Niederweningern, Essen, 30 settembre 1898 - 15 gennaio 1945
«Se oggi non ci impegniamo con la vita, come vogliamo superare la nostra prova davanti a Dio e al nostro popolo?». Non è una bella frase pronunciata da un predicatore ma il programma di vita portato fino in fondo dal beato Nikolaus Gross, martire nel 1945 del regime nazista, contro il quale si era da sempre esposto in prima linea. La lotta di Gross, marito e padre di sette figli, operaio minatore nato nel 1898 nei pressi di Essen, iniziò ben presto nelle associazioni operaie cattoliche e continuò attraverso l'impegno di pubblicista. Proprio per questo, dopo l'ascesa di Hitler, Nikolaus venne preso di mira: il suo giornale resistette fino al 1938 prima di essere chiuso, ma questo non fermò il futuro martire. Alla fine fu arrestato nell'agosto 1944 per una sua partecipazione collaterale al complotto contro Hitler: venne ucciso il 15 gennaio 1945.
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Berlino in Germania, beato Nicola Gross, padre di famiglia e martire: attivamente impegnato nell’ambito sociale, per non operare contro i comandamenti di Dio si oppose con ogni mezzo a un empio regime avverso all’umana dignità e alla fede; per questo fu gettato in carcere e, attraverso il supplizio dell’impiccagione, divenne partecipe della vittoria di Cristo.
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“Qualche volta sembra che il cuore mi diventi pesante e che il compito divenga insuperabile se misuro l'imperfezione e l'insufficienza umana di fronte alla gran¬dezza dell'impegno e al peso della responsabilità”: a scrivere così, nel 1943, è un uomo di 45 anni, nel pieno della sua maturità e, quindi, pienamente consapevole delle scelte già fatte e che deve fare. A fargli problema è la conciliabilità tra il suo essere cristiano e padre di famiglia con la partecipazione al complotto per rovesciare il regime di Hitler: in quanto padre di famiglia sa di rischiare la vita e di gettare sul lastrico moglie e figli; in quanto cristiano è cosciente che l’attentato a Hitler ne può causare anche l’eliminazione fisica, con tutti i problemi morali che questo comporta. Sceglie la parte più rischiosa, che lo porta non a partecipare attivamente all’attentato (pur essendo a conoscenza di tutti i dettagli), ma piuttosto a risvegliare le coscienze e a suscitare opposizione al regime mediante i suoi scritti e le sue conferenze. E a chi, alla vigilia dell’attentato a Hitler gli ricorda i rischi cui va incontro e i suoi doveri di padre, risponde senza esitazione: “Se oggi non impegniamo la nostra vita, come pretenderemo poi di stare al cospetto di Dio e del nostro popolo?”.
Nikolaus Gross nasce in Germania, il 30 settembre 1898, aNiederwenigern, piccolo centro del bacino della Ruhr, vicino alla città di Essen, all’interno di un’umile famiglia, il cui papà è un semplice fabbro di miniera. E in miniera anche Nicola va a lavorare a 22 anni, prima come manovratore di carrelli per il trasporto dei minerali e poi come minatore. La fede che ha respirato in famiglia lo spinge subito a schierarsi dalla parte dei più deboli, con un’intensa attività sindacale, con lo scopo di migliorare le sorti delle famiglie più disagiate e degli operai più sfruttati. Con notevoli sacrifici e utilizzando il suo poco tempo libero, riesce a migliorare la sua istruzione e, grazie anche alla sua facilità di penna, si avvia nel mondo giornalistico, diventando caporedattore di un giornale sindacale, dalle cui colonne riesce ad offrire orientamenti agli operai cattolici in molte questioni che riguardavano la società ed il mondo del lavoro. Nel 1923 si sposa con Elisabetta Koch, dalla quale gli nascono sette figli ed allora la sua “profonda e continua preoccupazione riguarda i sette che devono diventare delle persone capaci, sincere e forti nella fede”.
I suoi doveri di padre, tuttavia,non spengono il suo impegno civile, e subito si contraddistingue per una ferma opposizione all’idea nazionalsocialista di Hitler, ancor prima che questi raggiunga il potere. Fin dall’inizio (già nel 1929/30, tanto per intenderci) per lui i nazisti sono “nemici mortali dello stato moderno”, contestando loro anche “immaturità politica” e “carenza di discernimento”, fino ad arrivare a scrivere: “Come lavoratori cattolici rifiutiamo il nazionalsocialismo non solo per motivi politici ed economici, ma in particolare anche per il nostro atteggiamento religioso e culturale, in modo chiaro e deciso”. Le sue idee circolano prima sul giornale del sindacato e, quando i nazisti glielo fanno chiudere, su quaderni clandestini che stampa a e diffonde per educare le coscienze dei lavoratori e far circolare i valori autentici che il regime ha messo in forte crisi. Malgrado tutto è ottimista: “il buio non è senza luce; la speranza e la fede, che sempre ci precedono, attraverso l'oscurità fanno già presagire l’alba”, scrive nel 1943. Crede che “la maggior parte delle grandi prestazioni nasce dall'adempimento giornaliero del dovere nelle piccole cose quotidiane”, nelle quali egli si esercita con fedeltà ammirevole.
Il 12 agosto 1944 viene arrestato in relazione al fallito attentato contro Hitler, al quale, pur senza partecipare direttamente, ha dato il suo appoggio morale. Prima nel carcere di Ravensbrück, poi in quello di Berlino, attende nella preghiera la sentenza di morte, che viene pronunciata il 15 gennaio 1945, ma che in realtà era già scritta fin dal giorno dell’arresto: “per alto tradimento e con la pena dell'impiccagione”, perché “nuotava insieme agli altri nella corrente del tradimento e quindi vi deve anche affogare! “. Impiccato nel pomeriggio del successivo 23 gennaio, come traditore gli viene negato il diritto alla sepoltura e, per non correre il rischio di trasformarlo in martire, il cadavere viene cremato e le ceneri disperse sui campi gelati. Tanto non è bastato, evidentemente, per impedire alla Chiesa di proclamarlo beato e martire il 7 ottobre 2001.
Autore: Gianpiero Pettiti
Nikolaus Gross, un uomo come noi per estrazione e posizione sociale, nato il 30 settembre 1898, figlio di un fabbro di miniera a Niederweningern — vicino alla città di Essen — frequentò dal 1905 al 1912 la scuola elementare cattolica locale. Dapprima lavorò in un laminatoio e poi come manovale, quindi come minatore in una miniera di carbone dove per cinque anni svolse il suo lavoro in galleria.
Nel poco tempo libero cercò di migliorare la sua istruzione. Nel 1917 entrò a far parte del Gewerkverein christlicher Bergarbeiter, l'associazione sindacale dei minatori cristiani, nel 1918 nel partito Zentrumspartei e nel 1919 divenne membro dell'Antonius Knappenverein (KAB) di Niederwenigern. Già a 22 anni divenne segretario della sezione giovanile dell'associazione sindacale Christliche Bergarbeitergewerkschaft, solo un anno più tardi aiuto redattore della rivista Bergknappe. La sua ulteriore attività sindacale lo portò a Waldenburg in Slesia e, con una tappa intermedia a Zwickau, di nuovo nella Ruhr a Bottrop.
Nel frattempo aveva sposato Elisabeth Koch di Niederwenigern che nel corso di un felice matrimonio gli donò sette figli. Amava la sua famiglia più di ogni cosa e fu un padre esemplare, caratterizzato da un profondo senso di responsabilità nell'istruzione e nell'educazione alla fede.
All'inizio del 1927 diventa aiuto redattore presso la Westdeutsche Arbeiterzeitung, l'organo del KAB, di cui viene promosso ben presto capo redattore. Qui può offrire orientamento agli operai cattolici in molte questioni che riguardano la società ed il mondo del lavoro, con questo diventa sempre più chiaro che per lui le sfide politiche contengono un aspetto morale e che i compiti sociali non si possono risolvere senza sforzi spirituali. Il redattore diventa un apostolo della fede di cui dare testimonianza anche nella stampa. Quando con questa funzione si trasferisce nella Ketteler Haus di Colonia, cioè nel 1929, ha già un chiaro giudizio sul nazionalsocialismo che sta nascendo. Partendo dal principio del Vescovo Ketteler che la riforma della situazione sociale si può raggiungere solo con una riforma dell'atteggiamento interiore, ravvisa «immaturità politica» e «carenza di discernimento» nei successi dei nazionalsocialisti nella società. Già allora definisce i nazisti come «nemici mortali dello stato odierno». Come redattore dell'organo del KAB scrive il 14 settembre 1930: «Come lavoratori cattolici rifiutiamo il nazionalsocialismo non solo per motivi politici ed economici, ma in particolare anche per il nostro atteggiamento religioso e culturale in modo chiaro e deciso».
Già alcuni mesi dopo la presa del potere di Hitler nel 1933 il leader del Deutsche Arbeiterfront, Robert Ley, definì la Westdeutsche Arbeiterzeitung del KAB «nemica dello stato». Nel periodo, successivo Groß cercò di salvare il giornale dalla soppressione senza dover fare dei compromessi nel contenuto. Da allora in poi riuscì a scrivere tra le righe in modo che le persone addentro lo capissero. Nel novembre del 1938 il giornale dei lavoratori, nel frattempo ribattezzato Kettelerwacht, venne vietato definitivamente. Groß, che aveva dovuto lottare molto per la sua qualifica, non era un grande oratore, ma parlava in modo persuasivo, caloroso e convincente. Il fatto che Nikolaus Groß si unisse all'opposizione in Germania, derivò dalla sua convinzione nella fede cattolica. Per lui era valido il principio «che si deve obbedire più a Dio che all'uomo. Se ci viene chiesto qualcosa contrario a Dio o alla fede, non solo è nostro dovere morale, ma è anche nostro dovere assoluto rifiutare di obbedire (agli uomini)». Così scriveva Nikolaus Groß nel 1943 riguardo alla dottrina religiosa. Sempre più chiaramente si rendeva conto che questa situazione in Germania si sarebbe raggiunta sotto il regime di Hitler.
Le comuni riflessioni vennero fissate da Groß in due annotazioni, che poi caddero nelle mani della Gestapo: Die großen Aufgaben e Ist Deutschland verloren? che contribuirono alla sua condanna.
A partire dal 1940 Groß dovette subire interrogatori e perquisizioni. Dopo che il giornale dell'associazione venne vietato pubblicò una serie di brevi scritti che avevano lo scopo di fortificare nei lavoratori la coscienza nella fede e nei valori etici.
La risposta ai motivi che spingevano uomini come Nikolaus Groß la troviamo nelle memorie del noto padre spirituale di tanti uomini, il prelato Caspar Schulte di Paderborn, che dice: «Nei miei molti colloqui, soprattutto con Nikolaus Groß ed il presidente ecclesiastico dell'associazione Otto Müller, ho imparato a conoscere e ad ammirare la grandezza morale di questi uomini». Non sono andati a morire casualmente. Hanno seguito la loro strada anche pronti ad affrontare una morte dolorosa per il bene della libertà. Il giorno prima dell'attentato dissi a Nikolaus Groß: «Signor Groß, non si dimentichi che ha sette figli. Io non ho la responsabilità di una famiglia. Si tratta della sua vita». E Groß mi diede una risposta degna della sua vera grandezza spirituale: «Se oggi non ci impegniamo con la vita, come vogliamo superare la nostra prova davanti a Dio e al nostro popolo?».
Dopo l'attentato, fallito, del 20 luglio 1944 gli eventi precipitarono. Groß, che non aveva partecipato direttamente alla sua preparazione ed esecuzione, venne arrestato il 12 agosto 1944 verso mezzogiorno a casa sua e portato dapprima nel carcere di Ravensbrück e poi in quello di Tegel a Berlino. La moglie Elisabeth venne due volte a Berlino a trovarlo. Essa riferì di chiari segni di torture alle mani e alle braccia. Le lettere dal carcere di Nikolaus Groß testimoniano in modo convincente che per lui la preghiera continua fosse la fonte di forza nella sua posizione difficile e, alla fine, disperata. Non c'è quasi lettera in cui non si lasci sfuggire l'occasione di chiedere alla moglie e ai figli di pregare continuamente come lui stesso pregava giorno dopo giorno per la sua famiglia.
Nella preghiera si sapeva legato alla famiglia, allo stesso tempo però anche in uno scambio continuo con Dio.
Nelle sue lettere Nikolaus Groß mostra continuamente di credere che il suo destino ed il destino della sua famiglia era nelle manidi Dio.
Il 15 gennaio 1945 venne pronunciata la sentenza di morte da parte del Presidente del tribunale del popolo Roland Freisler. L'osservazione finale nei verbali ed in realtà l'unica motivazione della sentenza: «Nuotava insieme agli altri nella corrente del tradimento e quindi vi deve anche affogare!». I nazisti non facevano dei martiri. All'impiccato non concessero una tomba: per i fautori di menzogne e di odio c'era solo la brutale eliminazione.
La testimonianza della verità e della fede non si può però estinguere, continua a vivere in coloro che ci hanno preceduto, illuminando il nostro cammino. Il cappellano del carcere Buchholz, che da un nascondiglio diede la benedizione al condannato a morte per il suo ultimo breve tragitto, riferì poi: «Groß abbassò il capo in silenzio. Il suo viso sembrava già illuminato dallo splendore dal quale stava per venire accolto».
La sepoltura cristiana gli venne negata dal partito al potere e il suo cadavere venne cremato e le ceneri disperse sui campi gelati.
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