284 - Roma, 25 agosto 303
Genesio di Roma, secondo una leggenda anteriore al sec. VI, mimo, poi convertito e fatto decapitare da Diocleziano il 25 agosto; gli era dedicato un oratorio presso il cimitero di Sant'Ippolito sulla Tiburtina. Nell'edizione del Martirologio Romano pubblicata all'alba del Terzo Millennio da San Giovanni Paolo II il nome di San Gnesio di Roma è stato amputato, pur essendo lui il santo di nome Genesio molto venerato in particolare in Italia. Il medesimo giorno, 25 agosto, è invece ancora ricordato, come già lo era in precedenza, San Genesio di Arles: alcuni ritengono che il culto di San Genesio di Roma non sia altro che una promanazione dell'omonimo santo di Arles.
Patronato: Attori, Diocesi San Miniato
Etimologia: Genesio = genitore, generato, dal greco
Emblema: Palma
|
Quando l'imperatore Diocleziano venne a Roma, fu accolto con la più grande magnificenza. Fra le feste, si diedero pure delle rappresentazioni teatrali, in sua presenza. Uno dei comici principali, Genesio, volle mettere in burla le cerimonie del Battesimo dei Cristiani. Era sicuro di far ridere gli spettatori.
Postosi dunque a letto sul palcoscenico si finse ammalato e si cominciò questo dialogo.
– Ah, miei amici, io sento sopra di me un grave peso, e vorrei ben essere liberato!
– Che faremo per toglierti questo peso?
– Quanto siete mai privi di intendimento! Io sono risoluto di morire cristiano affinché Iddio mi riceva nel suo regno, come quelli che, per assicurare la loro salvezza, hanno rinunziato all'idolatria e alla superstizione.
Allora si chiamarono due attori, uno dei quali rappresentava il prete e l'altro l'esorcista. Venuti al capezzale dell'ammalato gli dissero:
– Perché, figlio, ci fai qui venire?
– Perché desidero ricevere la grazia di Gesù Cristo, e di essere rigenerato, onde potermi liberare dai miei peccati.
Genesio venne allora battezzato e rivestito di una veste bianca come solevano fare i Cristiani: e ciò gli attori lo facevano sempre per burla. Intanto continuando la scena, sopravvennero altri attori vestiti da soldati, i quali si impadronirono di Genesio e lo presentarono all'imperatore per essere interrogato nella stessa maniera con cui s'interrogavano i Cristiani. Fin qui si era creduto che fosse una farsa come era stato nell'intenzione di tutti, ma ben presto imperatore, attori e spettatori conobbero che per Genesio non era più una commedia.
Difatti il comico, rivoltosi improvvisamente al popolo che rideva gustosamente, e con tutta naturalezza e serietà disse:
– Signori e voi tutti che siete qui presenti, ascoltate ciò ch'io sto per dire. Io non ho mai udito pronunziare il nome cristiano senza inorridire e detestare anche quei miei parenti che professavano questa religione. Mi sono istruito nei misteri e nei riti del Cristianesimo unicamente per dileggiarli e per farli disprezzare dagli altri; ma in questo istante tosto che l'acqua ebbe lavato il mio capo ed ebbi risposto ch'io credeva a tutte quelle cose su cui venivo interrogato, ho veduto sopra il mio capo una schiera di Angeli splendenti di luce che leggevano in un libro tutti i peccati da me commessi fin dalla fanciullezza; indi immerso questo libro nell'acqua in cui io ero pure immerso, me lo mostrarono più bianco della neve e senza alcuna traccia di scrittura. Voi dunque, o possente imperatore, voi dunque, o romani che mi ascoltate, voi tutti che vi beffavate con me dei misteri del Cristianesimo, credetemi: Gesù Cristo è il vero Dio, che è la luce e la verità, e che da lui solo potete ottenere il perdono dei vostri peccati.
Udendo queste parole, tutti gli spettatori trasecolarono. Diocleziano, credendosi burlato, lo fece flagellare e lo consegnò al prefetto Plauziano.
Genesio disteso sul cavalletto ebbe rotte le costole e da ultimo fu decapitato. In queste sofferenze il martire andava ripetendo: “Non vi è altro Dio all'infuori di quello che io ebbi la fortuna di conoscere. Io non adoro né servo altro che a lui: a lui solo starò sempre unito, dovessi anche soffrire mille morti”.
Autore: Antonio Galuzzi
|