Lovere, Bergamo, 29 ottobre 1784 - 20 giugno 1847
Riservata e timida, trascorse alcuni anni della sua infanzia al banco della bottega familiare, poiché non poté studiare, per la salute cagionevole. Già in questo tempo, la sua modestia le faceva vivere una spiritualità semplice e ordinaria, fatta dell'ascolto quotidiano della Messa.
Gli anni seguenti l'invasione napoleonica d'Italia segnarono profondamente la sua vita, sia per le difficoltà economiche, sia per la morte del padre, della sorella Francesca e infine, nel 1814, della stessa madre. Malgrado ciò Vincenza, con animo coraggioso, accettò questi avvenimenti come volontà di Dio e soffrì nel silenzio del suo cuore. Con la costanza della preghiera si impegnò in parrocchia e organizzò un oratorio femminile con incontri, ritiri e scuole pratiche di lavoro domestico.
Con Bartolomea Capitanio, una compagna conosciuta nel 1824, diede vita, non senza titubanza, a una fondazione religiosa regolare per soccorrere le persone nelle condizioni più misere e soprattutto per l'educazione delle ragazze; l'istituto, con sede a Casa de Gaia, assunse la regola delle Figlie della Carità di Antida Thouret.
Morta prematuramente la Capitanio, Vincenza ebbe la tentazione di tornare alla sua vita di casa, ma spronata dal suo padre spirituale, Angelo Bosio, acconsentì a continuare l'impresa che, approvata da Gregorio XVI nel 1840, si diffuse rapidamente in tutta la Lombardia e anche nel Trentino e nel Veneto.
Etimologia: Vincenza = vittoriosa, dal latino
Emblema: Giglio
Martirologio Romano: A Lovere in Lombardia, santa Vincenza Gerosa, vergine, che fondò insieme a santa Bartolomea Capitanio l’Istituto delle Suore della Carità.
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Vicino a Bergamo, sul Lago d’Iseo, a Lovere, nel 1784, in una famiglia di ricchi conciatori di pelli, nasce Caterina Gerosa. La bambina, dopo la scuola elementare, viene chiamata a collaborare nell’azienda di famiglia, ma prima di recarsi in negozio e alla fine della giornata va in chiesa a pregare. Come è strano il comportamento di questa ragazzina! Possiede denaro, terreni e case. Eppure, timida e riservata, vive miseramente. Si veste con indumenti semplici e rattoppati, mangia pochissimo, spesso solo polenta e noci, coltiva l’orto. Perché? Per risparmiare e regalare cibo agli affamati che, a quei tempi, erano tantissimi a causa di guerre, carestie, epidemie.
Caterina rimane orfana e con l’eredità ricevuta aumenta la paga degli operai e aiuta ancora di più i bisognosi. Invita a casa sua i poveri, soprattutto le mamme che non riescono a sfamare i loro bambini. Cucina per loro e offre gratuitamente lauti pranzi. Sovente si reca nelle case dove manca tutto per portare pace e pane. Caterina è molto amata e tutti la chiamano zia. Riceve una proposta di matrimonio che rifiuta perché ha deciso di dedicarsi completamente al Signore e ai poveri.
Comincia, poi, ad occuparsi dell’oratorio dove incontra una maestrina molto più giovane di lei, Bartolomea Capitanio (anche lei dichiarata santa). La ragazza ha grandi progetti e convince la timida Caterina a realizzarli con le sue possibilità economiche. Caterina acconsente anche se, essendo molto umile, non si sente all’altezza del compito. Incoraggiata dal parroco del paese Don Angelo Bosio, Caterina acquista un palazzo che adibisce ad ospedale. Purtroppo, dopo pochi anni, Bartolomea muore, lasciando Caterina da sola. La donna non sa cosa fare, si ritiene, come sempre, una buona a nulla. Vorrebbe rinunciare, ma ancora una volta le parole di Don Bosio la incitano a continuare.
Caterina prende i voti e diventa suor Vincenza (dal latino, significa “vittoriosa”). Fonda la Congregazione delle Suore di Carità, dette di “Maria Bambina”. Dà vita ad orfanotrofi e ospizi per malati, e offre istruzione gratuita alle fanciulle. La congregazione attira tante vocazioni. Le suore diventano centinaia e vengono chiamate in Lombardia, Trentino e Veneto, per prestare il loro aiuto in situazioni gravi di indigenza e di epidemie. Vincenza Gerosa muore nel 1847 a Lovere dove è sepolta, presso il Santuario delle Suore di “Maria Bambina”, oggi presenti in tutto il mondo.
Autore: Mariella Lentini
Non aveva davvero mai pensato di diventare una “fondatrice”. Il suo orizzonte era Lovere, terra bergamasca soggetta alla Repubblica di Venezia. Era l’impresa commerciale che faceva dei Gerosa una casata benestante. Battezzata col nome di Caterina, ha poi incominciato a studiare dalle Benedettine di Gandino, in Val Seriana. Ma la poca salute le ha impedito di continuare, e così è tornata a Lovere.
La sua vita è costellata di “ma”, di progetti che poi le circostanze continuamente stravolgono. Era contenta di starsene nel negozio di famiglia, ma l’azienda va in crisi sotto il ciclone napoleonico, mentre Lovere passa dal dominio veneziano a quello francese, nella Repubblica Cisalpina. Caduto Napoleone, e passato il Bergamasco sotto l’Impero degli Asburgo, Caterina si dedica all’insegnamento gratuito per le ragazze povere, ad attività di assistenza e di formazione religiosa, incoraggiata da due successivi parroci.
Questa dimensione locale dell’impegno le basta, l’appaga: anche perché si rivela assai ricca di stimoli e di sfide. Ed ecco un altro “ma”. Nel 1824 fa amicizia con una maestrina, anch’essa di Lovere: Bartolomea Capitanio, di 17 anni. L’incontro la spinge in un’avventura nuova: creare un ospedale. Loro due. E ci riescono, inaugurandolo un paio di anni dopo. L’ha reso possibile lei, con beni ereditari del casato dei Gerosa. Ma per un’attività stabile occorre personale votato e preparato all’assistenza.
E la maestrina Capitanio ha un suo progetto chiaro: fondare un apposito istituto religioso, con questi obiettivi: assistenza ai malati, istruzione gratuita alle ragazze, orfanotrofi, assistenza alla gioventù. E ne convince l’amica, sicché nell’autunno del 1837 l’istituto nasce, con loro due.
Ultimo e tremendo “ma”: Bartolomea Capitanio muore il 26 luglio 1833, a 26 anni. Caterina Gerosa è sola, è poco istruita, si sente quasi vecchia, vorrebbe lasciare tutto... Ma rimane, invece. Non rassegnata: decisa: accoglie le prime giovani e per sette anni la piccola comunità segue la regola delle suore di santa Maria Antida Thouret, finché nel 1840 arriva il riconoscimento pontificio, e prendono canonicamente vita le Suore di Maria Bambina, con le regole scritte da Bartolomea Capitanio e con la guida di Caterina Gerosa, che prende i voti assumendo il nome di suor Vincenza. Già nel 1842, sebbene siano ancora poche, le chiamano a Milano. Anzi, l’arcivescovo cardinale Gaysruk (alta aristocrazia austriaca) vorrebbe farne una sua istituzione diocesana. Ma suor Vincenza resiste anche a lui: a Lovere sono nate, e Lovere dev’essere la loro casa, con le loro regole. Quando muore, le suore sono 171. All’inizio del terzo millennio saranno circa cinquemiladuecento. Nell’Anno santo 1950, papa Pio XII ha canonizzato insieme Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa.
Il corpo si trova nel santuario delle Suore di Carità - dette di Maria Bambina - in Lovere.
Autore: Domenico Agasso
Fonte:
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Note:
La sua festa liturgica è il 28 giugno, mentre la Congregazione delle Suore di Maria Bambina e le diocesi di Brescia, Bergamo e Milano la ricordano il 18 maggio
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