Madrid, Spagna, 1° gennaio 1809 - Valencia, Spagna, 24 agosto 1865
María Micaela Desmaisières y López de Dicastillo nacque a Madrid il 1° gennaio 1809, in una famiglia nobile. Ricevette un’educazione degna del suo rango, grazie alla quale poté inserirsi nell’alta società madrilena. Lacerata tra i doveri del suo ceto sociale e la religiosità verso cui si sentiva attratta, iniziò un intenso cammino ascetico e caritativo. L’incontro con una giovane malata di sifilide, presso l’ospedale di San Giovanni di Dio a Madrid, le aprì gli occhi sulle sofferenze delle donne e delle ragazze vittime di prostituzione, che rischiavano di tornare sulla strada una volta dimesse. Per loro aprì una casa che doveva fungere da collegio e da rifugio, ma dovette lasciarla dopo un anno, richiesta da suo fratello, diplomatico di carriera, per assistere la moglie di lui. Tornata in Spagna, assunse pienamente la direzione della casa. Il 12 ottobre 1850 lasciò definitivamente la vita mondana, andando a vivere insieme alle sue ragazze. Nel 1856 fu aiutata da padre Antonio Maria Claret (canonizzato nel 1950) nella stesura delle Costituzioni delle suore Ancelle del Santissimo Sacramento e della Carità, che all’Adorazione Eucaristica perpetua dovevano affiancare un lavoro educativo e di recupero della dignità delle donne a rischio. Madre Maria Michela del Santissimo Sacramento, come si chiamò dopo i voti religiosi, fu sempre in prima linea accanto alle sue figlie, sia religiose, sia ragazze assistite, fino a contrarre il colera durante un’epidemia a Valencia, morendone il 24 agosto 1865. Fu beatificata e canonizzata da papa Pio XI, rispettivamente il 7 giugno 1925 e il 4 marzo 1934. I suoi resti mortali sono venerati nella casa delle Ancelle del Santissimo Sacramento e della Carità a Valencia, mentre la sua memoria liturgica ricorre il 15 giugno, anniversario del giorno in cui lei professò i voti religiosi perpetui.
Martirologio Romano: A Valencia in Spagna, santa Maria Michela del Santissimo Sacramento Desmaisières, vergine e fondatrice della Congregazione delle Ancelle del Santissimo Sacramento e della Carità, che, mossa da un grande amore e dal desiderio di guadagnare anime a Dio, dedicò la propria vita al riscatto delle ragazze moralmente traviate e delle prostitute.
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Nascita e famiglia
María Micaela Desmaisières y López de Dicastillo nacque a Madrid il 1° gennaio 1809 da nobile famiglia. Suo padre, Miguel Desmaissières y Flores, aveva antenati militari, originari delle Fiandre. Sua madre, Bernarda López de Dicastillo y Olmeda, contessa de la Vega del Pozo e marchesa de los Llanos de Alguazas, discendeva da una famiglia proveniente dalla Navarra.
Fu battezzata tre giorni dopo la nascita, presso la parrocchia di San Giuseppe a Madrid. A causa della situazione politica, la madre, che era dama della regina Maria Luisa di Parma, moglie di re Carlo IV, lasciò il suo incarico per seguire il marito, brigadiere dell’Esercito spagnolo.
I primi anni
Micaela ricevette un’istruzione degna del suo rango, presso le Orsoline di Pau, in Francia. Nel giro di poco, però, capitarono alcuni fatti dolorosi nella sua famiglia. Nel 1822 morì suo padre, per i postumi delle ferite subite durante la guerra d’indipendenza. Tre anni dopo, perse la vita suo fratello Luis, anch’egli militare di carriera, a causa di una caduta da cavallo. Quasi nello stesso periodo, una delle sorelle, Engracia, subì un trauma e ne uscì con la salute mentale gravemente compromessa.
Dopo tutti questi eventi, la contessa ritirò le figlie rimaste dall’educandato e completò la loro educazione privatamente, insegnando loro quanto poteva tornare utile perché diventassero buone padrone di casa.
Nobile di animo e di stirpe
In Micaela si rivelò una indole artistica: realizzava dipinti e miniature di soggetti religiosi e suonava l’arpa. Imparò anche ad andare a cavallo, diventando una provetta amazzone.
Nel periodo estivo andava in vacanza con la famiglia a Guadalajara, dove si trovava una villa che la madre aveva ereditato. Nell’epidemia di colera che, nel 1834, colpì quella città, Micaela fu in prima posizione a portare soccorso ai colpiti, dando esempio di nobiltà d’animo, oltre che di stirpe. Dal 26 febbraio 1838 le fu riservato l’uso vitalizio del titolo di viscontessa di Jorbalán, cedutole dalla madre.
Un fidanzamento andato a monte
Nonostante fosse molto devota all’Eucaristia, secondo quanto le aveva trasmesso sua madre, Micaela non sentiva di doversi consacrare in maniera speciale a Dio. Neppure aveva scartato l’idea di sposarsi: era considerata un ottimo partito e aveva avuto varie storie d’amore, finché non fu chiesta in sposa da Francisco Javier Fernández de Henestrosa y Santisteban, figlio del marchese di Villadarias.
La relazione durò tre anni, nei quali i due giovani si amarono sinceramente. Tuttavia, alla vigilia delle nozze, il marchese ruppe il fidanzamento: era rimasto economicamente rovinato per il suo appoggio alla causa carlista (sosteneva don Carlos di Spagna, che si riteneva il legittimo erede al trono), quindi pensava di dover cercare, per il figlio, una sposa che potesse fornire una dote maggiore. Per la prima volta Micaela, profondamente umiliata, fu esposta alle chiacchiere della nobiltà madrilena.
Nel 1841, morì sua madre. Due anni dopo perse la vita anche un’altra delle figlie, Manuela, che aveva dovuto seguire il marito, esiliato per ragioni politiche e tanto crudele con lei da aver preteso per sé la sua eredità, che in realtà spettava a Micaela.
La doppia vita di Micaela
La contessa, prima di morire, l’aveva affidata alle cure del proprio direttore spirituale, il gesuita Eduardo José Rodriguez de Carasa. Lui aiutò Micaela, lacerata tra i doveri religiosi e le esigenze del suo ceto sociale, a uscire da quella sorta di doppia vita.
Secondo le sue indicazioni, al mattino si alzava all’alba, per pregare, andare a Messa e trascorrere il resto della giornata in opere di carità, in modo da poter partecipare, la sera, a cene, rappresentazioni teatrali e feste da ballo. Cercava di sorridere anche durante le occasioni mondane, nonostante il suo fisico ne risentisse: soffriva infatti di continui dolori di stomaco.
L’incontro con le donne emarginate
Nel 1844 padre Carasa le presentò María Ignacia Rico de Grande, una donna di cui si fidava, la quale, il 6 febbraio, la condusse per la prima volta nell’ospedale di San Giovanni di Dio a Madrid, presso il quale erano ricoverate alcune donne, prostitute e non solo, affette da malattie veneree. In particolare, si accostò a una ragazza: figlia di un banchiere, era stata ingannata da una finta marchesa, privata di tutti i suoi beni e, una volta finita in una casa di tolleranza, aveva contratto la sifilide. Micaela riuscì a convincerla a ritornare in famiglia.
Fino a quel momento, aveva ignorato la condizione di quelle donne, così come non aveva mai saputo a quale destino rischiassero di tornare una volta dimesse. Da quell’episodio sorse in lei l’idea di fondare qualcosa per aiutare quelle ragazze, vittime della miseria e dell’ignoranza.
La Casa di Maria Santissima delle Abbandonate fu fondata a Madrid il 21 aprile 1845 e affidata ad un comitato di sette nobildonne volontarie, che avrebbero dovuto educare le donne di strada uscite dall’ospedale, insegnare loro le basi della fede cristiana e prepararle a un lavoro dignitoso.
Un “anno sprecato”
Neanche due anni dopo aver intrapreso quell’iniziativa, Micaela ricevette una lettera dal fratello Diego, ambasciatore di Spagna a Parigi. Nella missiva le chiedeva di raggiungerlo, perché sua moglie, la contessa di Sevillano, mal si adattava al nuovo ambiente.
Così, affidata l’opera all’amica marchesa di Malpica, partì alla volta della Francia. In seguito ricordò quel periodo come “anno sprecato”: amava i vestiti all’ultima moda e voleva sempre essere al centro dell’attenzione. La sua religiosità era poco più che formale, con novene e preghiere vissute senza troppa convinzione.
La «luce interiore» della Pentecoste del 1847
Nell’aprile 1847, però, seguì un corso di esercizi spirituali. Il 23 maggio seguente, festa di Pentecoste, ricevette una «luce interiore», per usare le sue stesse parole: «Compresi che Dio era così grande, così potente, così buono, così amante, così misericordioso, che decisi di non servire altro che un Signore che riunisce tutto questo per riempire il mio cuore».
La certezza della presenza reale di Cristo generò in lei una fiducia e un abbandono in Lui, che le avrebbe dato tutto ciò di cui avevano bisogno la sua anima e la sua opera. Dio la dotò di grazie speciali, mentre il suo sforzo ascetico venne diretto soprattutto alla bontà, all’umiltà e all’obbedienza.
Micaela proseguì il suo impegno estendendo, insieme a padre François de la Bouillerie, il culto eucaristico a Parigi; altrettanto fece a Bruxelles, dove seguì il fratello e la consorte di lui. Cercò di entrare a Parigi tra le Figlie della Carità, poi tra le Visitandine. Per l’opposizione del fratello e dei confessori, dovette rinunciare, mentre proseguiva la sua vita fatta di lunga preghiera e penitenze.
Per sempre tra le ragazze a rischio
Ritornata a Madrid, trovò la Casa in precarie condizioni, quindi ne riprese la conduzione. Dopo aver tentato di affidarne la conduzione a maestre laiche, poi ad alcune Suore della Santa Famiglia di Bordeaux, decise, dopo aver intuito la volontà di Dio, di rimanere accanto alle sue ragazze, a partire dal 12 ottobre 1850.
Seguirono anni di duri sacrifici: consumò la sua fortuna a sostegno del Collegio, andando a chiedere perfino l’elemosina. Incontrò una dura ostilità alla sua opera: fu calunniata, diffamata, minacciata di morte; anche il collegio rischiò di andare a fuoco.
Micaela fu lasciata sola, anche dagli ecclesiastici che ritenevano inutile il suo lavoro. Il parroco della zona arrivò a rifiutarle il permesso di tenere il Santissimo Sacramento nella Casa, ma lei replicò che se il Signore fosse uscito, se ne sarebbe andata con lui. Aveva infatti un carattere tenace, simile a quello di suo padre, rafforzato dalle prove a cui era andata incontro.
La nascita delle suore Adoratrici del Santissimo Sacramento e della Carità
Nel 1856, alla morte di padre Rodriguez de Carasa, subentrò nella direzione spirituale padre Antonio Maria Claret (canonizzato nel 1950), che conosceva già Micaela per essere stato confessore alla corte spagnola.
La aiutò non solo nel suo cammino personale, ma anche nella stesura delle Costituzioni. Nacquero così le suore Adoratrici Ancelle del Santissimo Sacramento e della Carità, approvate dal cardinale arcivescovo di Toledo il 25 aprile 1858.
Il 6 gennaio 1859, Micaela e le prime sette compagne emisero i voti temporanei. Il 15 giugno 1860 lei sola professò quelli perpetui: era ormai madre Maria Michela del Santissimo Sacramento (madre Sacramento, per brevità), nominata superiora generale.
I primi passi della congregazione
La congregazione ricevette il pontificio decreto di lode il 15 settembre 1860, mentre le Costituzioni ottennero una prima approvazione per cinque anni di prova il 23 settembre 1861, seguita, il 24 novembre di cinque anni dopo, da quella pontificia definitiva, il 24 novembre 1866.
Così la fondatrice indicò, nelle Costituzioni, gli scopi della nuova congregazione: da una parte, l’adorazione continua del SS. Sacramento; dall’altra, trattare con benevolenza e vera carità le ragazze orfane o disgraziate che avrebbero voluto abbandonare la vita di corruzione e scandalo a cui si erano date, dando loro l’istruzione e l’educazione necessaria.
Madre Maria Michela, per la sua appartenenza alla nobiltà, non fu dimenticata dalla Corte spagnola: anzi, la regina Isabella II la richiamò presso di sé. L’incontro di queste due donne fu benefico per le attività religiose e sociali, che si moltiplicarono anche in altri rami.
La morte di madre Maria Michela
Nel 1865 il colera tornò a colpire la Spagna, in particolare Valencia, dove c’era un Collegio delle Adoratrici. La madre fondatrice accorse, ancora una volta in prima linea, a soccorrere le sue figlie, consorelle e ragazze assistite, rimaste contagiate. Anche lei fu colpita dal morbo, morendo il 24 agosto dello stesso 1865; fu sepolta nella stessa città di Valencia, in una fossa comune.
Alla sua morte, la congregazione si andava diffondendo: già sette Collegi erano funzionanti, mentre altri erano in progetto. Madre Maria Michela lasciava una gran quantità di scritti: le Regole, lettere, relazioni di viaggi, autobiografia, note intime spirituali di esercizi e ritiri, il testamento e molti altri.
Nella gloria dei Santi
Nel 1889 fu iniziato il processo di beatificazione nella diocesi di Valencia. Nel 1891 le sue spoglie furono trasferite dal cimitero alla casa delle Adoratrici Ancelle della città e collocate in un artistico sarcofago.
Secondo le norme dell’epoca, per la sua beatificazione furono approvati, nel 1925, due miracoli: la guarigione di suor Virginia di Gesù da una tubercolosi alle vie respiratorie e di suor Angela della Sacra Famiglia da un’ulcera gastrica. il 7 giugno 1925, quindi, papa Pio XI la proclamò Beata.
Lo stesso giorno della beatificazione si ritrovò guarita da una tubercolosi intestinale e polmonare l’Adoratrice Ancella suor Maria Nieves, a Santiago del Cile. Il 16 ottobre 1930, invece, una giovane donna, María Montaguti, si stava preparando a essere operata per un’otite bilaterale cronica purulenta, tanto che si era fatta tagliare i capelli in corrispondenza dell’orecchio sinistro: invocando madre Maria Michela, anche lei ottenne la guarigione. Furono questi i due miracoli riconosciuti per ottenere la sua canonizzazione, celebrata il 4 marzo 1934, di nuovo da Pio XI.
La sua memoria liturgica ricorreva il 25 agosto, giorno successivo a quello della sua nascita al Cielo. Dopo il Concilio Vaticano II è stata trasferita al 15 giugno, anniversario del giorno in cui santa Maria Michela professò i voti religiosi perpetui.
La sua eredità oggi
Oggi le Ancelle Adoratrici del Santissimo Sacramento e della Carità continuano la missione indicata dalla fondatrice tramite scuole, collegi e case di accoglienza per donne e ragazze vittime di prostituzione o comunque a rischio di emarginazione.
Sono presenti in venticinque Paesi: in Italia hanno case a Roma, sede della curia generalizia, ad Adelfia (Bari) e a Torre Boldone (Bergamo). Le opere sul territorio italiano, nel 2000, hanno costituito l’Associazione Micaela Onlus.
Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini
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