Forse, l’arte non è bastata a conservare la memoria del francese Urbano IV nella cultura di massa, ma sicuramente è servita ad associare il nome di questo pontefice alla manifestazione dell’onnipresenza divina attraverso i miracoli: il papa è infatti co-protagonista dell’opera lirica Tannhäuser di Richard Wagner, nella quale si narra di come il trovatore tedesco Tannhäuser, dopo aver vissuto un anno intero tra i vizi smodati nel regno di Venere, preso dal rimorso si fosse recato in pellegrinaggio a Roma per implorare l’assoluzione da parte di Urbano.
Questi, consapevole della gravità dei peccati commessi e del valore del sacramento, per accertare la sincera conversione del poeta lo redarguì ed affermò che solo dopo un miracolo avrebbe potuto accordargli il perdono. Fu così che Tannhäuser ritornò alla corte del duca d’Austria – dove in effetti è storicamente attestata la sua presenza –, ma dopo tre giorni il pastorale del pontefice fiorì, prova della misericordia di Dio.
Se questo racconto, musicato dal compositore di Lipsia nel 1845, reca con sé un’aria di leggenda, reale è invece il miracolo eucaristico che avvenne nel 1263 a Bolsena e che fu raffigurato dalle eleganti tinte di Raffaello nella Stanza di Eliodoro in Vaticano, evento culmine del pontificato di Urbano IV.
Nato a Troyes, nel nord-est della Francia, Jacques Pantaléon aveva studiato diritto e teologia a Parigi, divenendo canonico a Laon e poi arcidiacono di Liegi. Proprio nella diocesi belga era stata istituita, nel 1247, la festa del Corpus Domini da parte del sinodo dei vescovi presieduto da Robert de Thourotte: sin dal secolo precedente, infatti, si era iniziato a dubitare della presenza reale di Cristo nell’Eucarestia sotto le spinte eterodosse di Berengario di Tours – poi ritrattate – il quale sosteneva che il pane ed il vino fossero solo simbolo del Corpo e del Sangue, e non fossero essi stessi Corpo e Sangue.
Condannato dal concilio di Roma nel 1078, la transustanziazione divenne dogma di fede nel 1215 con il IV Lateranense, ma i dubbi nei fedeli era tutt’altro che fugati. Così, all’inizio del Duecento Cristo apparve in visione alla santa belga Giuliana da Cornillon, monaca agostiniana del convento presso Liegi, chiedendole di adoperarsi affinché fosse istituita la nuova festa del Suo Santissimo Corpo e Sangue, per riaccendere la fede nei cristiani ed espiare i peccati commessi contro il sacramento dell’Eucarestia; la santa si prodigò dunque con solerzia ed insistenza presso numerosi ecclesiastici della regione, tra cui lo stesso Jacques Pantaléon: il futuro pontefice intercedette a lungo verso il suo vescovo, finché la festa non venne proclamata.
Cappellano di Innocenzo IV, fu da questi nominato vescovo di Verdun e nel 1255 patriarca latino di Gerusalemme. Proprio in questa veste si trovava a Viterbo, quando nel 1261 fu eletto Sommo pontefice. I tempi erano funestati dalla lotta politica ed ideologica con Manfredi di Svevia, figlio naturale di Federico II ed erede del regno di Sicilia, il quale sulle orme paterne portava avanti un’aggressiva battaglia contro la Chiesa e mirava ad annetterne i territori. Dati i tempi difficili, Urbano IV non risiedette mai nella Città eterna, ma si spostò tra Orvieto e Perugia, da dove portò avanti gli accordi con il re di Francia, il cristianissimo Luigi IX, contro lo svevo.
Inoltre, la questione eucaristica continuava a dilaniare la Chiesa e ad insinuare il dubbio nelle coscienze. Anche il sacerdote Pietro di Boemia, diffidando sulla reale presenza di Cristo nell’Ostia consacrata, si recò a Roma al fine di fugare i suoi dubbi. Di ritorno a Praga, sostò a Bolsena dove celebrò la Messa: al momento dell’elevazione, l’ostia iniziò a sanguinare e il presbitero, turbato, la avvolse in un corporale e si recò ad Orvieto, al cospetto del Pontefice. Urbano IV, che già aveva preso una forte posizione sulla controversia nei suoi anni a Liegi, incaricò il vescovo di Orvieto di verificare la veridicità del miracolo e, confermata la portata sovrannaturale dell’evento, l’11 agosto 1264 estese a tutta la Chiesa la solennità del Corpus Domini, con la bolla Transiturus de hoc mundo, e conferì a San Tommaso l’incarico di scrivere l’officio per tale solennità: l’Aquinate compose così l’inno eucaristico Pange Linguae, le cui ultime due strofe sono celebri come Tantum Ergo Sacramentum.
Il 2 ottobre dello stesso anno Urbano IV morì a Perugia, e nel 1935 le sue spoglie furono traslate a Troyes, la sua città, nella Basilica minore dedicata al santo omonimo che egli stesso aveva fatto costruire; a ricordo del suo impegno per la Cristianità, la sua tomba venne decorata con un affresco raffigurante il Signore che impone le mani su di lui e Santa Giuliana, che insieme avevano operato per rinfocolare la Fede nel mistero della Transustanziazione e che rivivono nell’intramontabile binomio tra arte e religione.
Autore: Lorenzo Benedetti
Fonte:
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Corrispondenza Romana
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