Acri, Cosenza, 19 ottobre 1669 - 30 ottobre 1739
Lucantonio Falcone nacque ad Acri (Cosenza) il 19 ottobre 1669. La sua famiglia, molto religiosa, non contrastò il suo ingresso tra i Cappuccini, avvenuto a diciannove anni; tuttavia, pochi mesi dopo, il giovane lasciò il convento, in preda ai dubbi. Ottenne di essere riammesso, ma uscì nuovamente: se la prima volta fu perché pensava di doversi sposare, la seconda fu perché non si riteneva degno della vocazione. Infine rientrò per una terza e definitiva volta: con la professione religiosa, cambiò nome in fra Angelo e divenne sacerdote nel 1700. Secondo i suoi biografi, fu angelo di nome e di fatto: la sua predicazione, improntata al linguaggio semplice dei popolani del Regno di Napoli, era convincente al pari delle guarigioni miracolose attribuite alla sua intercessione. Oggetto di vessazioni diaboliche, reagiva con le armi della penitenza, ma anche di un formidabile umorismo. Morì ad Acri il 30 ottobre 1739 e fu beatificato il 18 dicembre 1825. La sua canonizzazione è stata fissata a domenica 15 ottobre 2017. I suoi resti mortali sono venerati ad Acri, nella basilica a lui dedicata.
Martirologio Romano: Ad Acri in Calabria, beato Angelo, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che, percorrendo instancabilmente il regno di Napoli, predicò la parola di Dio con un linguaggio adatto ai semplici.
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Era il 19 ottobre 1669 quando ad Acri, in provincia di Cosenza, nasceva Lucantonio Falcone. Poveri i suoi genitori, ma ricchi di virtù cristiane.
Singolare, anzi forse unica, nella storia dei religiosi, fu la sua vocazione. A diciotto anni chiese ed ottenne di farsi frate cappuccino, ma oppresso da dubbi e incertezze per due volte lasciò il noviziato, depose l’abito religioso e ritornò a casa dove pensava di costruirsi una vita al pari degli altri.
Pur circondato dall’affetto della tenerissima madre, il suo cuore restava inquieto, perché i disegni di Dio su di lui erano diversi. Rientrò in convento per la terza volta: misticamente moriva Lucantonio Falcone e nasceva frate Angelo d’Acri. A passi da gigante percorse tutte le tappe di vita religiosa che lo portarono al Sacerdozio, il 10 Aprile del 1700, nell’antica Cattedrale di Cassano allo Jonio.
Sulle sue spalle montanare subito caddero pesanti responsabilità e delicati incarichi che assolse con impegno e successo: fu Superiore Provinciale dei Cappuccini e per il suo modo di governo venne chiamato «Angelo della pace».
Il suo principale servizio alla Chiesa e all’Ordine Cappuccino, tuttavia, consistette nella predicazione sistematica, per quarant’anni. Era divenuto il missionario più ricercato ed ascoltato dell’Italia meridionale, tanto che si diceva che, quando predicava, «nelle case non ci restavanu mancu li gatti».
La vita di padre Angelo d’Acri è stata una rappresentazione vivente di Gesù, non tanto esteriore, ma interiore. Le testimonianze giurate ricordano che recitava a memoria la Sacra Scrittura e che ne faceva sempre uso nell’evangelizzazione del popolo.
Il 30 ottobre 1739, fisicamente sfinito dalle fatiche apostoliche, se ne volava al Cielo. Il 18 dicembre 1825, papa Leone XII proclamò Beato il Cappuccino di Acri. Il suo corpo, ricomposto, divenne oggetto di quotidiana venerazione nella Basilica a lui dedicata.
Per la sua canonizzazione è stato riconosciuto un ulteriore miracolo: la guarigione di un giovane acrense, Salvatore Palumbo, rimasto vittima di un incidente nel marzo 2010, mentre guidava un quad. Condotto all’ospedale dell’Annunziata a Cosenza, versò presto in gravi condizioni: aveva perso il controllo del mezzo e si era scontrato con un palo della linea telefonica.
I parenti di Salvatore, allora, chiesero ai Cappuccini di Acri una reliquia del Beato Angelo: il cordone del suo saio fu posto accanto ai macchinari che tenevano in vita il giovane, che il giorno dopo ridiede segnali di ripresa e fu solo bisognoso di riabilitazione.
Il processo diocesano sul miracolo si svolse nel 2014 e fu convalidato il 20 marzo 2015. Il 23 marzo 2017, ricevendo in udienza il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui la guarigione di Salvatore poteva essere dichiarata inspiegabile, completa, duratura e ottenuta tramite l’intercessione di padre Angelo d’Acri. La sua canonizzazione, nel Concistoro del 20 aprile 2016, è stata fissata a domenica 15 ottobre 2017.
Autore: Carmelo Randello ed Emilia Flocchini
C’è chi si vede contrastare la vocazione in famiglia e c’è chi i maggiori contrasti li incontra nel suo cuore: a quest’ultima categoria di persone appartiene Lucantonio Falcone, nato ad Acri, provincia di Cosenza, il 19 ottobre 1669.
La famiglia, religiosissima e di saldi principi, non si sarebbe mai sognata di contrastare la sua vocazione, ma il brutto è che Lucantonio i contrasti se li sente dentro. Quando a 15 anni incontra un cappuccino carismatico gli sembra di capire che solo tra i cappuccini potrà realizzare la sua vocazione.
A 19 anni prende il saio, ma pochi mesi dopo se ne torna a casa perché gli sembra di sentirsi chiamato a formare una famiglia tutta sua. Si ripente e torna in convento, ma torna a deporre il saio perché non si sente all’altezza della vocazione religiosa.
Non ci troviamo di fronte all’eterno indeciso o ad una vocazione fragile, ma semplicemente ad un giovane che con fatica ricerca la sua strada, certamente contrastato da colui che in seguito egli avrebbe sempre combattuto, il diavolo, che forse già prevede gli smacchi che quel cappuccino gli farà subire.
Torna così di nuovo in convento, questa volta per sempre. Gli cambiano il nome in fra Angelo e viene ordinato prete nel 1700: presto però lo soprannomineranno «angelo della pace» e «apostolo del Mezzogiorno». Infatti, se sulle sue spalle vengono a ricadere i pesanti e gravosi incarichi che il suo Odine gli affida, la sua “professione” principale diventa ben presto la predicazione.
Predica per quasi 40 anni: all’inizio come gli hanno insegnato e secondo l’uso del tempo, con ampollosità e retorica. Famosa è la predica “barocca”, preparata con tanta cura, che lo zelante predicatore impara a memoria prima di salire sul pulpito dove, appena giunto, perde subito il filo del discorso e fa scena muta, vergognandosene terribilmente.
Cambia allora stile, impara a parlare in modo popolare e semplice, per farsi capire anche dai “cafoni” che apprezzano la sua oratoria spontanea e si convertono in massa, tanto che quando predica «nelle case nun ci restavanu mancu li gatti».
Non così a Napoli, dove giunge chiamato dal cardinal Pignatelli e… “predica alle panche”, perché gli intellettuali, accorsi numerosi a sentire il famoso predicatore, rimangono delusi dalla sua oratoria scarna e senza fronzoli.
Uno solo intuisce il “danno” che un simile predicatore può fare e inizia a temere e boicottare padre Angelo: il demonio. Quasi anticipatore di padre Pio, padre Angelo intraprende una lunga lotta contro il maligno, ricevendone in cambio tentazioni e botte.
Come il santo di Pietrelcina, anche padre Angelo si ritrova con la testa fracassata, il corpo flagellato, le gambe sanguinanti dopo aver sostenuto battaglia contro il demonio, che lo chiama “straccione” e “ladro” perché gli porta via le anime che già credeva sue per sempre. E come Padre Pio, contro il demonio, oltre l’arma della preghiera e della penitenza, sfodera quella dell’umorismo.
Tutto contribuisce a sfinire questo predicatore e questo missionario, che se ne va il 30 ottobre 1739, poco più che settantenne. Padre Angelo fu beatificato da papa Leone XII il 18 dicembre 1825. La sua canonizzazione è stata fissata a domenica 15 ottobre 2017.
Autore: Gianpiero Pettiti
“L’apostolo della Calabria”, come viene chiamato, nasce ad Acri (Cosenza) nel 1669. La sua è una famiglia di poveri operai, sorretta da una grande fede. Lucantonio Falcone, questo è il suo nome, come tanti giovani è inquieto perché non sa quale strada intraprendere. A quindici anni incontra un frate e, dopo averlo sentito parlare, crede che la sua vocazione sia quella religiosa. Dopo qualche anno entra in convento, fra i novizi dei francescani. Tuttavia Lucantonio non è convinto. Forse sarebbe più felice se si trovasse un lavoro, si sposasse e diventasse padre? Queste domande lo tormentano. Torna a casa e ritorna in convento per due volte. La terza volta Lucantonio non ha più dubbi. Indossa il saio e diventa Fra Angelo d’Acri. Seppure per umiltà vorrebbe rimanere un semplice fraticello, viene ordinato sacerdote e ritenuto così bravo da essere inviato tra la gente a predicare.
Fra Angelo, come era in uso a quei tempi, si prepara con impegno il suo primo discorso, con parole ridondanti e difficili, e lo impara a memoria. Quando, però, il francescano si mette a parlare in pubblico, dopo un po’ si dimentica di tutto. Che brutta figura! Padre Angelo torna in convento affranto e scoraggiato. All’improvviso sente una voce che gli dice di continuare a predicare, ma solo quello che gli ispira il cuore, usando parole semplici, comprensibili da tutti. Quella voce arriva dal Cielo. È il Signore che parla ad Angelo. Da quel momento il frate si prepara le prediche solo facendo penitenze, pregando e studiando la Bibbia. Poi con parole semplici che tutti possono capire, predica soprattutto ai poveri, ai contadini, alle persone senza cultura che lo ascoltano commossi, fino a piangere. Tanti si pentono, si convertono, cambiano vita, tornano a pregare. Gli intellettuali, invece, lo deridono come succede a Napoli quando, davanti a un uditorio esigente, Angelo finisce per predicare alle panche vuote, ma quelle stesse panche si riempiono fino all’inverosimile dopo che “l’apostolo del Mezzogiorno” ha predetto la morte di un suo accusatore.
Il predicatore diventa famoso anche per i suoi miracoli di guarigione e per la sua denuncia contro la corruzione, l’ingiustizia sociale, i ricchi che sfruttano i poveri, la miseria dei centri urbani. Predica in tutto il Regno di Napoli e quando arriva lui le abitazioni si svuotano a tal punto che la gente dice che «nelle case non ci restavanu mancu li gatti». Padre Angelo muore nel 1739 ad Acri, dove oggi riposa, presso il santuario a lui dedicato.
Autore: Mariella Lentini
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