Siena, 1272 - 20 agosto 1348
Giovanni (questo il nome di battesimo) si unisce ai Disciplinanti di Santa Maria, sodalizio di laici dediti alla preghiera e alla carità. Sui 40 anni la svolta: lascia tutto e si ritira fuori città, ad Accona, campagna deserta e incolta tra collinette di creta. Qui lui e alcuni amici si scavano grotte per vivere da eremiti.
Dopo qualche anno, gli eremiti decidono di unirsi, vivendo in comunità sull’altura di Monte Oliveto, presso Buonconvento, a sudest di Siena. Qui nasce nel 1319 il monastero di Santa Maria, con la Regola benedettina. Bernardo fa eleggere come primo abate il suo amico Patrizio Patrizi, ma poi dovrà obbedire ai monaci, che vogliono lui per capo fino alla morte. Intanto è chiamato a fondare una decina di altri monasteri. E così si ritrova inaspettatamente fondatore e capo di un Ordine religioso, coi suoi “monaci bianchi”, presenti sempre a Monte Oliveto anche all’inizio del Terzo Millennio, fedeli alla Regola benedettina del pregare e lavorare, coltivando una spiritualità mariana che orienterà anche altre famiglie religiose, e impegnati in un’attività culturale di vasta influenza in Italia e in Europa.
Martirologio Romano: A Siena, transito del beato Bernardo Tolomei, abate, che, fondatore della Congregazione Olivetana sotto la regola di san Benedetto, si applicò con premura all’osservanza della disciplina monastica e, durante una epidemia di peste diffusasi in tutta l’Italia, morì presso i monaci di Siena che ne erano stati colpiti.
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Ha aspettato 661 anni per vedersi proclamare santo: vicende storiche e l’incessante scorrere dei secoli hanno pesato sulla sua causa di canonizzazione, al punto che solo domenica 26 aprile il Papa ha potuto dichiarare santo Giovanni Bernardo Tolomei, il fondatore degli Olivetani. Nasce il 10 maggio 1272 a Siena e viene battezzato con il nome di Giovanni; la sua è una delle famiglie più nobili e potenti della città, e questo potrebbe fare la differenza tra noi e lui; ma la crisi politica, economica e morale che caratterizza il periodo in cui vive lo rende straordinariamente nostro contemporaneo, a dimostrazione che nulla di nuovo avviene sotto il sole e, soprattutto, che in qualsiasi momento si può fare della nostra vita un capolavoro d’amore. Un brillante percorso scolastico e una memoria prodigiosa fanno di lui, ancora giovanissimo, uno dei docenti di Giurisprudenza nella prestigiosa università senese. Sono stati invece i domenicani della città a trasfondergli una fede autentica, una carità operosa e un grande amore per la preghiera: virtù che non lo abbandonano, anche quando si lascia avvolgere dai fasti di una vita spensierata e gaudente. In età matura attraversa una crisi religiosa, dalla quale emerge con fatica. Tutto inizia con una misteriosa malattia agli occhi, che peggiora al punto da portarlo alla completa cecità; unico barlume di speranza, in questo periodo buio dentro e fuori di lui, resta quello che ha imparato dai Domenicani e che lo porta a promettere di donarsi interamente a Dio se solo potrà recuperare la vista. Che prodigiosamente ritorna, almeno in quantità tale da permettergli una vita autonoma e da consentirgli, alla soglia dei 40 anni, di adempiere il suo voto. Ma non dai Domenicani (ai quali pure deve tanta riconoscenza) e neppure in una delle congregazioni già esistenti: le tante crisi che agitano il Trecento e forse anche il ricordo dei suoi recenti anni troppo gaudenti, gli impongono di cercare Dio nella solitudine, nella preghiera e nella contemplazione. È così che, insieme ad un paio di amici, nobili e ricchi come lui, e come lui desiderosi di incontrare Dio, si rifugia in una proprietà della sua famiglia, ricca di rovi e di vecchi ulivi, da dissodare e disboscare. Quei giovanotti, con le mani ben curate e senza calli, faticano ad adattarsi a quei lavori manuali, ma compiono progressi straordinari sulla strada che porta a Dio. E sono contagiosi, perché attirano, con il loro esempio e con la loro vita austera, tanti altri. La comunità cresce, arricchita da “nobili e ignobili”, come dicono le cronache del tempo: cioè dai figli delle famiglie nobili come da quelli delle famiglie proletarie: vivono in fraternità, secondo lo spirito delle prime comunità cristiane, mettendo tutto in comune e lavorando per vivere; come cella non hanno altro che le grotte di cui la zona è ricca. La gelosia finisce anche per lambire questa straordinaria comunità penitente e orante, facendo circolare voci malevoli. Arrivano i legati di papa Giovanni XXII, mandati a controllare cosa ci sia di vero, e devono ammettere che tutto funziona; solo si raccomandano che la nuova comunità, viste le proporzioni che sta assumendo, si dia una regola, scegliendola tra quelle esistenti e già approvate dalla Chiesa. Nasce così la congregazione e il monastero di Santa Maria del Monte Oliveto: la Regola cui si rifanno è quella di San Benedetto, il loro abito è di colore bianco in onore della Madonna e Giovanni Tolomei sceglie il nome di Bernardo, in onore dell’abate di Chiaravalle, anch’ egli innamorato di Maria. Non accetterà mai di essere ordinato prete giudicandosene indegno e accontentandosi di essere semplice diacono; come non accetterà per lungo tempo di essere abate del monastero che ha fondato: ufficialmente, dice, per i suoi problemi di vista e per le sue incapacità; in realtà, per l’umiltà che gli impone di essere l’ultimo di tutti e al servizio di tutti. Quando capisce che l’essere abate è il modo vero per mettersi a completo servizio dei confratelli, accetta anche questa nomina, diventando il modello dei monaci. Che crescono di numero, come i monasteri che bisogna aprire ovunque, e che in quella carica lo riconfermano, ogni anno, per 26 anni, praticamente fino alla morte. La peste nera del 1348 mette alla prova la coerenza e la carità di Fra Bernardo e dei suoi monaci: non solo li manda a curare gli appestati, ma lui stesso scende a Siena per incoraggiarli e sostenerli. Muoiono a decine (almeno 80) e anche Fra Bernardo ne è contagiato. Muore di peste il 20 agosto, vittima dell’amore che non solo ha insegnato, ma concretamente esercitato. Fino al dono completo di sé.
Autore: Gianpiero Pettiti
Figlio di Mino della nobile famiglia dei Tolomei, Giovanni che in seguito cambierà il nome in Bernardo, nacque a Siena nel 1272; la sua biografia è tratta dalla ricerca del domenicano Gregorio Lombardelli (†1613) anche se non tutta documentata.
La madre Fulvia Tancredi ebbe una visione prima della nascita; da giovane avrebbe studiato nel convento domenicano di s. Domenico in Siena, proseguendo gli studi fino a diventare maestro di diritto nell’Università della città e cavaliere dell’Impero.
In preda a crisi religiosa, ottenne, per intercessione della Madonna, la guarigione da una malattia agli occhi, questo lo portò ad abbandonare la città e la sua vita mondana; seguendo l’ispirazione nel 1313, anno di nuove cruente lotte fra le fazioni cittadine, Bernardo Tolomei con due concittadini i nobili Patrizio Patrizi e Ambrogio Piccolomini, lasciarono Siena ritirandosi ad Accona una proprietà dei Tolomei a 15 km dalla città.
Deposti gli abiti signorili, li sostituirono con più modesti, cambiati i nomi, si dedicarono ad una vita di preghiera, di penitenza e solitudine eremitica; sono ancora conservate le grotte di questo periodo, compresa una piccola cappella che il Tolomei si era fatto costruire.
Ma la loro vita ascetica, richiamò presso di loro molti uomini, nobili e plebei, desiderosi di associarsi alla loro vita. Bernardo che si riteneva responsabile di tutti, si rivolse al vescovo di Arezzo nella cui giurisdizione era il luogo prescelto, per avere l’autorizzazione canonica alla sua posizione e a quella di tutti gli altri.
Il 26 marzo 1319, il vescovo d’Arezzo Guido Tarlati, rilasciò a Bernardo Tolomei e Patrizio Patrizi, convenuti nell’episcopio, la ‘Charta fundations’ del nascente monastero di S. Maria di Monte Oliveto, sotto la Regola di s. Benedetto. Fu scelto un abito bianco con l’intento di onorare la Vergine Maria a cui era devotissimo Bernardo e la cui devozione mariana rimarrà in eredità alla spiritualità della Congregazione.
Nello stesso 1319 il monastero di Accona diventò di Monte Oliveto con in seguito l’aggiunta di Maggiore, per distinguerlo dagli altri che verranno, Bernardo e i suoi compagni, fanno nello stesso anno la professione religiosa, ricevendo l’abito monastico dalle mani del delegato del vescovo.
Lasciato lo stile di vita eremitica, presero a professare la Regola Benedettina arricchita dalla precedente esperienza ascetica, però stabilirono che l’abate fosse eletto per un solo anno. I monaci lo elessero come primo abate, ma Bernardo adducendo il fatto delle difficoltà visive, non accettò e così fu eletto Patrizio Patrizi; ma nel 1321 non poté più rifiutarsi e divenne abate del suo monastero; la prova della sua eccezionale personalità, la si ebbe quando i monaci, anno dopo anno, lo elessero per 27 volte abate, praticamente fino alla morte, dandogli ogni facoltà di decisione senza rendere conto a loro.
Cercò per almeno due volte di lasciare l’incarico, nel 1326 e 1342, facendo presente le sue difficoltà di vista e il fatto che non era sacerdote, avendo ricevuto soltanto gli ordini minori, ma i giuristi ed i legati pontifici, ribadirono la sua legittimità canonica. Ancora in vita Bernardo, si aggiunsero alla prima abbazia perlomeno altri undici monasteri, l’abate ottenne anche dal papa Clemente VI, residente ad Avignone, il 21 gennaio 1344, l’approvazione pontificia.
Il misticismo di Bernardo ci è raccontato dalla tradizione dei suoi colloqui con il Crocifisso e altre apparizioni di santi. Nel 1348 imperversò la grande peste e l’abate scese da Monte Oliveto per recarsi nel monastero di S. Benedetto colpito dal morbo, come tutta Siena; numerose furono le vittime anche fra i monaci; dopo aver aiutato e confortato i propri figli e fratelli nella fede, proprio nel 1348 Bernardo morì colpito anche lui dalla peste, secondo la tradizione il 20 agosto e sepolto nel monastero cittadino.
Purtroppo delle sue reliquie si sono perse le tracce, dopo la distruzione del monastero di Siena nel 1554, durante la guerra fra Carlo V e la Repubblica Senese.
La Congregazione Olivetana ha sempre portata avanti la causa di beatificazione del suo fondatore, considerandolo beato sin dal secolo XV, se ne ha la prova nel ‘diario’ di papa Pio II (Piccolomini), che visitò il monastero di Monte Oliveto nel 1462.
Il suo culto comunque fu confermato come beato con decreto della Congregazione dei Riti del 24 novembre 1644. Nel 1680 la festa religiosa del 20 agosto fu spostata al 21 agosto a causa della concomitanza della festa del grande s. Bernardo di Chiaravalle.
Per lo scompiglio portato dalle persecuzioni contro gli Ordini religiosi, specie nel Regno di Napoli e in Toscana, la causa è stata interrotta e solo nell’ottobre 1968 è stata ripresa in esame dalla Congregazione dei Riti. E’ esistente un’enorme mole di biografie che lo riguardano, in contrasto con l’assenza di suoi scritti.
Cicli di affreschi pittorici che lo raffigurano sono un po’ in tutti i monasteri e chiese olivetane e nei palazzi delle Istituzioni di Siena.
Papa Benedetto XVI lo ha canonizzato il 26 aprile 2009.
Oggi il suo culto è stato fissato dal Martyrologium Romanum al 20 agosto, mentre la Congregazione Benedettina Olivetana di Monte Oliveto Maggiore festeggia il Santo il 19 agosto.
Autore: Antonio Borrelli
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