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San Giovanni Crisostomo Vescovo e dottore della Chiesa

Festa: 13 settembre - Memoria

Antiochia, c. 349 – Comana sul Mar Nero, 14 settembre 407

Giovanni, nato ad Antiochia (probabilmente nel 349), dopo i primi anni trascorsi nel deserto, fu ordinato sacerdote dal vescovo Fabiano e ne diventò collaboratore. Grande predicatore, nel 398 fu chiamato a succedere al patriarca Nettario sulla cattedra di Costantinopoli. L'attività di Giovanni fu apprezzata e discussa: evangelizzazione delle campagne, creazione di ospedali, processioni anti-ariane sotto la protezione della polizia imperiale, sermoni di fuoco con cui fustigava vizi e tiepidezze, severi richiami ai monaci indolenti e agli ecclesiastici troppo sensibili alla ricchezza. Deposto illegalmente da un gruppo di vescovi capeggiati da Teofilo di Alessandria, ed esiliato, venne richiamato quasi subito dall'imperatore Arcadio. Ma due mesi dopo Giovanni era di nuovo esiliato, prima in Armenia, poi sulle rive del Mar Nero. Qui il 14 settembre 407, Giovanni morì. Dal sepolcro di Comana, il figlio di Arcadio, Teodosio il Giovane, fece trasferire i resti mortali del santo a Costantinopoli, dove giunsero la notte del 27 gennaio 438. 

Patronato: Preghiere

Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico

Emblema: Api, Bastone pastorale

Martirologio Romano: Memoria di san Giovanni, vescovo di Costantinopoli e dottore della Chiesa, che, nato ad Antiochia, ordinato sacerdote, meritò per la sua sublime eloquenza il titolo di Crisostomo e, eletto vescovo di quella sede, si mostrò ottimo pastore e maestro di fede. Condannato dai suoi nemici all’esilio, ne fu richiamato per decreto del papa sant’Innocenzo I e, durante il viaggio di ritorno, subendo molti maltrattamenti da parte dei soldati di guardia, il 14 settembre, rese l’anima a Dio presso Gumenek nel Ponto, nell’odierna Turchia.
(14 settembre: A Gumenek nel Ponto, nell’odierna Turchia, anniversario della morte di san Giovanni Crisostomo, vescovo, la cui memoria si celebra il giorno precedente a questo).

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“Crisostomo”, vale a dire “bocca d'oro”, fu il soprannome dato a Giovanni a motivo del fascino suscitato dalla sua arte oratoria. Nato ad Antiochia in una data non precisabile tra il 344 e il 354, Giovanni si dedicò agli studi di retorica sotto la direzione del celebre Libanio; pare che questi lo stimasse a tal punto da rispondere a chi gli chiedeva chi volesse come suo successore: “Giovanni, se i cristiani non me lo avessero rubato!” Dopo aver ricevuto il battesimo, Giovanni frequentò la cerchia di Diodoro, il futuro Vescovo di Tarso: nel gruppo di discepoli che si radunavano attorno a costui imparò a leggere le Scritture secondo il metodo antiocheno, attento alla spiegazione letterale dei testi, e compì i primi passi lungo quel cammino spirituale che lo condurrà a lasciare la città e a vivere alcuni anni in solitudine sul monte Silpio, nei pressi di Antiochia.
Rientrato in città, fu ordinato diacono dal Vescovo Melezio nel 381 e, cinque anni più tardi, presbitero dal Vescovo Flaviano, che gli fu maestro non solo di eloquenza, ma anche di carità e saldezza nella fede. Furono anni di intensa predicazione: Giovanni commentava le Scritture secondo i principi esegetici della scuola antiochena, aliena da ogni allegorismo e sostanzialmente fedele alla lettera del testo biblico. La predicazione di Giovanni si traduceva sovente in esortazione morale: ora, veniva presa di mira la passione per gli spettacoli che eccitava i cristiani di Antiochia, ora la rilassatezza dei costumi. Con grande zelo esorta a radicare la propria vita di credenti nella conoscenza delle Scritture, a vivere un'intensa vita spirituale senza ritenere che essa sia riservata soltanto ai monaci, a praticare la carità nella cura sollecita per il “sacramento del fratello”. “È un errore mostruoso credere che il monaco debba condurre una vita più perfetta, mentre gli altri potrebbero fare a meno di preoccuparsene ... Laici e monaci devono giungere a un'identica perfezione” (Contro gli oppositori della vita monastica 3, 14).
Nel 397 Giovanni fu chiamato a Costantinopoli quale successore del Patriarca Nettario. Nella capitale dell'impero il nuovo Patriarca si dedicò con grande zelo alla riforma della Chiesa: depose i Vescovi simoniaci, combatté l'usanza della coabitazione di preti e diaconesse, predicò contro l'accumulo delle ricchezze nelle mani di pochi e contro l'arroganza dei potenti, e destinò gran parte dei beni ecclesiastici a opere di carità. Anche a Costantinopoli continua il suo ministero di predicatore della Parola e di operatore di pace. La sua opera di evangelizzazione si estende ai goti e ai fenici. Intransigente quando la fede è minacciata, predica l'amore per il peccatore e per il nemico. “Il popolo lo applaudiva per le sue omelie e lo amava”, afferma lo storico Socrate (Storia ecclesiastica 6, 4).
Tutto questo gli procurò molti amici e molti nemici: amato dai poveri come un padre, fu osteggiato dai potenti, che vedevano in lui una temibile minaccia per i loro privilegi. L'inimicizia nei suoi confronti crebbe con l'ascesa al potere dell'imperatrice Eudossia. Costei, nel 403, con l'appoggio del Patriarca di Alessandria, Teofilo, indisse un processo contro Giovanni e lo fece deportare e condannare all'esilio. Il decreto di condanna fu revocato dopo poco tempo e Giovanni poté rientrare in diocesi, ma solo per pochi mesi. Durante la celebrazione della Pasqua del 404 le guardie imperiali fecero irruzione nella cattedrale della città provocando uno spargimento di sangue; vi furono disordini per diversi giorni. Poco dopo la festa di Pentecoste, Giovanni fu arrestato e nuovamente condannato all'esilio. Per evitare mali ulteriori, il Patriarca lasciò la casa episcopale uscendo da una porta secondaria; si congedò dai Vescovi riuniti in sacrestia e fece chiamare la diaconessa Olimpia e le sue compagne, che conducevano una vita comunitaria a servizio della chiesa nella casa accanto a quella del Vescovo. “Venite, figlie, ascoltatemi. Per me è giunta la fine, lo vedo. Ho terminato la corsa e forse non vedrete più il mio volto” (Palladio, Dialogo sulla vita di Giovanni Crisostomo, 10). Con queste parole il padre si accomiata dalle sue figlie spirituali.
Giovanni fece appello al papa Innocenzo I, che ne riconobbe l’innocenza; ma ciò nonostante fu costretto a lasciare Costantinopoli. Alla sua partenza vi furono tumulti in città: venne appiccato fuoco a una chiesa adiacente al palazzo del senato e questo fornì un pretesto alle autorità imperiali per arrestare e perseguitare i seguaci di Giovanni. Questi fu confinato a Cucuso, una piccola città dell'Armenia, ma anche in questo luogo sperduto era raggiunto dalle manifestazioni di affetto dei suoi fedeli, e così i suoi nemici provvidero a farlo partire per una sede ancora più lontana. Avrebbe dovuto raggiungere Pizio, sul Ponto, ma morì lungo il viaggio, a Comana, stremato dalle marce forzate a cui era stato sottoposto. Era il 14 settembre 407.
“Gloria a Dio in tutto: non smetterò di ripeterlo, sempre dinanzi a tutto quello che mi accade!” (Lettere a Olimpia, 4). In queste parole troviamo condensata la testimonianza di Giovanni; anche in mezzo alle molte tribolazioni che occorre attraversare per entrare nel regno dei cieli (cf. At 14, 22), Giovanni “Boccadoro” ci insegna a cogliere la luce della risurrezione che già si sprigiona dalla croce e a portare la croce nella luce del Cristo risorto. Allora ogni discepolo può proclamare con gioia: “Gloria a Dio in tutto!”.
Il Martirologio romano, come pure i sinassari orientali, hanno iscritto la festa di Giovanni al 27 gennaio, anniversario del ritorno del corpo a Costantinopoli. Attualmente nel calendario romano la sua festa è celebrata il 13 settembre. Nello stesso giorno la festa è celebrata presso i siri. La Chiesa bizantina lo festeggia anche il 30 gennaio, insieme a San Basilio e a San Gregorio di Nazianzo, e il 13 novembre, giorno del suo ritorno dall'esilio. In Oriente si incontrano molti monasteri a lui dedicati. Dottore della Chiesa, Giovanni circonda con i Santi Atanasio, Ambrogio e Agostino, la Cattedra del Bernini nell'abside della Basilica Vaticana. Papa Giovanni XXIII pose il Concilio Vaticano II sotto la sua protezione.

Fonte: Santa Sede

 




Si narra che la corte imperiale di Costantinopoli, stanca delle continue critiche del patriarca della città, Giovanni, contro le feste, lo sfarzo esagerato, i divertimenti continui, ed il lusso ostentato e provocante, e particolarmente irritata dalle pesanti frecciate rivolte alla stessa imperatrice, convocò una riunione per decidere il destino di quel vescovo che era una vera rottura per tutti. Gli obiettivi del “meeting” erano chiari: volevano la soluzione finale del problema, nient’altro.
Le ipotesi suggerite da alcuni gruppi di lavoro erano semplici. Ma avrebbero funzionato e fatto ravvedere il “colpevole” vescovo? Qualcuno nutriva dei dubbi, molti dubbi.
Prima ipotesi del gruppo di lavoro interpellato: gettarlo in prigione. Buona idea: ma, dicevano dubbiosi, così lui avrebbe avuto ancora più tempo di pregare e di soffrire per il Signore, come aveva sempre desiderato. Allora niente carcere.
Seconda ipotesi: condannarlo a morte. Se quell’uomo era il problema, morto lui ecco risolto anche il problema. Molto semplice, così sembrava loro. Sì, certamente, obiettava qualcuno: ma così morirà martire, e sarà ben contento di andare incontro al suo Signore. Accetterà con gioia questa prospettiva. In termini politici e di gestione del potere, non andava bene farne un martire.
Il terzo gruppo propose di indurlo a fare qualche peccato: questa infatti è la sola cosa che egli odia con tutto se stesso. Pronta l’obiezione: ma è impossibile convincerlo a commettere un peccato volontariamente.
Ultima soluzione: esiliarlo lontano da Costantinopoli. Buona idea ma... Anche questa aveva un punto debole: l’incriminato infatti affermava continuamente che tutta la terra è del Signore, e quindi lui non si sarebbe sentito in esilio in nessun luogo perché dovunque avrebbe trovato Dio.
Scossero la testa un po’ scoraggiati: sembrava un caso impossibile. La storia ci dice che quella dell’esilio fu comunque la soluzione adottata, e applicata in due tempi. Il primo fu decretato con la complicità di un gruppo di vescovi d’accordo con la corte (il famoso conciliabolo della Quercia). Questi definirono il patriarca Giovanni eretico e l’imperatore firmò la condanna, Giovanni fu così allontanato, ed Eudossia, l’imperatrice, tirò un lungo sospiro di sollievo. Ma non per molto. Insorse infatti il popolo, che aveva intuito il perché dell’esilio, e ci fu anche un terremoto a dar man forte alle loro proteste. La superstiziosa imperatrice lo fece subito richiamare in città. E fu il trionfo del patriarca.
Ma la pace con la corte non durò a lungo: lo sfarzo e il lusso continuarono e i bagordi pure, finché Eudossia si fece addirittura costruire una statua d’argento presso la grande chiesa di Santa Sofia, con il codazzo di grandi festeggiamenti di stampo pagano (persino durante la Settimana Santa), che Giovanni condannò prontamente e duramente.
E questo affrettò la soluzione finale per lui: venne infatti esiliato con possibilità di non ritorno. Prima in una fortezza militare, ma i suoi fedeli indomiti continuarono a visitarlo per ascoltarne la parola, scatenando, si può facilmente immaginare, l’ira furibonda di Eudossia. Poi, nonostante un intervento del papa di Roma Innocenzo I in suo favore, fu esiliato per sempre e costretto ad un viaggio estenuante di milletrecento chilometri, cioè il più lontano possibile dalla corte imperiale.
Giovanni cadde per via, esausto, presso il santuario di San Basilisco. Dopo aver ricevuto l’Eucarestia morì, da vero martire, sussurrando la sua preghiera preferita: “Gloria a Dio in tutte le cose”.

Alla ricerca della propria vocazione
Giovanni nacque nel 349 ad Antiochia. Suo padre Secondo, cristiano, era un generale dell’esercito romano di stanza in Asia Minore. Qui conobbe Antusa, una ragazza bella, intelligente e cristiana. Non ci pensò due volte a sposarla. La gioia della nascita di Giovanni fu però oscurata dalla improvvisa morte di Secondo. E così la bella Antusa, appena ventenne, rimase vedova con una bambino da allevare.
Invece di risposarsi, e i “partiti” non le mancavano, si consacrò al Signore, come vedova, e si dedicò completamente al suo bambino. Il quale da grande sarà sempre orgoglioso della madre, della sua scelta eroica e coraggiosa e del suo entusiasmo. Tutti elementi che daranno a Giovanni un duraturo rispetto per le donne.
Il ragazzo poi era così intelligente che all’età di 18 anni aveva già completato gli studi classici, e, con disappunto della madre, invece che prepararsi al battesimo, si concesse “alle sollecitudini del mondo e alle chimere della giovinezza”. Non progettava niente di male: sentiva semplicemente il bisogno di provare a se stesso e agli altri la propria forza oratoria, e assaggiare un po’ di libertà giovanile. Nessuna devianza dalla legalità.
Arrivato a vent’anni chiese il battesimo, seriamente. Voleva essere un cristiano tutto intero e quindi, pensava lui, la scelta migliore era farsi monaco. La madre saggiamente gli sconsigliò la seconda scelta. Motivo semplice: il rigore della vita ascetica non era fatto per lui, fisicamente fragile.
Giovanni pensò bene di non rompere con sua madre su questo, ma realizzò parzialmente il suo sogno frequentando il famoso Asceterio di Antiochia, diretto da Diodoro, uomo santo ed erudito nelle Scritture.
Con tale maestro Giovanni progrediva nella via evangelica e nella conoscenza sempre più approfondita della Scrittura. Finché il vescovo Melezio gli propose di ordinarlo prete. Non era quello il suo ideale, ma accettò alla fine di diventare... lettore, e quindi a dedicarsi all’istruzione dei catecumeni.
Morta la madre nel 372 Giovanni credette giunto il momento di realizzare il suo sogno: farsi monaco. Lo fu per alcuni anni, e dopo scelse la via eremitica, molto più impegnativa della prima. Si rintanò in una caverna per due anni, conducendo una vita estremamente dura dal lato ascetico, ma disastrosa dal lato fisico. Il suo organismo infatti ne uscì rovinato. Era questo che voleva il Signore?
Gli tornò in mente la sua saggia madre: aveva ragione lei. Era meglio santificarsi aiutando gli altri a convertirsi, che marcire in una spelonca, pensando solo alla propria santificazione. Grande verità. Capì che ci poteva essere una via alla santificazione personale insieme agli altri e per gli altri, cioè nell’azione, non solo nella preghiera e nella contemplazione solitaria in una caverna. Aveva capito e aveva scelto la propria vocazione. Malato, depresso e deluso dall’esperienza tornò ad Antiochia in aiuto del suo vescovo Melezio.
Questi lo ordinò diacono e lo portò con sé al Concilio Ecumenico di Costantinopoli del 381. Qui fu colpito dallo spettacolo poco esaltante di alcuni vescovi, spesso più impegnati ad affermare la supremazia della propria chiesa sulle altre che di testimoniare il Vangelo.

Grande predicatore e riformatore della Chiesa
Tornato ad Antiochia, fu ordinato sacerdote e incaricato della predicazione al popolo. Il popolo accorreva e riempiva la chiesa per poterlo ascoltare. Fu uno dei massimi predicatori, e proprio per questo ricevette, dai posteri, il titolo di Crisostomo cioè Bocca d’oro.
La sua parola era arricchita e sostanziata dalla Sacra Scrittura, che egli amava e conosceva in profondità.
Così la sua fama giunse fino a Costantinopoli.
E fu il grande salto: da Antiochia alla capitale imperiale. Giovanni era il candidato degno per scienza, per fama e per virtù: l’imperatore approvò volentieri la sua nomina. Ma il neo eletto deluse subito le loro aspettative... poco lodevoli.
Il patriarca Giovanni non era né un politico che vive di compromessi e di diplomazia (che spesso è ipocrisia), né uomo di mondo che si nutre di feste, di lusso e di vita comoda.
Cominciò subito un programma di riforme, cominciando dal proprio palazzo: disse un addio senza rimpianti ai ricevimenti sfarzosi per i signori della corte e delle loro dame di compagnia, ridusse i propri beni e riuscì anche ad eliminare le spese inutili della diocesi. Risultato? Più mezzi per assistere maggiormente i poveri, erigere nuove chiese, progettare ospedali efficienti, nei quali pose non solo il personale medico, ma anche cuochi e cappellani.

Vittima del potere politico intollerante
Il patriarca fu particolarmente sferzante contro la corte imperiale e le matrone imbellettate e ingioiellate in modo esagerato e provocante: “Il palazzo dell’imperatore è un formicaio di pagani, di filosofi e di petti gonfi di gloria mondana. Lo si direbbe un ricovero di idropici. Non può essere altro questa corte, perché non vi trovi che arroganti, e chi vi arriva nuovo si affretta a diventarlo”.
Come si capisce da queste parole Giovanni era un grande vescovo ma non certamente un esperto di diplomazia. Queste espressioni così dure ebbero un duplice risultato: se da una parte il popolo e la parte sana del clero gioivano per il programma di riforme e della coraggiosa denuncia di tutti gli usi e abusi dei ricchi e nobili, dall’altra fece infuriare la corte tutta e segnatamente l’imperatrice Eudossia, che, in un eccesso di... umiltà, si era auto proclamata Augusta, e come se non bastasse anche Madre della Chiesa (insieme ad altre matrone).
Lui invece le aveva dato i nomi di “nuova Gezabele” e di “nuova Erodiade” che “spuma di rabbia e chiede un’altra volta di avere su un vassoio la testa di Giovanni”.
I ricchi e i potenti (gli empi dei salmi) non sopportano i predicatori e i testimoni che denunciano i loro misfatti, ingiustizie e sete di potere: non potevano rimanere inerti davanti a quel predicatore. Come quegli empi del salmo che tendono la trappola al giusto per eliminarlo finanche dalla propria vista, così fu anche della corte imperiale nei riguardi di Giovanni. E la trappola che doveva scattare per quel patriarca che viveva da povero e da santo, ma che osava richiamare gli altri alla giustizia e alla sobrietà di vita, fu l’esilio.
Il loro buon senso suggeriva che non si poteva uccidere subito e con un solo colpo il patriarca di Costantinopoli: meglio una morte meno eroica, meno eclatante, meno esaltante e meno pericolosa (per la sollevazione del popolo) del martirio. Vada in esilio e ci rimanga per sempre. E così fu decretato nel 404.
Giovanni di Antiochia, patriarca di Costantinopoli, sfinito per le fatiche del lungo e massacrante viaggio, andò incontro al suo Signore il 14 settembre mentre correva l’anno 407.
Saranno i posteri a dargli la giusta gloria che si meritava: oltre al titolo di Crisostomo (cioè “bocca d’oro”), gli fu dato anche quello di Dottore e di Padre della Chiesa. E a distanza di tanti secoli lo ricordiamo volentieri ancora oggi.


Autore:
Mario Scudu SDB

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Aggiunto/modificato il 2018-09-13

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