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Don Cesare Maria Oltolina Religioso barnabita

Festa: Testimoni

Rho, Milano, 14 maggio 1922 - Garbagnate Milanese, Milano, 28 ottobre 1945

Don Cesare Maria Oltolina (1922-1945), religioso dei Chierici Regolari di San Paolo, noti come Padri Barnabiti, visse la sua vocazione con profonda devozione e sacrificio, dedicandosi interamente a Dio e al prossimo come “anima vittima.” Fin dall'infanzia, la frequentazione del Santuario dell’Addolorata di Rho alimentò la sua vocazione, e già a 17 anni emise i voti di povertà, castità e obbedienza. Compreso del dono divino della vocazione, nutriva un profondo amore per la Congregazione, studiandone la storia e desiderando emularne gli esempi più alti. Anelava con ardore al sacerdozio, sognando le Missioni lontane e l'intimo lavoro per le anime. Colpito da una dolorosissima tubercolosi intestinale, abbracciò la sofferenza come partecipazione alla Passione di Cristo, rifiutando ogni sedativo per offrire ogni dolore. La sua vita si concluse il 28 ottobre 1945, nel giorno della sua professione solenne.



Infanzia e Vocazione
Cesare Oltolina nacque il 14 maggio 1922 a Rho, nella Provincia di Milano, in una famiglia cristiana e numerosa. Fin dalla fanciullezza, frequentò il Santuario dell’Addolorata, dove servì l’altare e ricevette una prima educazione spirituale. Questo legame con la Madonna Addolorata, nata in un ambiente devoto, si approfondì negli anni, trasformandosi nella base spirituale della sua vita. La sua decisione di consacrarsi a Dio venne presto, sentendo già all’età di 10 anni una forte chiamata religiosa. Don Cesare raccontava che, per poter servire la Messa ogni mattina, chiedeva alla madre di svegliarlo prestissimo, così da essere il primo a giungere al Santuario.

Formazione e Prime Esperienze Religiose
Don Cesare, sostenuto dalla propria fede e sotto la guida di P. Rangoni, che aveva indirizzato diversi giovani alla vocazione barnabita, ottenne nel 1939 l’ingresso nella scuola apostolica di Cremona, dove poté proseguire gli studi ginnasiali. A soli diciassette anni, scelse di unirsi ai Barnabiti, distinguendosi per la dedizione e l’impegno, nonostante le difficoltà. P. Pellegrini, suo vice-rettore, lo descrive come uno studente volenteroso, impegnato nella preghiera e nello studio, mosso da un forte amore per la liturgia e dal desiderio di consacrare la vita a Dio. “Amavo tutto ciò che riguardava le missioni,” scriveva nelle lettere, esprimendo l’ardore di una giovane anima pronta a donarsi senza riserve.

Il Noviziato e la Prima Professione Religiosa
La vocazione di Cesare divenne formale nel 1939, quando il 2 luglio il Capitolo del Collegio di Cremona gli concesse l'ingresso nella Congregazione barnabita. Cesare fu quindi inviato al Noviziato di Monza, dove giunse il 7 agosto 1939, sotto la guida spirituale di P. Agostino Mazzucchelli. Un momento fondamentale si verificò il 28 settembre dello stesso anno, quando indossò l’abito barnabita per mano di P. Mazzucchelli. Durante l’anno di noviziato, Cesare dimostrò una forte determinazione e un amore crescente per la comunità religiosa, coltivando un fervente legame con la Madonna Addolorata.
Il 29 settembre 1940, emise i voti semplici nelle mani del Rev.mo Padre Generale, accettando ufficialmente povertà, castità e obbedienza. Questo primo passo verso la consacrazione segnò l’inizio del cammino che Don Cesare avrebbe percorso con sempre maggiore abbandono, facendosi anima vittima e accogliendo la sofferenza come partecipazione alla Passione di Cristo. Al momento della Professione Religiosa, come ogni barnabita assunse anche il nome di Maria. Divenne dunque Don Cesare Maria Oltolina.

La Malattia e la Prova della Fede
La strada di Don Cesare fu subito segnata dalla prova della malattia. Durante il suo percorso di studi liceali, iniziò a manifestare i sintomi della tubercolosi intestinale, una condizione dolorosa che lo condusse presto a frequenti ricoveri. Sin dal principio, Don Cesare visse il dolore come un dono, un’opportunità per avvicinarsi a Dio e alla Madonna. “L’Addolorata era il mio sollievo, il suo dolore allevia il mio,” scriveva, rivelando come la Vergine Maria fosse il suo modello di accettazione e sacrificio.
La malattia lo portò a soggiornare presso Villa Stefania, un sanatorio situato a Sala Comacina, sul lago di Como, dove il giovane religioso si dedicò alle pratiche spirituali, cercando di offrire ogni sofferenza come un “fiorellino” alla Madonna e al Signore per il bene della sua Congregazione e delle anime.

La Spiritualità del Sacrificio e la Consacrazione alla Croce
Nel corso della malattia, Don Cesare intensificò la devozione alla Madonna Addolorata e abbracciò la “Santa Schiavitù d’amore” di San Luigi Maria Grignion de Montfort. Questa consacrazione mariana rappresentava per lui il massimo grado di abbandono e sacrificio, desiderando essere “totalmente offerto e schiavo per amore”. La sofferenza veniva accolta come una via di conformità a Cristo e come mezzo di espiazione. In molte lettere, Don Cesare ripeteva che il Crocifisso e la Madonna Addolorata erano la sua forza: “Se il Signore mi concede la grazia del sacerdozio, sarà grazie alla Madonna di Rho, che è stata al mio fianco in ogni prova,” scriveva con gratitudine.

L’Ultima Battaglia e la Consacrazione Finale
Negli ultimi mesi della sua vita, Don Cesare si trasferì nel sanatorio di Garbagnate Milanese, dove la sua condizione peggiorò rapidamente. Consapevole della fine imminente, Don Cesare espresse il desiderio di poter emettere i voti solenni, per suggellare l’intera offerta della sua vita al Signore. Nel luglio 1945, il Rev.mo Padre Generale, P. Clerici, lo visitò a Garbagnate, accogliendo la sua richiesta. Don Cesare, indebolito ma sereno, pronunciò la professione solenne nella festa di Cristo Re, il 28 ottobre 1945, il giorno stesso della sua morte.
Un aspetto significativo del suo ultimo periodo è il rifiuto della sedazione e della morfina, richiesti per alleviare i dolori acuti della tubercolosi intestinale. Don Cesare desiderava vivere appieno il proprio sacrificio, come aveva scritto nelle lettere, offrendo ogni sofferenza per la Congregazione e per le anime. “No morfina!” erano le parole che ripeteva alle suore e agli infermieri, spiegando di voler soffrire fino alla fine per amore di Dio e in solidarietà con la Croce. Con questa scelta, Don Cesare si consacrava come “anima vittima”, una figura di sacrificio volontario per la redenzione spirituale del prossimo.
Prima di morire, guardando il Crocifisso, ripeté parole di abbandono e fede, pronunciando anche una frase piena di pace: “Che bellezza!”, un ultimo sguardo di serenità prima di entrare nel riposo eterno.
I suoi funerali si tennero nella Chiesa di San Barnaba a Milano e il suo corpo riposa al Cimitero Monumentale di Milano.

Eredità Spirituale
Don Cesare Oltolina rimane un esempio luminoso di devozione mariana, di fedeltà alla vocazione e di offerta totale. La sua vita si concluse con una consacrazione piena, come “anima vittima” che accetta la sofferenza come via di santificazione. La sua storia, narrata nelle lettere e nelle testimonianze dei confratelli, continua a ispirare chiunque intraprenda il cammino della fede. Attraverso il sacrificio e la devozione al Crocifisso e all’Addolorata, Don Cesare ha testimoniato un cammino di fede e di totale abbandono alla volontà divina, diventando un simbolo di offerta eroica e di amore per il prossimo.

Menologio dei Barnabiti
Compreso del dono divino della vocazione religiosa, Don Cesare ebbe per la Congregazione un culto profondo, amando e studiando la nostra storia per emularne gli esempi. Anelò con ardore al sacerdozio, sognando le lontane Missioni e il lavorio intimo delle anime. E Gesù lo volle sì sacerdote, predicando dal pulpito della sua sofferenza, consumando la sua Messa nell'olocausto della sua giovinezza.


Autore:
Paolo Alberto La Rosa

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Aggiunto/modificato il 2024-11-12

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