Nacque a Chaptelat (presso Limoges in Francia) intorno al 590. Una leggenda racconta che gli si presentò il diavolo vestito da donna: e lui, Eligio, rapido lo agguantò per il naso con le tenaglie. Questa colorita leggenda è raffigurata in due cattedrali francesi (Angers e Le Mans) e nel duomo di Milano, con la vetrata di Niccolò da Varallo, dono degli orefici milanesi nel Quattrocento. L'Eligio storico, figlio di gente modesta, deve aver ricevuto tuttavia un'istruzione, perché venne assunto come apprendista dall'orefice lionese Abbone, che dirige pure la zecca reale. Sotto Clotario, Eligio va a dirigere la zecca di Marsiglia e intanto continua a fare l'orefice. Col nuovo re Dagoberto I (623-639) viene chiamato a corte e cambia mestiere: il sovrano ne fa un suo ambasciatore, per missioni di fiducia. Altri incarichi se li prende da solo: per esempio, riscattare a sue spese i prigionieri di guerra, fondare monasteri maschili e femminili. Morto il re, sceglie la vita religiosa, e il 13 maggio 641 viene consacrato vescovo di Noyon-Tournai dove s'impegna nella campagna di evangelizzazione (e ri-evangelizzazione) nel Nord della Gallia, nelle regioni della Mosa e della Scelda, nelle terre dei Frisoni. Muore nel 660.
Etimologia: Eligio = eletto, dal latino, nobile guida, dall'ebraico
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Noyon in Neustria, ora in Francia, sant’Eligio, vescovo, che, orefice e consigliere del re Dagoberto, dopo aver contribuito alla fondazione di molti monasteri e costruito edifici sepolcrali di insigne arte e bellezza in onore dei santi, fu elevato alla sede di Noyon e Tournai, dove attese con zelo al lavoro apostolico.
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Nato nel 588 circa a Chaptelat (Francia) in una famiglia di modeste condizioni, Eligio da ragazzo va a lavorare presso un famoso orafo nella vicina città di Limoges. Eligio è intelligente, onesto e meticoloso. Ha un carattere mite e tranquillo. Buono d’animo, generoso, saggio, non si arrabbia mai. Quando può, aiuta gli altri. Impara in fretta e ben presto diventa un esperto orafo, anche più bravo del suo maestro e si specializza nel creare croci in oro massiccio. Un giorno il re in persona, Clotario II, gli affida un incarico prestigioso: realizzare un trono d’oro. Ad Eligio il re consegna il prezioso metallo occorrente. Il giovane è talmente bravo da riuscire a costruire non uno, ma due troni. Il re rimane colpito dalla bravura di Eligio e anche dalla sua onestà poiché l’orefice avrebbe potuto tenere per sé l’oro eccedente. Lo premia nominandolo orafo di corte e direttore della Zecca.
Dagoberto I, successore di Clotario II, affida poi ad Eligio altri incarichi di responsabilità come quello di tesoriere e ambasciatore. In alcune occasioni, Eligio riesce a portare la pace e a sedare guerre. L’ex orafo rimane una persona umile. Non pensa a se stesso, ma agli altri. Con i suoi favolosi guadagni aiuta poveri e malati. Occupa un ruolo di potere accanto al re essendo un alto funzionario, eppure Eligio aspira a un’altra vita. Pensa a Dio, a Gesù, ai santi. Desidera far conoscere il messaggio cristiano a più persone possibili. Eletto vescovo di Noyon e Tournai, fa costruire chiese e monasteri. Viaggia in Francia, Olanda e Belgio dove vivono popoli che non conoscono ancora il Cristianesimo e il suo messaggio di fratellanza, tramandato attraverso i Vangeli che narrano la vita e le opere di Gesù.
Si narra di alcuni miracoli compiuti dal vescovo, soprattutto di guarigioni da malattie. Famoso è il prodigio leggendario compiuto su un cavallo, per avergli riattaccato una zampa posteriore completamente mozzata. Per questo motivo Eligio viene considerato il protettore di cavalli e maniscalchi. Egli è patrono di svariati mestieri: fabbri, orafi, gioiellieri, lavoratori della Zecca, veterinari, numismatici, carrettieri, carrozzieri, fonditori, metalmeccanici, lattonieri, minatori, orologiai e fabbricanti di valigie. Viene invocato anche contro gli incendi. Muore a Noyon nel 660. In Italia viene particolarmente festeggiato a Sciara (Palermo) e a Casale del Pozzo (Nocera Inferiore, Salerno).
Autore: Mariella Lentini
Gli si presenta il diavolo vestito da donna: e lui, Eligio, rapido lo agguanta per il naso con le tenaglie. Questa colorita leggenda è raffigurata in due cattedrali francesi (Angers e Le Mans); e nel Duomo di Milano, con la vetrata di Niccolò da Varallo, dono degli orefici milanesi nel Quattrocento.
L’Eligio storico, figlio di gente modesta, deve aver ricevuto tuttavia un’istruzione, perché viene assunto come apprendista dall’orefice lionese Abbone, che dirige pure la zecca reale: un grande maestro nella sua arte. E l’allievo Eligio non è da meno. Della sua fama di artefice e di galantuomo parla un singolare racconto, non documentato: il re Clotario II gli commissiona un trono d’oro, dandogli il metallo occorrente. E lui, con quello, di troni gliene fa due. Dimezzato il preventivo: cose mai viste, né prima né dopo.
Sotto Clotario, Eligio va a dirigere la zecca di Marsiglia, e intanto continua a fare l’orefice. Col nuovo re Dagoberto I (623-639) viene chiamato a corte e cambia mestiere: il sovrano ne fa un suo ambasciatore, per missioni di fiducia. Altri incarichi se li prende da solo: per esempio, riscattare a sue spese i prigionieri di guerra, fondare monasteri maschili e femminili. Morto il re, sceglie la vita religiosa, e il 13 maggio 641 viene consacrato vescovo di Noyon-Tournai.
Comincia un’esistenza nuova. Eligio s’impegna nella campagna di evangelizzazione (e ri-evangelizzazione) nel Nord della Gallia, nelle regioni della Mosa e della Scelda, nelle terre dei Frisoni. Ne diventa uno dei protagonisti, con altri vescovi come Audoeno (Ouen) di Rouen (che sarà anche il suo biografo), Amand di Tongres, Sulpizio il Pio di Bourges. E la sua vita si conclude appunto sul campo, in terra olandese (di qui i suoi resti verranno riportati a Noyon solo nel 1952). E subito parte l’altra storia di sant’Eligio: il suo culto si diffonde in Francia, in Germania, in Italia. Lo vogliono come patrono non solo gli orafi, ma in pratica tutti gli artigiani dei metalli, e poi i carrettieri, i netturbini, i mercanti di cavalli, i maniscalchi, e ai tempi nostri anche i garagisti. In alcune località francesi si dà la benedizione ai cavalli nel giorno della sua festa.
Autore: Domenico Agasso
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Aggiunto/modificato il 2023-11-17