Grenoble, Francia, 29 agosto 1769 - St. Charles, Missouri, 18 novembre 1852
Coetanea di Napoleone, studia dalle Visitandine, a Grenoble. A 18 anni il monastero la accoglie come novizia, anche se lei non fa in tempo a pronunciare i voti solenni: la Rivoluzione sopprime conventi e monasteri. Rosa decide allora di dedicarsi all'assistenza degli ultimi. Nel 1801 le comunità religiose riacquistano la libertà, e lei entra nella società del Sacro Cuore, creata nel 1800 da madre Maddalena Sofia Barat. Nel 1818 arriva con quattro consorelle in Louisiana, dove il vescovo cerca aiuto per l'assistenza religiosa agli immigrati francesi. Rosa apre una scuola gratuita nel 1820, e intanto arrivano altre consorelle; nel 1828 le case con scuola sono sei, in Louisiana e Missouri. Lei deve lasciare la responsabilità di superiora: le fatiche l'hanno resa invalida. E tuttavia c'è un nuovo campo di lavoro da aprire: quello dell'evangelizzazione e dell'istruzione per la popolazione indiana seminomade dei Potawatomi, nel Kansas dove c'è una missione e dove la religiosa si reca in visita nonostante la malattia. Dal Kansas fa ritorno a Saint Charles, nel Missouri, dove muore a 83 anni. Beatificata nel 1929, madre Filippina è stata proclamata santa da Giovanni Paolo II nel 1988. (Avvenire)
Martirologio Romano: Nella città di Saint-Charles in Missouri negli Stati Uniti d’America, santa Filippina Duchesne, vergine delle Suore del Sacro Cuore di Gesù, che, nata in Francia, al tempo della rivoluzione in patria aggregò una comunità religiosa e, recatasi poi in America, vi istituì numerose scuole.
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Da un padre che aveva assorbito le idee di Voltaire e da una madre tutta casa e chiesa, quale felice combinazione di geni si poteva sperare? Filippina Rosa Duchesne viene al mondo a Grenoble il 29 agosto 1769. Eredita da papà un carattere forte, insieme ad alcuni tratti di ostinazione, impetuosità e testardaggine. In compenso, da mamma assorbe un’inclinazione per la preghiera e per le opere di carità e per l’altruismo.
Fin da bambina si lascia affascinare dai racconti di vita missionaria e a 8 anni sogna di andare ad evangelizzare gli indiani d’America. L’anticlericalismo papà non gli impedisce di rispettare preti e suore e, soprattutto, di affidare a queste ultime l’educazione della sua bambina. Così, a 12 anni Filippina viene affidata alle suore della Visitazione, ma papà si affretta a riportarla a casa quando si accorge che lei ha un’inclinazione un po’ troppo accentuata per la vita religiosa.
A 17 anni le trova un buon partito e allora lei sfodera il suo bel caratterino, eredità di famiglia, per dire chiaro e tondo a tutti che vuole farsi suora. Manco a dirlo, vince lei e a 18 anni, all’insaputa, dei suoi entra nel convento della Visitazione. Dopo il noviziato papà le impedisce di prendere i voti, ma, cosa ben più grave, sulla Francia si abbatte la rivoluzione francese, che fa chiudere i conventi e disperde i religiosi.
Filippina depone l’abito monacale e torna casa, aspettando che la bufera passi, ma quando potrebbe rientrare in convento questo non esiste più. Si dà da fare per restaurarne le mura e soprattutto per ricostituire la comunità con alcune sue ex compagne di noviziato, ma quando scopre l’esistenza della Società del Sacro Cuore, appena fondata da Maddalena Sofia Barat, si affretta a mettere nelle mani di questa donna eccezionale e carismatica se stessa, le amiche e il monastero.
A 35 anni può così finalmente emettere i voti religiosi, continuando a coltivare il sogno della missione. La fondatrice, che ha imparato a conoscerla bene nei pregi e negli eccessi del carattere, pensa però più opportuno trattenerla in Francia, dove tra l’altro ha anche bisogno di lei come segretaria generale della Congregazione. Arriva però il giorno che proprio non ce la fa più a trattenerla e deve lasciarla partire: Filippina è sulla soglia dei cinquant’anni, ma con l’entusiasmo per la missione di un’adolescente.
Dopo un viaggio avventuroso tocca il suolo americano, stabilendosi con una piccola comunità di suore in Luisiana. Ventidue anni di lavoro missionario, soprattutto speso per evangelizzare ed educare, fanno crescere la Società del Sacro Cuore, che ben presto raccoglie vocazioni anche su suolo americano. Filippina, che ha poco senso del successo dei suoi sforzi e che con l’umiltà dei santi pensa davvero di essere inutile, continua a sognare il lavoro “di frontiera”, in mezzo ai “selvaggi”. La accontentano a 70 anni suonati, facendola rientrare in una spedizione missionaria diretta in una riserva di indiani Potawatomi.
Il sogno di Filippina, che si era avverato dopo 60 anni, dura poco, un anno o poco più, quando per le condizioni di salute pensano bene di farla tornare indietro. Ubbidiente e umile torna in Luisiana, a rattoppare vestiti e soprattutto a pregare per altri dieci anni. Muore il 18 novembre 1852.
Proclamata beata da Pio XI nel 1929, è stata canonizzata da Giovanni Paolo II nel 1988.
Autore: Gianpiero Pettiti
Suo padre, Pierre-François, avvocato, appartiene alla classe politica emersa con la Rivoluzione francese, ma abbandona quando Napoleone si proclama primo console a vita. Lei, Filippina Rosa (coetanea di Napoleone), studia dalle Visitandine di Sainte-Maried’en-Haut, a Grenoble, e poi ritorna in famiglia. A 18 anni il monastero la riaccoglie come novizia, anche se lei non fa in tempo a pronunciare i voti solenni: la Rivoluzione sopprime conventi e monasteri.
Contemplativa mancata per forza maggiore, prende il via per una straordinaria vita di azione: soccorre i poveri che il cataclisma politico ha moltiplicato; va nelle prigioni per aiutare detenuti politici e condannati a morte. Ci sono suore e monache raggruppate clandestinamente qua e là, per continuare come possono la vita religiosa. Ma lei non lo può fare: glielo proibisce suo padre, che alla Rivoluzione deve il posto. Perciò s’impegna nell’assistenza, impara a convivere con la povertà e la paura di tanti. E' con la Rivoluzione che fa il suo noviziato.
Nel 1801 il concordato tra Francia e Santa Sede mette fine alla persecuzione. Le comunità religiose riacquistano la libertà, e subito lei pensa di far rinascere il monastero di Sainte-Marie-d’en-Haut. Riunisce un gruppetto di religiose, apre una scuola… Tanta volontà, ma risultati scarsi. Lei allora ottiene di entrare, con le poche consorelle, nella già vitale società del Sacro Cuore, creata nel 1800 da madre Maddalena Sofia Barat. Si rifà novizia, pronuncia i voti e pensa a un nuovo campo d’azione: l’America del Nord. Se la sogna anche di notte e ne scrive a madre Barat, che la invita a pazientare. E pazienta per dodici anni.
Nel 1818 eccola imbarcata con quattro consorelle: cinque mesi di viaggio fino alla Louisiana, dove il vescovo cerca aiuto per l’assistenza religiosa ai bianchi, in buona parte di origine francese. (La Louisiana è stata francese fino al 1803, quando Napoleone l’ha ceduta agli Usa). Lei e le consorelle debuttano al modo dei pionieri: capanna di tronchi, fatica fisica e povertà. Aprono una scuola gratuita nel 1820, e intanto arrivano altre consorelle; nel 1828 le case con scuola sono sei, in Louisiana e Missouri. Lei deve lasciare la responsabilità di superiora: le fatiche l’hanno resa invalida; e tuttavia c’è un nuovo campo di lavoro da aprire: quello dell’evangelizzazione e dell’istruzione per la popolazione indiana seminomade dei Potawatomi, le cui donne si dedicano all’agricoltura e gli uomini a caccia e a pesca. Nasce per loro la prima scuola a Sugar Creek, nel Kansas. L’hanno aperta le sue consorelle, perché lei si muove ormai con grande fatica.
Eppure nel Kansas ci vuole andare. Glielo ha chiesto un padre gesuita che dirige la missione; non importa se le manca la forza per dirigere e orientare. C’è bisogno di questa invalida, insiste: «La sua presenza attirerà ogni grazia dal cielo sui nostri lavori». La vedono ormai così. Si fa portare nel villaggio indiano, dove uomini e donne Potawatomi la chiamano “Filippina, la donna che prega”; e questa è l’ultima sua fatica, da suora senza gradi. Dal Kansas fa ritorno a Saint Charles, nel Missouri, dove muore a 83 anni. Beatificata da Pio XI nel 1929, madre Filippina è stata proclamata santa da Giovanni Paolo II nel 1988.
Autore: Domenico Agasso
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