manda sono sempre per il nostro bene e insieme il mezzo più efficace per collaborare con lui alla salvezza dei nostri fratelli”.
Terminata la guerra i superiori, constatato il fatto che la sua salute non aveva subito alcun miglioramento, decisero di inviarlo in Italia per curarsi. Salutando il fratello, don Angelo gli disse: “Arrivederci. Appena guerito verrò anche io a lavorare in quel distretto, così saremo insieme e svolgeremo un buon apostolato”. Giunse nella Casa Salesiana di Piossasco (To) il 7 marzo 1947, “ci accorgemmo subito che il suo caso era grave – testimoniò l’economo della Casa -, per non dire disperato. Provenivamo entrambi dalle missioni, lui dalla Cina, io dalla Thailandia. I nostri discorsi erano sempre orientati ai Paesi dove avevamo lavorato e al desiderio di tornarvi al più presto per continuare il nostro apostolato. Devo guarire, mi diceva. In Cina hanno grande bisogno di personale. La vita è un dono prezioso che desidero spendere tutto in quella terra lontana!”.
Ma le sue condizioni si aggravarono ulteriormente e quando comprese che quel piccolo Calvario sarebbe stato il luogo della sua missione, con umiltà e obbedienza, accettò la divina volontà: “Avrei tanto desiderato lavorare nelle missioni, morire in quella terra cui ho donato il meglio della mia giovinezza – diceva – ma se il Signore ha disposto diversamente, sia fatta in tutto la sua adorabile volontà”. Questo cammino spirituale incontro al Signore durò quasi un anno.
Nel gennaio del 1948 le sue condizioni si aggravarono e iniziò una lunga agonia, durata diverse settimane, il 15 febbraio nel pomeriggio si avvicendò nel servizio del malato, don Baroni, che così ricorda quelle ore: “Parlammo poco, anche perché era molto affaticato. Conservò fino all’ultimo una piena lucidità. Ad un tratto mi chiese con grande serenità:
– Per favore potresti prestarmi il tuo orologio?
– Cosa desideri farne?
– Gradirei vedere l’ora precisa della mia morte.
Presi il mio orologio e glielo appesi alla parete, proprio di fronte. Ogni tanto alzava gli occhi, quasi a scrutare il tempo che fluiva lentamente, avvicinandolo al grande momento, atteso con tanto coraggio.
Le sue labbra si muovevano per recitare qualche preghiera. Il volto era disteso, sereno, quasi sorridente.
Si spense lentamente, come una lampada a cui viene a mancare l’olio…”.
Lasciò questa terra nella sera del 15 febbraio 1948.
Don Angelo non riuscì personalmente a coronare il suo sogno di diventare missionario in campo, ma il suo esempio, i suoi insegnamento, la sua anima ha continuato a vivere in coloro che lo conobbero e, anche se non fisicamente, egli spiritualmente è stato missionario in quei giovani che hanno condiviso con lui l’esperienza religiosa e sono stati novizi negli anni della sua assistenza.
Fonte:
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www.giovanisanti.wordpress.com
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