Questa è la storia di Elena e Vito, genitori di Silvia ed Edoardo, una famiglia di Soverato, provincia di Catanzaro. Silvia oggi non c’è più, morta con un tumore osseo molto aggressivo. Una famiglia permeata dalla fede. I bambini crescono, spesso litigano, frequentano insieme le scuole. Silvia ama danzare. Porta dentro di sé qualcosa di celestiale.
Silvia gode dell’amore di tutti, e tante volte, volteggiando per la casa, grida intonando “Sono felice, sono felice..”. Spesso capita che balli da sola, in giro per la casa, e a volte impedisce alla sua mamma di fare bene le pulizie, infatti le dice: “Silvietta, mi impedisci di pulire bene! Fermati un attimo, non ti guarda nessuno!” lei pronta risponde: “Ma cosa dici? Sto ballando per Gesù, c’è Lui che mi guarda!”.
Qualcosa però comincia a non andare bene. Nel febbraio 2006 tornando da scuola, dopo aver faticato nel provare un balletto per il Carnevale ormai prossimo, Silvia accusa un dolorino al di sopra del ginocchio sinistro che le provoca una leggera zoppia e con una smorfia dice: “Ho urtato al banco mamma, non è niente, passerà” e continua a studiare a casa, ripetendo le lezioni orali ad alta voce.
Il giorno dopo ripartono le prove per il balletto, Silvia torna ancora a casa con il dolore che, questa volta, la costringe a letto per un giorno. La persistenza di quello stato porta mamma e papà ad insospettirsi e a iniziare la ricerca della causa; una semplice radiografia rivela la presenza di una rarefazione corticale ossea che non lascia presagire nulla di buono. Una successiva risonanza magnetica non specifica di cosa si tratta, ma intima una rapida e precisa indagine.
E’ allora che il mondo crolla addosso ai genitori, ma mai addosso a Silvia che al momento, ignara di tutto, non si preoccupa di nulla se non di rassicurare mamma e papà.
La partenza per Milano è immediata come pure il ricovero presso l’Istituto Ortopedico specializzato, dove in breve tempo e con non poche sofferenze arriva la diagnosi: Silvia è affetta da “Sarcoma di Ewing” un tumore osseo maligno altamente aggressivo ed invasivo che colpisce i ragazzi mediamente fra i 5 e i 16 anni.
La piccola viene sottoposta a due biopsie che affronta sorridendo e andando in sala operatoria vestita da “tedoforo” in vista delle olimpiadi invernali di Torino. Passa ore sotto la TAC e la Risonanza Magnetica, quando entra incoraggia il tecnico radiologo che, conscio della situazione ed immaginando già ciò che vedrà, cerca di nascondere professionalmente la sua preoccupazione dietro mascherate coccole.
Quando finisce di sottoporsi agli esami tecnici, sorridendo dice a mamma e papà: “Sono stata in compagnia di Gesù; sono contenta perché mi parla come parla il mio papà, e mi dice di non preoccuparmi perchè tutto andrà bene”. In reparto si prega tutti i giorni e nonostante ci sia tanta sofferenza si ha una sensazione, vivendo accanto a Silvia, di grande serenità. Gli infermieri e i medici, ma soprattutto i malati, tutti eccezionali per la loro condizione, fanno a gara per chiacchierare ed apprezzare lo spirito di gioia, di serenità e di quanto altro possa esserci di positivo in Silvia.
Di fronte alla sofferenza di un figlio, una mamma, un papà, non possono fare a meno di ribellarsi. È un istinto naturale. È una lacerazione così atroce che scaraventa “fuori di se”, fuori dal proprio ruolo di genitori, fuori dal passato, dal presente, dal futuro. Si prospettano tempi duri per Silvia e per i suoi genitori, bisognerà spiegarle tante cose e non ultima la imminente e rapida perdita dei capelli.
Ma il tutto si risolve in una semplice battuta da parte di Silvia, - che tra l’altro recepisce per vie traverse ad opera di un bimbo con il quale si trova a giocare nella sala scuola dell’INT, - ”I capelli? E chi se ne importa, tanto ricrescono, e poi quando si tratta della mia salute non mi posso preoccupare di queste cose”. Si alternano giorni sereni a momenti di ansia e sofferenza e lì dove noi ci chiediamo: “perché i bambini soffrono?”, è proprio Silvia a dare risposta: “ Mamma! Ho capito perché Gesù permette tutto questo! Con la mia sofferenza guariranno tanti bambini, e poi dobbiamo pregare anche per tutti quei genitori che non riescono a farlo!”.
Le sedute di radioterapia si infittiscono, ma poi devono essere interrotte per elevata tossicità del sangue. Intanto le telefonate dei familiari sono numerose e i genitori di Silvia non chiedono altro che la preghiera incessante; nel frattempo anche Edoardo comincia a risentire della lunga permanenza fuori casa della sua famiglia e chiede di poter andare a Milano per passare qualche giorno insieme ai suoi per un tempo anche breve. La richiesta viene subito appoggiata con grande gioia, particolarmente da Silvia che non vede l’ora di riabbracciare suo fratello.
Ancora una volta Silvia ritorna a casa. A casa si prega spesso ed una sera, mentre si recita il rosario e si legge una preghiera nella quale sono ripetute le parole “chiedete e vi sarà dato”, Silvia dice a mamma e papà una frase che lascia tutti perplessi : ”Io non ho bisogno di chiedere niente perchè mi sono venduta a Gesù fin da piccola”.
Arriva il mese di dicembre, la mamma pensa di fare l’albero prima del dovuto proprio per consentire a Silvia di goderselo per più tempo possibile, e proprio sotto l’albero, interrogata su cosa volesse come regalo di Natale, risponde: ”Non voglio niente, ho tutto!”.
La mattina dell’otto dicembre Silvia riposa, mentre una flebo con fortissimi antidolorifici lenisce le sue silenziose, ma profonde e forti sofferenze fisiche.
Nel pomeriggio le condizioni peggiorano e Silvia alle ore 17,15 nasce in cielo attorniata dai suoi cari, incoraggiata da tante preghiere, aiutata dalla musica degli angeli da lei sognata, lasciando, nel cuore dei presenti, un esempio luminoso di candore, di semplicità, di fortezza nella sofferenza, di amore a Gesù.
La mamma ringrazia ad alta voce il Signore e consegna Silvia alla Sua infinita ed amorevole volontà.
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