V sec.
Figlio di aristocratici, Giovanni vive a Costantinopoli nel V secolo. A soli 12 anni fugge in un monastero degli Acemeti, che hanno come regola di vita il Vangelo che portano sempre con sé. Dopo qualche anno, però, inizia vita di mendicante, non riconosciuto, davanti alla casa paterna.
Martirologio Romano: A Costantinopoli, san Giovanni Calibíta: secondo la tradizione abitò per qualche tempo in un luogo appartato della casa paterna e poi in un tugurio, chiamato ‘kalýbe’, tutto dedito alla contemplazione e nascosto alla vista degli stessi genitori, dai quali dopo la sua morte fu riconosciuto soltanto grazie a un codice aureo dei Vangeli, che essi gli avevano donato.
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Pur prescindendo dalle numerose versioni nelle diverse lingue orientali, si conservano almeno tre recensioni greche della vita di Giovanni che concordano sufficientemente per riassumere come segue la biografia di questo personaggio assai misterioso che sarebbe vissuto a Costantinopoli nella prima metà del sec. V.
I genitori, Eutropio, senatore e generale d'esercito, e Teodora, personaggi della più alta aristocrazia bizantina, avevano instradato i due primi figli verso cariche onorifiche. Non riuscirono però nello stesso intento con Giovanni, terzo e ultimo loro figlio, precocissimo d'ingegno e straordinariamente dedito alla pietà. Questi, infatti, dodicenne e alla fine degli studi di retorica, incontrato nella scuola un monaco acemeta diretto a Gerusalemme, al suo ritorno dai luoghi santi, fuggí con lui nel grande monastero degli Acemeti, che si trovava allora sulla riva asiatica del Bosforo, nella località chiamata Ireneo, e che era stato fondato, intorno al 420, dall'egumeno Alessandro a Gomon. Questa comunità aveva raggiunto la sua massima prosperità e celebrità sotto il secondo successore di Alessandro, Marcello, il quale accolse Giovanni La comunità aveva come regola e bandiera il Vangelo, di cui ogni monaco doveva portare sempre con sé una copia. Giovanni se ne era procurata una mentre era ancora a Costantinopoli in attesa che il monaco, col quale doveva fuggire da casa, ritornasse da Gerusalemme. I genitori, ignari dello scopo da cui il figlio era indotto a chiedere il testo evangelico, gliene avevano procurato uno crisografato, miniato e ricoperto d'oro e di pietre preziose che fu proprio quello che procurò al nostro santo l'appellativo di "Possessore dell'Evangelo d'oro".
Dopo sei anni di perrnanenza nel monastero degli Acemeti, Giovanni lo abbandonò per ubbidire ad una seconda chiamata divina e, scambiati i suoi abiti con quelli di un accattone, ritornò a casa in incognito, vivendo da mendico dinanzi alla porta della casa paterna, sotto gli occhi dei suoi genitori. La madre, irritata alla vista di quello straccione, piú di una volta diede ordine ai servi di scacciarlo, ma il padre si mostrava piú umano e caritatevole. Il sovraintendente alla servitú del palazzo, approfittando dell'umanità del padrone e volendo insieme togliere quell'oggetto di fastidio dagli occhi della padrona, costruí accanto alla porta del palazzo una capanna nella quale il nostro santo visse per tre anni. Di qui gli altri due appellativi di "mendico" e di "calibita", dati a Giovanni nella tradizione. Soltanto tre giorni prima della morte, che presentí, si rivelò mostrando l'Evangelo d'oro.
Questa scoperta e la santa morte di Giovanni provocarono un enorme mutamento nell'animo dei genitori, i quali trasformarono il loro grande e lussuoso palazzo in uno xenodochio, in cui essi stessi servirono i pellegrini, e al posto della capanna, nella quale il loro santo figlio aveva vissuto per tre anni, eressero una chiesa che esisteva già nel 468 al momento del famoso incendio che distrusse una parte della città imperiale.
Autore: Giuseppe Caliò
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