«1544, il mondo cristiano è in crisi, una delle crisi più gravi della sua storia; crisi non solo religiosa e dottrinale, ma crisi anche di civiltà... César de Bus viene al mondo in questo periodo tormentato, in cui gli uomini stanno gradualmente aprendosi alla cultura, alle arti e al regno del piacere. Egli stesso si lascerà trascinare durante l’adolescenza e la prima età adulta sul pendio dell’agiatezza alla quale lo predisponevano la sua condizione e i suoi mezzi. Vita leggera, spensierata, di un essere dotato, brillante in società, poeta quando gli viene l’ispirazione, più sensibile al godimento di tutto che alle esigenze del Vangelo. La conversione non poteva che essere radicale.» È in questi termini che papa Paolo VI presentava, il 27 aprile 1975, il nuovo beato che elevava agli onori degli altari.
Nato il 3 febbraio 1544, a Cavaillon, nel Contado venassino (oggi in Provenza), César, figlio di Jean-Baptiste de Bus, console della città, e di Anne de la Marche, è il settimo di un famiglia di tredici figli. Al suo Battesimo, viene affidato al patrocinio di san Cesario di Arles, grande difensore della fede. Originaria della piccola nobiltà romana, la famiglia conta tra i suoi antenati santa Francesca Romana, nata Buxis, che è vissuta a Roma nel secolo precedente. Cesare riceve la sua prima educazione in famiglia sotto la guida di un precettore. Il bambino mostra segni precoci di vocazione sacerdotale. Si fa notare per la sua pietà, la sua mitezza di carattere e una grande modestia. Prosegue i suoi studi ad Avignone, in un collegio, poi a Cavaillon. Viene ammesso, nonostante la giovane età, nella confraternita dei Penitenti neri della città, il cui obiettivo è imitare Gesù Cristo, in particolare nelle sofferenze e nelle umiliazioni della sua Passione, con processioni penitenziali ma anche esercizi di mortificazione personale. Cesare vi vede un mezzo per premunirsi contro le insidie del demonio. Il suo zelo lo farà eleggere rettore della Confraternita.
All’inizio del regno di Carlo IX, la Provenza è in preda a disordini causati dagli intrighi dei protestanti. Nel 1562, Cesare, allora diciottenne, si arruola per la difesa della Chiesa e della fede. La preparazione che ritiene più urgente è una confessione generale dei suoi peccati, perché i pericoli dei combattimento sono da temere più per l’anima che per il corpo; concepisce la campagna come una crociata, partecipa ogni giorno alla Messa, prega con fervore mattina e sera e si distingue nel combattimento. Gli scherni di alcuni soldati nei confronti della vita virtuosa non lo turbano. Addolorato dai disordini che nota nel campo cattolico, non si erige però a censore: il suo esempio da solo è eloquente. Fa amicizia con un gentiluomo di Cavaillon della stessa età; entrambi si sostengono a vicenda nel loro dovere di stato di soldati. La guerra ha termine con l’editto di pacificazione firmato ad Amboise, il 19 marzo 1563. Smobilitato, Cesare ritorna ai suoi studi letterari e artistici.
Le attrattive del mondo
Da qualche anno, suo fratello Alexandre, giovane ufficiale, vive alla Corte; si guadagna la stima del re che lo colma di favori, e diventa capo della guardia di Carlo IX. Nel 1565, egli invita Cesare, che ama in modo particolare, a raggiungerlo, promettendo di introdurlo a Corte, di ottenergli una carica onorifica, amici e un patrimonio. Lusingato da promesse così belle, Cesare, pur mantenendo le sue abitudini di pietà, si lascia abbagliare e cede.
Somigliamo a persone che portano un tesoro in vasi senza valore (2Cor 4,7). Di queste parole di san Paolo ai fedeli di Corinto, papa Francesco ha dato un commento luminoso in occasione delle Giornate Mondiali della Gioventù, in Brasile: «La Chiesa ha sofferto molto e soffre molto ogni volta che uno dei chiamati a ricevere il tesoro in vaso di creta accumula tesori, si dedica a cambiare la natura della creta e crede di essere migliore, di non essere più di creta.» Ora gli uomini «sono di creta fino alla fine, da questo non [li] salva nessuno. Li salva Gesù a modo suo, ma non alla maniera umana del prestigio, delle apparenze, di avere dei posti rilevanti», prosegue il Papa, denunciando anche «il carrierismo che fa tanto male alla Chiesa» (omelia della Messa mattutina del 25 luglio 2013, a Sumaré – Agenzia Zenit, 26 luglio 2013).
Cesare si reca dunque alla Corte, non per servire Dio, ma per spirito mondano: il desiderio di apparire, l’ambizione e la sensualità che lo animano lo condurranno progressivamente al naufragio. La caduta è profonda e lo sarebbe stato ancor più se Dio, che voleva salvarlo, non avesse mescolato amarezze a queste dolcezze inebrianti: al giovane vengono sempre promessi incarichi, e non ne riceve mai. Deluso nelle sue ambizioni e tormentato dai rimorsi della sua coscienza, si stabilisce nel 1570 nella città di Avignone, per condurvi una vita ancora tutta mondana.
La caduta di questo giovane pio può a prima vista sorprendere. Diventa più comprensibile per chi riflette sulla tattica del diavolo, così ben descritta da sant’Ignazio nei suoi Esercizi Spirituali. I demoni tentano «gli uomini ispirando loro dapprima il desiderio delle ricchezze... al fine di condurli più facilmente all’amore del vano onore del mondo, e di lì a un orgoglio sconfinato. Per cui il primo gradino della tentazione sono le ricchezze; il secondo gli onori; il terzo l’orgoglio, e da questi tre gradini, egli porta gli uomini a tutti gli altri vizi» (n. 142, meditazione dei due stendardi). Come evitare queste trappole, se non con l’umiltà e il distacco? Chiunque di voi, afferma Gesù, non rinuncia – nel suo cuore – a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo (Lc 14,33).
«Dove andate?»
Nel 1573, la morte di suo padre e quella di suo fratello Charles, canonico della chiesa collegiata di Salon-de-Provence, inducono Cesare a riflettere; egli ritorna a Cavaillon. Lì, due sante e umili persone lo aiuteranno nel suo cammino di conversione. Per incoraggiarlo a meditare e a pregare, una vedova analfabeta, Antoinette Réveillade, chiede a Cesare di leggerle la vita dei santi. Questa donna, che vive unita a Dio e aiuta le persone accanto a lei a discernere la sua Volontà, cerca invano di distogliere il giovane dalle riunioni mondane. Quando egli esce per recarvisi, lei lo riprende: «Dove andate? A cercare occasioni per perdervi come se non si presentassero abbastanza da sole?» Una sera del 1574, insiste: «Non si prende in giro Dio. Lui vi chiama e voi non Lo ascoltate. Egli non cessa di cercarvi e voi non cessate di fuggire». E lo supplica di raccomandarsi a Dio uscendo di casa; Cesare accetta e si allontana. Dopo qualche passo, esclama: «Miserabile che sono! Mi raccomando a Dio nel momento in cui mi metto in cammino per offenderlo!» Cade allora a terra privo di sensi, come fulminato dalla grazia. Tornato in sé, va a trovare Antoinette, che gli consiglia di incontrare Luigi Guyot, sarto e sacrestano della cattedrale, uomo che irradia un’influenza particolarmente buona. Cesare inizia allora sotto la sua direzione un cammino di conversione e di penitenza. Molti combattimenti interiori si presentano; colto da paura alla prospettiva di percorrere la via stretta della rinuncia, comprende tuttavia che è il cammino della Salvezza, e si ricorda che il giogo del Signore è dolce e il suo carico leggero (Mt 11,30). «Amabile penitenza, dice, sarete la tavola della mia salvezza dopo il naufragio.»
Una svolta decisiva
Cesare de Bus si ritira a Aix-en-Provence. Un vecchio amico, padre Ferréol, lo invia a padre Pierre Péquet, gesuita di Avignone, di cui l’esperienza spirituale, la prudenza, il discernimento e la fermezza gli saranno di grande aiuto. Messo di fronte a una grave occasione di peccato, il giovane passa davanti a un convento di Clarisse che cantano l’ufficio del Mattutino. Fermatosi per ascoltarle, viene colmato di vergogna e di confusione al punto di perdere conoscenza. Questo evento segna una svolta decisiva. Dopo alcuni giorni di preparazione, fa a padre Péquet la confessione di tutti i peccati della sua vita. Di ritorno a Cavaillon, Cesare mette ordine nei suoi affari. Louis Guyot, il sacrestano, gli chiede un giorno, mentre porta ancora il pennacchio e la spada di gentiluomo, di accompagnare, con un cero acceso in mano, un sacerdote che porta il Santissimo Sacramento a un malato, umile compito affidato di solito a un chierichetto. Malgrado le beffe che egli prevede – e alle quali non sfuggirà – Cesare accetta, allo scopo di fare ammenda onorevole dei suoi peccati. Questa buona azione lo libera dallo spirito del mondo. La sua vita di preghiera diventa più intensa, medita spesso i novissimi, fa penitenza al punto di ammalarsi; a un certo punto pensa addirittura di farsi certosino. Si dedica alle opere di misericordia: elemosine, visite agli afflitti e ai malati, in particolare a un lebbroso nel quale vede l’immagine del Cristo sfigurato dai nostri peccati.
Nel 1576, Cesare segue per tre settimane gli Esercizi spirituali sotto la direzione di padre Péguet, per scegliere uno stato di vita. Dopo questo ritiro, si dedica allo studio in vista del sacerdozio. Da quel momento, la sua pietà e la sua scienza delle cose divine cominciano ad essere note. Nominato canonico della cattedrale Saint-Veran di Cavaillon nel 1578, adempie con zelo a tutti gli obblighi di questo incarico, prima di essere ordinato prete nell’agosto del 1582. La sua predicazione semplice porta frutto. «L’abbiamo ammirato un tempo in questa città, dice la gente di Cavaillon, in mezzo alle compagnie più piacevoli; ora lo vediamo sul pulpito condannare le vanità che aveva tanto amate.» Assiduo al confessionale, dirige molte anime. La lettura di una vita di Carlo Borromeo, il santo vescovo di Milano appena morto (1584), lo segna profondamente. Su richiesta del suo vescovo, lavora alla riforma del clero e dei religiosi nonché alla confutazione degli errori dei protestanti. Ma ben presto, a partire dal 1587, l’amore della contemplazione e della solitudine lo conduce in un eremo sulle alture che dominano Cavaillon, dove si dedica alla preghiera e alla penitenza.
«L’itinerario spirituale del beato, constatava papa Paolo VI, non fu senza scosse. Momenti di scoraggiamento, di notte, d’incertezza. Siamo stati colpiti, tuttavia, da quella che sarà, quasi fin dall’inizio, una caratteristica di tutta la sua vita... Vogliamo parlare del suo spirito di penitenza. La penitenza non è una parola vana per lui. Egli la spinge fino all’estremo: è stato sull’orlo del precipizio! Deve dominare le passioni di cui si è fatto un tempo schiavo, lotta violenta e perpetua. Egli impara così a ricercare ed ad amare il sacrificio, perché il sacrificio configura al Cristo sofferente e vincitore. Offrirsi in libagione, abbandonare tutto nelle mani di Dio al prezzo delle rinunce più costose, questo sembra essere stato il suo letimotiv, l’obiettivo costante dei suoi sforzi. E quando, alla fine della sua vita, bloccato dai mali e afflitto dalla cecità, potrà finalmente disporsi al dono supremo, si renderà conto di quanto l’ascesi gli sia stata utile per dominare l’uomo vecchio. Sarà pronto a incontrare il Signore. La sua gioia sarà perfetta» (27 aprile 1975).
Trasmettere a tutti
Nel 1590, Cesare lascia la sua solitudine. È colpito dall’ignoranza religiosa nelle campagne. La lettura del Catechismo del Concilio di Trento gli dà l’idea di fondare una società di sacerdoti catechisti: vuole trasmettere agli altri la sua conoscenza intima e squisita di Cristo. Si sente chiamato a istituire un metodo nuovo per insegnare le verità della fede a tutti, in particolare agli ignoranti e agli abitanti delle campagne scristianizzate: «Bisogna che tutto quello che è in noi catechizzi e che il nostro comportamento faccia di noi un catechismo vivente... Vorrei che il mio corpo fosse tagliato in una infinità di pezzettini se potesse sorgere da ognuno di essi un catechista.» Con il permesso del suo vescovo, Cesare comincia a percorrere in lungo e in largo borghi e campagne per catechizzare quelle che chiama le sue “pecorelle”. Suo cugino, Jean-Baptiste Romillon, che si era convertito dal calvinismo nel 1579 e poi era stato ordinato prete nel 1588, lo accompagna in questo apostolato. Ben presto, i nostri due apostoli tengono vere e proprie missioni nelle zone circostanti e fin nelle Cevenne. Giovani discepoli si uniscono a loro.
«L’intuizione, il genio, si potrebbe dire, di Cesare de Bus, osservava papa Paolo VI, è quello di mettere il dito su un bisogno primordiale, intuito con tanta perspicacia dai Padri del Concilio di Trento con il catechismo di cui ordinarono la redazione, affinché tutti i pastori, dal vescovo al parroco di una modesta parrocchia, possedessero un manuale di riferimento. Ma il terreno è ancora incolto. La miseria del popolo è estrema, e la dedizione dei suoi ministri non è sufficiente da sola a porvi rimedio. Intelligentemente formato alla scuola ignaziana dalle cure del suo direttore Péquet, Cesare de Bus imparerà anche a conoscere la vita, la dottrina spirituale e l’opera di altri maestri di pensiero dell’epoca: Pietro Canisio, Roberto Bellarmino, Filippo Neri e Carlo Borromeo. Gli ultimi due in particolare lasceranno in lui un’impronta indelebile; egli s’impregna delle loro ispirazioni, alimenta la propria azione con la loro e brucia del loro stesso zelo.»
«Il suo metodo, prosegue papa Paolo VI, è l’insegnamento della fede a tutte le categorie della popolazione, distinguendo dei gradi, naturalmente, tra coloro che sono capaci di accogliere molto e coloro per i quali bisognerà accontentarsi, in un primo tempo, di un minimo. Ma il punto importante è che tutti siano evangelizzati, che tutti ricevano un insegnamento alla loro portata. Le parole sono semplici; le formule, poco numerose, sono ben coniate e facili da ricordare. Attorno a questo schema viene a innestarsi una predicazione intrisa di Sacra Scrittura, adattata anche in modo che i concetti appresi non rimangano mai senza seguito, e si traducano nell’atteggiamento spirituale e nel modo di agire, in una parola, nella vita.»
Il 29 settembre 1592, con i suoi primi cinque compagni, Cesare de Bus fonda a L’Isle-sur-la-Sorgue, nel dipartimento del Vaucluse, la congregazione dei Preti della Dottrina Cristiana, con l’approvazione di mons. Bordini, vescovo di Cavaillon, poi con quella di papa Clemente VIII, nel 1598. «Dobbiamo essere convinti, dice loro, che non predichiamo per noi stessi, ma per l’utilità di coloro che ci ascoltano.» Padre de Bus istituisce, per l’insegnamento del catechismo, un sistema graduale che consiste nel presentare l’essenziale della dottrina in tre corsi successivi: la “dottrina piccola” si rivolge a coloro che non hanno ancora nessuna conoscenza: vi si apprendono il segno della Croce, le preghiere principali, i comandamenti, i sacramenti e i misteri della fede. La “dottrina media” fornisce una spiegazione attraverso istruzioni familiari, e poi una presentazione della Scrittura e dei Padri della Chiesa. La “dottrina grande” si fa dal pulpito la domenica e nelle solennità.
«Educare nella fede è bello!»
Cesare usa un linguaggio che parla ai sensi e all’immaginazione; fa partecipare le famiglie al catechismo. Presenta la dottrina a partire dai centri d’interesse della vita delle persone, compone e canta testi che illustrano il suo insegnamento; dipinge egli stesso o fa dipingere quadri su temi religiosi, e li spiega per vari giorni di seguito. Cesare sottolinea inoltre la necessità di collegare insegnamento, preghiera e impegno di vita cristiana.
La sua preoccupazione è condivisa ai nostri giorni da papa Francesco: «La catechesi è un pilastro per l’educazione della fede, e ci vogliono buoni catechisti!... Educare nella fede è bello! È forse la migliore eredità che noi possiamo dare: la fede! Educare nella fede, perché lei cresca. Aiutare i bambini, i ragazzi, i giovani, gli adulti a conoscere e ad amare sempre di più il Signore è una delle avventure educative più belle, si costruisce la Chiesa!... Catechista è una vocazione: “essere catechista”, questa è la vocazione, non lavorare da catechista. Badate bene, non ho detto “fare” i catechisti, ma “esserlo”, perché coinvolge la vita. Si guida all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza... Essere catechista significa dare testimonianza della fede; essere coerente nella propria vita. E questo non è facile.» (27 settembre 2013).
Nel 1593, viene aperta una nuova casa ad Avignone, nel convento di Santa Prassede, poi in quello di San Giovanni il Vecchio. Constatando l’ignoranza e la mancanza di educazione ai lavori domestici di molte donne, padre Cesare de Bus fonda, nel 1594, l’Istituto delle Figlie della Dottrina Cristiana, destinato alla formazione e all’istruzione delle giovani donne. Ma gli anni successivi sono segnati da opposizioni e da un certo scoraggiamento tra i discepoli. Il Padre rinuncia allora al suo canonicato per essere più libero di seguire la chiamata divina. Per garantire la solidità della sua opera, egli ritiene opportuno legare i membri della congregazione con voti. Padre Romillon si oppone fin dal 1600 a questo desiderio, e provoca due anni dopo una scissione per unirsi all’Oratorio di San Filippo Neri. Padre de Bus viene eletto Superiore generale della congregazione; ma, molto provato nella sua salute da grandi sofferenze fisiche e morali, deve ben presto rinunciare al suo incarico. Diventato cieco, continua nonostante tutto a predicare e a confessare, e ripete spesso: «Non ho visto né letto nulla a confronto di ciò che Dio mi ha fatto vedere da quando sono cieco.» Quando parla di Dio e delle sue perfezioni, il suo volto s’infiamma. «Mi sembra, dice, se non mi sbaglio, di non amare altro a questo mondo che il Dio del mio cuore.» Ma la malattia si aggrava progressivamente ed egli muore ad Avignone, il 15 aprile 1607, all’età di 63 anni, la mattina di Pasqua come l’aveva predetto: «Sarà per me doppiamente Pasqua, vale a dire il passaggio del Signore e il mio accanto a Lui.» Il suo corpo, sepolto nel convento di Saint-Jean-le-Vieux, venne trasferito nel XIX secolo nella chiesa romana di Santa Maria in Monticelli. Cesare de Bus ha compiuto miracoli durante la sua vita, ma ancor più dopo la sua morte. I suoi figli si dedicarono principalmente all’insegnamento e, per quasi due secoli, i loro collegi videro affluire una gioventù studiosa in Francia e in Italia. Nel 1789, la congregazione contava sessantaquattro case, collegi o seminari. Essa venne sciolta in Francia durante la Rivoluzione. I tentativi di rifondazione in Francia fallirono, ma il ramo italiano sussiste ancora e mantiene missioni in Brasile nonché una presenza in Spagna, in Svizzera... e a Cavaillon.
Una base solida
La vita di Cesare de Bus è una lezione per il nostro tempo, osservava Paolo VI in occasione della beatificazione: «In un periodo in cui il mondo, come già un tempo, è in crisi, in cui la maggior parte dei valori, anche i più sacri, sono sconsideratamente rimessi in questione in nome della libertà..., Ci sembra che si dovrebbe intraprendere con coraggio uno sforzo supplementare per dare al popolo cristiano, che l’attende più di quanto non si creda, una base catechetica solida, esatta, facile da ricordare. Noi comprendiamo bene che l’adesione della fede sia difficile oggi, in particolare nei giovani, in preda a tante incertezze. Per lo meno hanno il diritto di conoscere con precisione il messaggio della Rivelazione...» Al giorno d’oggi, questo messaggio ci è proposto nel Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), di cui si possono dapprima leggere, o anche imparare a memoria, le formule raccolte alla fine di ogni unità tematica sotto il nome di “In sintesi”, ma anche nel Compendio del CCC o nella Professione di fede di Paolo VI; questi sono riferimenti universali e sicuri perché provengono dalla Chiesa. La lettura può essere fatta in gruppo, in famiglia, o individualmente. Per essere feconda, essa deve suscitare la meditazione e la memorizzazione. La preghiera vi trova il suo alimento.
Possiamo fare nostra la preghiera di papa Paolo VI: «Beato Cesare de Bus, tu che ci hai lasciato il mirabile esempio di una vita tutta donata a Dio, tu che bruciavi dal desiderio di comunicare la vita di Dio ai tuoi fratelli, intercedi ora per noi presso il Signore, perché lo stesso fuoco ci consumi e la stessa carità ci spinga!»
Autore: Dom Antoine Marie osb
Fonte:
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Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia - www.clairval.com
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