Il 1° ottobre del 2000, papa Giovanni Paolo II ha canonizzato un numeroso gruppo di 120 martiri in Cina; beatificati in precedenza in vari gruppi a partire dal 1746 con papa Clemente XIII, fino a Pio XII nel 1951.
E di questa folta schiera di martiri, che comprende vescovi, sacerdoti, catechisti, suore, religiosi, laici, che immolarono la loro vita per la fede, vittime dell’odio anticristiano, c’è un gruppo di 29, tutti appartenenti all’Ordine Francescano, uccisi dai fanatici ‘boxers’ il 9 luglio 1900 a Tai-yuen-fu.
Il gruppo capeggiato liturgicamente dal vescovo Gregorio Grassi, comprende 3 vescovi, 4 sacerdoti, 1 fratello religioso, 7 suore Francescane Missionarie di Maria, 11 laici cinesi del Terz’Ordine di s. Francesco e 3 laici fedeli cinesi; essi vennero beatificati il 27 novembre 1946 da papa Pio XII.
I ‘boxers’ erano un duplicato dell’antica e misteriosa associazione “Nenufaro bianco”, che era ostile alla dinastia Manciù e che durante il regno di Kia-king si credé di avere sterminato a furia di decapitazioni; invece i sopravvissuti poterono fuggire e rifugiarsi nella Cina del Sud, dove nel 1853 fondarono un breve regno durato solo 15 anni, chiamato “Regno celeste della pace”; defunto il loro primo sovrano si dispersero, continuando a provocare focolai rivoluzionari dovunque.
Alla fine del sec. XIX, nacque da essi la società del ‘Grande coltello’, dall’equivalente nome cinese, che finisce con il termine significante pugno, gli inglesi, riferendosi a questo termine ed agli esercizi fisici che facevano per acquistare agilità e potenza, li soprannominarono ‘Boxers’.
Detta società aveva come scopo la liberazione della Cina dagli stranieri e di conseguenza lo sterminio dei cristiani considerati loro complici. Nelle uccisioni preferivano i capi delle comunità cristiane, i catechisti, le maestre, i bambini anche di pochi giorni battezzati; con l’aiuto dei bonzi diffondevano contro i cristiani calunnie incredibili.
Con l’imperatrice madre Tz-Hsi i ‘Boxers’ poterono agire in piena libertà, specialmente nelle province intorno a Pechino; i cristiani per cercare di sfuggire alle aggressioni, si organizzarono in villaggi fortificati, ma i ‘boxers’ appoggiati a volte dalle truppe regolari, penetrarono dappertutto compiendo orrende carneficine, come nel villaggio di Tchou-kia-Ho dove furono massacrati migliaia di cristiani.
Di questa folla di martiri, la Chiesa ne ha beatificati una porzione, di cui si è potuto istituire delle pratiche con documentazioni: 85 in due gruppi nel 1946 e nel 1955, molti di loro come i 29 di cui parliamo, sono stati man mano canonizzati.
Gregorio Grassi il Vicario Apostolico dello Shan-si Meridionale, nacque il 13 dicembre 1833 a Castellazzo Bormida (Alessandria), da Giovan Battista Grassi e Paola Francesca Moccagatta, onesti borghesi e possidenti; al battesimo fu chiamato Pier Luigi.
Ad 11 anni ricevé la Prima Comunione, facendo il piccolo chierichetto nel Santuario della Madonna delle Grazie, molto venerata a Castellazzo e dintorni, e ai piedi di questo altare, sentì sbocciargli la vocazione religiosa, poi un incontro con due frati francescani venuti in pellegrinaggio al santuario da Bologna, gli fece prendere la decisione definitiva.
Nel 1848 con il consenso dei genitori, a 15 anni entrò nel Convento dei Frati Minori di Bologna; il 2 novembre dello stesso anno fu mandato a Montiano (Forlì) per il noviziato cambiando il nome di Pier Luigi in Gregorio Maria. Superato con forza e volontà il duro periodo del noviziato che in questo convento a sud di Cesena, era particolarmente rigido alla Regola, Gregorio Maria fece la sua professione il 14 dicembre 1849.
Da Montiano passò a Parma e poi a Bologna per completare gli studi liceali e teologici, avendo per compagni tanti futuri vescovi e missionari; nell’agosto 1856 venne ordinato sacerdote. Sentendo in lui sempre più forte l’ideale missionario, ottenne dai superiori di andare a Roma al fiorente Collegio Francescano per le Missioni.
Nel 1861 con un drappello di missionari figli di s. Francesco e con la benedizione di papa Pio IX, s’imbarcò per l’Estremo Oriente sostando per un certo tempo nella Palestina; ma arrivata a Porto Said una nave diretta al Tonchino, Gregorio corse a Suez ottenendo di far parte dell’equipaggio.
A fine ottobre 1861 egli giunse alla meta assegnatagli, lo Scian-tong, accolto da un suo lontano parente il Vicario Apostolico Moccagatta anch’egli di Castellazzo. Ma non restò molto nello Scian-tong, perché ebbe la disposizione di spostarsi nella lontana provincia cinese dello Scian-si con capitale Tai-yuen-fu, una delle città più celebri e antiche della Cina, a 780 metri sul mare. Per la sua conoscenza del cinese gli fu dato l’incarico di Rettore del seminario locale e confessore del numeroso orfanotrofio femminile, con la cura dei cristiani del circondario, cui si recava nelle feste principali per l’apostolato diretto.
Era particolarmente cultore del canto, che nelle modulazioni semplici dei cinesi, assumevano una struggente melodia, tutte le devozioni pubbliche in Cina sono accompagnate dal canto. Infondendo fra i suoi cari cinesi le energie di un’intensa attività giovanile, padre Gregorio Grassi trascorse i primi 12 anni, acquistando una preziosa esperienza dei luoghi e degli uomini, che sarà utilissima per la sua lunga carriera missionaria.
A 43 anni dopo la morte improvvisa di mons. Carnevale, coadiutore del Vicario Apostolico Moccagatta, molto anziano; padre Gregorio Maria Grassi fu scelto a succedergli e il 19 novembre 1876 venne consacrato vescovo titolare di Ortosia, con diritto di successione nello Shan-si, nella cattedrale di Tai-yuen-fu da parte del Vicario Apostolico di Pechino, che sostituì mons. Moccagatta gravemente ammalato.
Messosi subito all’opera, iniziò la visita pastorale nell’immenso territorio, basti dire che nell’aprile 1877 si recò nel distretto di Ta-tong-fu lontano ben 450 km. dalla capitale.
Mentre si raccoglievano i frutti di questa fervorosa attività, la Cina nel 1878 fu colpita da una di quelle spaventose carestie che spopolavano città e campagne; nel solo Shan-si la fame fece da 7 ad 8 milioni di vittime, la stessa Tai-yuen-fu ebbe 100.000 morti e dopo la carestia, come spesso accadeva, venne la peste e mons. Grassi fu uno dei primi ad essere colpito, mentre curava gli ammalati; stette sedici giorni fra la vita e la morte prima di riprendersi e scampare alla pestilenza.
Ripresasi dalla lunga convalescenza, si rimise in viaggio, prima sui “Monti Occidentali” poi alla Prefettura di Lu-ngan-fu; nel 1886 lo si trova al di là della Grande Muraglia, dappertutto visitando gli sperduti villaggi, ancora in preda alla miseria della passata carestia, confortando e confermando i cinesi cristiani che da tempo non vedevano un missionario, figuriamoci un vescovo.
La sua intensa, lunga attività missionaria è documentata dalla sua numerosa corrispondenza epistolare, dove racconta le conquiste apostoliche, la gioia delle conversioni, le tribolazioni subite, la consolazione di avere come collaboratori attivi missionari e buoni catechisti cinesi.
Il 6 settembre 1891 moriva il venerando mons. Moccagatta e quindi tutta la responsabilità del Vicariato dello Shan-si ricadde sulle spalle di mons. Grassi; il suo impegno aumentò e furono costruite Scuole di ogni tipo, ampliate quelle esistenti, consolidò il Seminario indigeno; facilitò e progettò il primo convento francescano nel 1891 a Tong-eul-kon.
Nei suoi 40 anni di missione, edificò, riparò o abbellì circa 60 chiese ed oratori; cominciò la costruzione del grande ospedale a Tai-yuen-fu, demolito durante la persecuzione; curò l’accoglienza e la crescita di oltre 200 orfanelle da lui affidate alle Suore chiamate ad aiutarlo.
Uomo integro e virtuoso, era di aspetto austero, magro, con barba veneranda e un parlare secco, amava la semplicità e povertà francescana; indossava la lunga tunica dei missionari cinesi, la croce pettorale di vescovo era di semplice ottone.
Il 27 giugno 1900, cominciarono a Tai-yuen-fu le avvisaglie della persecuzione operata dai ‘boxers’, comandati dal sanguinario viceré Yü-sien e scatenata dall’imperatrice settantenne Tz-hsi; furono bruciate le case e la chiesa dei Protestanti, i quali essendo più ricchi, furono attaccati per primi. Nonostante qualche tentativo non riuscito, di mettere in salvo i seminaristi e qualche sacerdote più anziano, il viceré l’indomani fece trasferire l’Orfanotrofio in una pagoda buddista.
Il 5 luglio i due vescovi Grassi e Fogolla che lo coadiuvava, i missionari, le suore, i seminaristi e dieci fedeli domestici cristiani, furono condotti con dei carri, scortati dai mandarini e dai soldati, che in teoria dovevano proteggerli, in un edificio-albergo, in pratica una specie di prigione, dove rimasero fino al 9 luglio 1900, quando con un inganno, furono tutti trasportati nel cortile del tribunale di Tai-yuen-fu verso le quattro del pomeriggio e lì a colpi di sciabolate vennero tutti massacrati e molti decapitati, per ultime le suore; anche i Protestanti subirono la stessa sorte.
I loro corpi mutilati, furono lasciati all’offesa della plebaglia pagana fino a sera, furono poi ammassati in una fossa comune alle mura della città, presso la Grande Porta Orientale, dove rimasero per tre giorni, in pasto ai cani ed agli uccelli rapaci. Poi per paura di una pestilenza, furono sepolti alla rinfusa fuori le mura, assieme alle ossa anonime di mendicanti e giustiziati. Solo con l’intervento delle Potenze Occidentali i ‘boxers’ vennero dispersi e a gennaio del 1901 vennero esumati i corpi per dare loro una onorevole sepoltura.
Autore: Antonio Borrelli
|