Belmonte, Spagna, 14 settembre 1595 - Ijuí, Brasile, 17 novembre 1628
Juan del Castillo nacque a Belmonte, presso Cuenca, in Spagna, il 14 settembre 1595. Entrò nella Compagnia di Gesù il 22 marzo 1614, desideroso di partire per le missioni. Fu accontentato quando, nel 1616, venne destinato alle “reducciones”, ossia ai villaggi organizzati dai Gesuiti per evangelizzare e formare alla vita civile gli indios. Alcuni di essi, però, mal sopportavano l’operato dei missionari e decisero di eliminarli. Il 17 novembre 1628, padre Juan fu catturato nella “riduzione” dell’Assunzione a Ijuí (oggi territorio brasiliano) mentre leggeva il Breviario, portato nella foresta e ucciso. Due giorni prima erano stati uccisi, in un’altra missione, padre Roque González de Santa Cruz e padre Alonso Rodríguez. Tutti e tre sono stati beatificati da papa Pio XI il 28 gennaio 1934 e canonizzati da san Giovanni Paolo II il 16 maggio 1988. Nell’Esortazione apostolica «Gaudete et exsultate» del 2018, al paragrafo 141, papa Francesco ha menzionato i tre Gesuiti martiri del Río de la Plata tra le «intere comunità che hanno vissuto eroicamente il Vangelo o che hanno offerto a Dio la vita di tutti i loro membri».
Emblema: Breviario aperto
Martirologio Romano: Ad Asunción in Paraguay, san Giovanni del Castillo, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire, che in una delle reducciones, fondata in quello stesso anno da san Rocco González e affidata alle sue cure, fu sottoposto a crudeli supplizi per ordine di uno stregone e morì lapidato per Cristo.
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Juan del Castillo nacque a Belmonte, presso Cuenca, in Spagna, il 14 settembre 1595. Fu battezzato nella chiesa Collegiata di Belmonte il 27 settembre, sette giorni dopo la nascita. I suoi genitori, Alonso del Castillo e María Rodríguez, erano giovani, appartenenti a una famiglia nobile e stimata per onore e virtù.
Compì i suoi primi studi nel collegio della Compagnia di Gesù di Belmonte, fondato da san Francesco Saverio. Dopo aver frequentato per un anno la facoltà di Giurisprudenza dell’università di Alcalá de Henares, decise di diventare gesuita. Fece il suo ingresso nella casa di Madrid il 22 marzo 1614.
Frequentò i primi due anni del corso di Filosofia nel collegio di Huete, poi accettò di partire per le missioni in America Latina: «C’è più possibilità di patire e soffrire per Cristo», spiegò in seguito.
Partì il 2 novembre 1616 e sbarcò a Buenos Aires. Proseguì gli studi di filosofia e teologia a Córdoba e li concluse nel 1625, anno della sua ordinazione sacerdotale.
In una lettera a suo padre scrisse: «Ho detto la mia Prima Messa otto giorni dopo la festa dell’Immacolata Concezione», quindi il 16 dicembre 1625, «e poi andrò nelle Missioni del Paraguay a lavorare e morire tra quegli indios…».
L’anno successivo, nel mese di giugno, era già notevolmente impegnato nella “riduzione” di “San Nicola” a Piratiní. Le “riduzioni” erano di villaggi nei quali i missionari riunivano gli indios, per insegnare loro a lavorare stabilmente, convertirli al cristianesimo e avviarli alla vita civile.
Il 15 agosto 1628, padre Roque González de Santa Cruz, acconsentendo alla richiesta di quattrocento indios di Ijuí, fondò per loro la “riduzione” dell’ “Assunzione”. A dirigerla chiamò proprio padre Juan, col quale, in quella stessa data, celebrò per la prima volta la Messa nel nuovo villaggio.
Il giovane sacerdote lavorò per un certo tempo, raccogliendo buoni frutti in conversioni e organizzazione sociale, nonostante la ferocia degli indigeni. Gli stregoni, infatti, erano particolarmente ostili ai missionari e alle opere che avevano avviato.
Ñezú, uno di loro, era andato ad abitare nel villaggio organizzato, per goderne i benefici. Tuttavia, non accettò le regole, conservando le sue concubine. Per questa ragione, cominciò a maturare un atteggiamento di polemica contro i missionari e a covare l’intento di annientarli, per ricondurre gli indios alla fede degli avi.
Sobillato da un indio già membro di un’altra “riduzione”, Ñezú ordinò, nel novembre 1628, di uccidere i religiosi e di bruciare le chiese. Le prime vittime furono i padri Roque González e Alonso Rodriguez, il 15 novembre.
Padre Juan era ignaro della sorte dei confratelli. Due giorni dopo, il 17 novembre 1628, stava recitando il breviario, quando fu circondato da un gruppo di indios. Con un tranello lo trascinarono attraverso i boschi, legato per le mani, e lo uccisero a colpi di scure.
Mentre veniva massacrato, fu udito esclamare: «Tuparahe», che nella lingua guaraní significa: «Sia per amor di Dio!», poi ripeté più volte i nomi di Gesù e di Maria. Anche il suo corpo, come quelli degli altri due, fu dato alle fiamme.
La causa di beatificazione dei tre gesuiti, comunemente noti come i “martiri del Río de la Plata”, è stata avviata nella diocesi di Buenos Aires, in Argentina. Il decreto d’introduzione della causa, che segnava il passaggio alla fase romana, porta la data del 13 luglio 1932. In seguito alla promulgazione del decreto sul martirio, avvenuta il 3 dicembre 1933, furono beatificati da papa Pio XI il 28 gennaio 1934.
Per canonizzarli fu necessaria la verifica di un asserito miracolo, la cui inchiesta diocesana fu convalidata l’11 novembre 1983. La Consulta medica della Congregazione delle Cause dei Santi, il 16 dicembre 1987, si pronunciò a favore dell’inspiegabilità scientifica dell’accaduto. I Consultori teologi, il 26 febbraio 1988, hanno confermato il nesso tra il fatto prodigioso e l’intercessione dei tre martiri. Ai cardinali e ai vescovi membri della stessa Congregazione è spettato, il 15 marzo 1988, dare a loro volta parere positivo.
Infine, il 28 marzo 1988, il Papa san Giovanni Paolo II autorizzò la promulgazione del decreto con cui veniva riconosciuto il miracolo. Lo stesso Pontefice ha beatificato Roque González de Santa Cruz e i suoi due compagni il 16 maggio 1988 ad Asunción, durante il suo viaggio apostolico in Paraguay.
Nel 2018 sono stati menzionati da papa Francesco, al paragrafo 141 dell’Esortazione apostolica «Gaudete et exsultate», tra le «intere comunità che hanno vissuto eroicamente il Vangelo o che hanno offerto a Dio la vita di tutti i loro membri».
Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flochini
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