Questo vescovo missionario domenicano e il suo catechista, Francesco Chiéu, fanno parte della gloriosa schiera dei 77 martiri annamiti e cinesi beatificati da Leone XIII il 7 maggio 1900. Domenico nacque a Baena, nella diocesi di Córdoba (Spagna) il 19 dicembre 1765 da poveri genitori. Ancora giovanotto il Signore lo chiamò a servirlo nell'Ordine dei Frati Predicatori di cui vestì l'abito nel convento di Santa Croce in Granada (1783). Sentendo crescere in sé il desiderio di consacrare la sua vita alle missioni, appena fece la professione religiosa, ottenne di essere affiliato alla provincia domenicana delle Filippine, alla quale era stata affidata l'evangelizzazione del Tonchino orientale (Vietnam). Dopo essersi preparato all'apostolato nel celebre convento di Ocana, Domenico salpò da Cadice il 29 settembre 1785 per quelle isole con altri confratelli, tra cui S. Ignazio Delgado y Cebriàn, e vi giunse il 9 luglio 1786, dopo un lungo e faticoso viaggio. A Manila, mentre frequentava i corsi di teologia, fu incaricato d'insegnare lettere nel collegio di San Tommaso. Poco dopo l'ordinazione sacerdotale (1789), fu mandato come missionario apostolico nel Tonchino orientale. Partì perciò per Macao, dove, all'inizio del 1790 si unì con il P. Delgado e altri due sacerdoti, anch'essi in viaggio per il medesimo Vicariato Apostolico.
Poiché il santo conosceva la lingua annamita, appena approdò nel Tonchino potè iniziare il ministero pastorale. I superiori della missione non tardarono ad apprezzare la pietà, la prudenza, la purezza di vita e la singolare pazienza di lui. Gli affidarono difatti la dirczione del seminario eretto a Tién-Chu per la preparazione dei preti indigeni. Nel delicato ufficio dovette dare ottima prova se il capitolo del 1798 lo nominò pro-vicario provinciale e, l'anno dopo, Vicario generale di Mons. Delgado, eletto Vicario Apostolico del Tonchino orientale dopo la morte di Mons. Feliciano Alonso. Pio VII nel 1800 lo nominò vescovo di Fez e coadiutore di Mons. Delgado.
Mons. Henares fu ordinato vescovo a Phunhay nel 1803, ma la nuova dignità non lo indusse a mutare il suo umilissimo genere di vita. Anzi, da quel giorno si sentì acceso da un più ardente zelo per le anime e da una più viva brama di martirio. Un giorno gli giunse dalla Spagna la notizia che gli era nata una nipotina. Allora egli compose la seguente preghiera, e la mandò al fratello perché la insegnasse alla fìgliuoletta appena fosse stata in grado di balbettarla: "Dolcissimo Gesù mio, padre della mia anima e del mio cuore, per la tua santa passione, per i meriti e l'intercessione della Vergine Maria, tua SS. Madre, ti prego di guardare con occhio misericordioso e liberare da ogni male il vescovo Fra Domenico, mio zio. Concedigli il tuo divino amore, di modo che, da esso acceso, tutte le opere sue siano di tuo servizio e, se sarà a maggiore onore e gloria tua, concedigli la grazia di spargere il suo sangue e di dare la vita per amor tuo, in testimonianza della tua fede. Amen".
Ogni anno lo zelante pastore visitava tutte le cristianità del suo Vicariato per amministrare i santi sacramenti e confermare nella fede i battezzati ancora tanto proclivi a coltivare superstizioni. L'evangelizzazione dell'Indocina (Tonchino e Cocincina), oggi Vietnam, iniziata nel secolo XVI da qualche francescano, ebbe il suo metodico organizzatore nel P. Gesuita Alessandro de Rhodes (†1660). Ci furono delle persecuzioni ma, verso il 1653, circa 300.000 annamiti avevano già abbracciato la fede cattolica. Dal 1820 al 1840 il re Minh-Manh, intelligente, ma crudele e xenofobo, cercò di estinguere la fede nel suo regno. In principio fu tenuto a freno dal viceré della Cocincina, il vecchio Thuong-Cong, favorevole ai cristiani, ma dopo la sua morte, avvenuta nel 1833, il re diede ordine che i nuovi missionari fossero cacciati, che i cristiani rinnegassero pubblicamente la loro religione calpestando il crocifisso, che le chiese fossero distrutte e soppresso l'insegnamento religioso.
Nel 1836 furono chiusi i porti agli europei e i sacerdoti ricercati attivamente. I cristiani perirono a migliaia benché di pochi sia stato possibile raccogliere notizie sufficientemente sicure da introdurre il loro processo di beatificazione. Tra le vittime più illustri figurano Mons. Ignazio Delgado y Cebriàn e il suo coadiutore, S. Domenico Henares, entrambi domenicani spagnuoli che lavoravano nelle missioni da quasi cinquant'anni. La persecuzione riprese più violenta nel 1838 motivo per cui, i due presuli, furono costretti a nascondersi ora in questo ora in quel villaggio per sfuggire alla caccia dei soldati. Il 29 maggio Mons. Delgado fu sorpreso a carcerato a Kién-Lao. Mons. Henares, che si trovava con lui, riuscì a sottrarsi alle ricerche dei soldati rifugiandosi nella casetta di una cristiana. La pia donna lo nascose dietro un graticcio di canne, che serviva per l'allevamento dei bachi da seta. Appena però i soldati si furono ritirati, per non esporre la sua ospite alla vendetta dei persecutori, nel cuore della notte egli, non potendo camminare per l'età e gli strapazzi sofferti, si fece trasportare sopra una lettiga nella vicina cristianità di Dàt-Vuot, seguito dall'inseparabile suo catechista, San Francesco Chiéu, al quale aveva insegnato latino e teologia nel seminario di Tién-Chu. Al momento della persecuzione non aveva voluto separarsi dal vescovo fuggiasco e ricercato dai soldati quasi fosse un bandito. Francesco era riuscito a raggiungere Xuong-Dién, sul mare, con Mons. Henares, nella speranza di potere trasferirsi con lui in un'altra provincia. Vedendosi ricercati, presero a noleggio una barchetta ma, per il vento contrario, non riuscirono a prendere il largo. Il prefetto del villaggio, fingendosi loro amico, esortò i cristiani della riva a fare loro segno di ritornare a terra perché intendeva offrire loro ospitalità. I due missionari furono albergati in casa di un pescatore di nome Nghiém, ma il 9 giugno 1838 il prefetto del villaggio li denunciò al mandarino e costui li fece arrestare dai soldati.
Gli sgherri rinchiusero il vescovo in una gabbia di bambù, e posero una pesante canga al collo del catechista e del padrone della capanna in cui i missionari avevano trovato rifugio. Costoro furono condotti a Nam-Dinh, capitale della provincia. Davanti alla porta della città, Francesco, che camminava alla testa del corteo, a piedi, vide con orrore che erano state distese per terra delle croci perché fossero calpestate dai viandanti. Accelerò il passo, raccolse quelle croci, se le strinse al seno, e non se le lasciò strappare di mano nonostante le battiture dei soldati finché non passò la gabbia che racchiudeva Mons. Henares. I mandarini, furenti per quel gesto, lo fecero imprigionare in un luogo separato dal carcere in cui rinchiusero il vescovo.
Il processo fu istruito la notte stessa dai magistrati della città. Alla loro presenza Mons. Henares fece pubblica professione di fede. Con le loro subdole domande non riuscirono a carpirgli nessuna indiscrezione riguardo ai suoi confratelli, ed allora risolsero di convocare simultaneamente alla loro presenza anche i missionari che erano già riusciti ad arrestare. La gioia dei confessori di rivedersi fu grande, ma troppo breve. Il Vicario Apostolico, Mons. Delgado, e il suo coadiutore, Mons. Henares, attraverso i fori delle loro gabbie ebbero modo di scambiarsi le loro impressioni in spagnuolo e animarsi vicendevolmente al martirio. Si separarono con la certezza che si sarebbero visti di nuovo tra breve in cielo. L'infelice Nghiém, atterrito dalle minacce dei tormenti, rinnegò la fede calpestando e bestemmiando la croce. Anche Francesco fu invitato, in ossequio al re, a quel gesto sacrilego, ma egli rispose: "Dio è il vero sovrano, principio di tutte le cose e veramente da adorarsi; non vilipenderò mai la croce". In ricompensa, prima di rimandarlo in prigione, i giudici inviperiti lo fecero flagellare fino al sangue. Nell'attesa della sentenza reale fecero altri tentativi per salvare dalla morte il loro connazionale, ma Francesco spiegò loro le principali verità della fede e concluse il suo sermone dicendo: "Il governatore permetterebbe che un figlio camminasse sopra il corpo del proprio padre disteso per terra? E quanto meno sarà lecito a me camminare sull'immagine del Signore del cielo e della terra che tutto il mondo deve amare e adorare? Eppure il governatore vorrebbe che io calpestassi la croce!... Quand'anche mi strappasse le viscere, non oserei commettere così grande delitto!".
Accecati dal furore, i magistrati lo consegnarono ai soldati perché lo flagellassero un'altra volta. Essi lo percossero con tanta violenza da strappargli brandelli di carne. Perché si ostinava a non calpestare la croce lo posero persino a sedere sopra una tavola irta di chiodi. I due missionari furono condannati alla decapitazione perché maestri di una falsa religione. Appena ne ebbero notizia, essi si mostrarono pervasi da così grande letizia da destare ammirazione negli stessi pagani. I soldati li condussero al luogo dell'esecuzione capitale tra due fitte ale di popolo portando, inalberate sopra una picca, le sentenze di morte. Mons. Henares ogni tanto leggeva un libretto di preghiere, ogni tanto confortava i cristiani accorsi a rendergli l'estremo tributo di affetto. Francesco, benché carico della canga e ridotto tutto una piaga, diceva a coloro che vedeva in lacrime: "Perché piangete? Oggi, maestro e discepolo, entreremo insieme nella vera patria; tornatevene tranquilli alle vostre case". I mandarini avevano costretto tre soldati cristiani ad essere presenti a quella scena ferale per indurii all'apostasia, ma il vescovo, appena li vide, disse loro: Figli miei, sopportate da forti ancora per poco tempo i patimenti e conquisterete il regno dei cieli". I tre coraggiosi atleti gli risposero ad una voce: "Tu, o padre, quando entrerai in quel beato regno, ricordati di pregare per noi". Giunti al luogo del supplizio Francesco s'inginocchiò per raccomandare l'anima propria a Dio, ma il carnefice gli mozzò la testa al terzo colpo sotto gli occhi del vescovo. La stessa fine fu riservata subito dopo a costui, che tutti chiamavano il padre dei poveri. Non disponendo di grandi ricchezze , per soccorrerli rammendava con le proprie mani le loro vesti, abbreviando le ore di sonno.
Appena i due martiri furono decapitati, i fedeli e i pagani si precipitarono sui loro corpi per astergerne con pannilini il sangue e appropriarsi di brandelli delle loro vesti. I mandarini, pieni di confusione per quegli attestati di venerazione, comandarono che i giustiziati fossero immediatamente seppelliti, e comminarono pene severe a coloro che, in casi simili, fossero stati sorpresi a raccogliere sangue. La testa di Mons. Henares fu esposta dentro una cesta per sette giorni lungo la via che conduceva alla vicina città, poi fu gettata nel fiume Vi-Hoàng, legata a grosse pietre perché non fosse ritrovata. Provvidenza volle, invece, che andasse a finire nella rete di un pescatore cristiano.
I resti dei due martiri sono conservati, con quelli di altri nove, vittime del re Minh-Manh, nella città di Bùi-Chu. Furono canonizzati da Papa Giovanni Paolo II il 19 giugno 1988.
Autore: Guido Pettinati
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