Nascita e primi anni
Venne alla luce il 19 marzo 1752 a Sant’Anastasia, cittadina alle falde del Vesuvio, sede tra l’altro del santuario della Madonna dell’Arco e dei popolari e tradizionali riti connessi al suo culto. Era il primo dei nove figli del marchese Giuseppe Castelli, di famiglia proveniente dalla Nuova Castiglia in Spagna, e della contessa Benedetta Allard, dei Léon di Francia; entrambi i casati si erano distinti per virtù cristiane e per meriti civili e militari. Venne battezzato due giorni dopo da uno zio materno e sacerdote dei Pii Operai, Carlo Castelli, nella parrocchia di Santa Maria la Nova: gli furono imposti i nomi di Francesco, Maria, Giuseppe, Ermenegildo, Simone e Giovanni.
«Esce il sole!»
Francesco crebbe e si formò in un ambiente sano, applicandosi con diligenza allo studio. La pietà e il fervore religioso ispirarono ben presto in lui una grande devozione, soprattutto verso la Vergine Maria, che invocava con l’appellativo di Madonna della Purità.
Irradiava dal suo viso, dall’atteggiamento e dall’agire una grande pace e gioia spirituale. Era così evidente che, al vederlo uscire di casa, le persone che abitavano nei dintorni esclamavano spesso, con l’enfasi propria dei meridionali: «Esce il sole!». In paese era generalmente chiamato “'o santariello” (il piccolo santo) o col diminutivo dialettale Ciccillo, mentre in famiglia era posto ad esempio per i suoi fratelli più piccoli.
Affascinato dai Barnabiti
Vicino a Sant’Anastasia, nella località Zazzara, venivano a trascorrere le vacanze gli aspiranti dei Chierici Regolari di San Paolo, o padri Barnabiti, fondati nel 1530 da sant’Antonio Maria Zaccaria. Francesco, che pure aveva frequentato i Frati Minori Conventuali del suo paese per motivi di studio, si sentì tuttavia affascinato dallo stile di quegli altri religiosi e chiese ai genitori il permesso di andare a trovarli: glielo consentirono, a patto che portasse con sé il minore dei fratelli.
Si situa a questo punto un episodio che ricorda certe leggende. Mentre i due camminavano lungo la mulattiera che li avrebbe condotti a destinazione, passarono attraverso un vigneto. Il fratellino, vedendo tanta abbondante uva, ne staccò un grappolo e lo portò a Francesco per mangiarlo con lui. L’altro, rispettoso della legge di Dio e della morale, gl’ingiunse di rimetterlo al suo posto. Il piccolo, interdetto ma con innocenza, avvicinò di nuovo il grappolo al tralcio: si riattaccò prodigiosamente.
Nel collegio di San Carlo alle Mortelle
Alla fine, nel novembre 1766, Francesco fu accompagnato a Napoli, per entrare nel fiorente collegio dei Barnabiti di San Carlo alle Mortelle, i cui giovani studenti vestivano l’abito clericale: quanti non diventavano sacerdoti secolari o religiosi ricevevano comunque una notevole preparazione negli studi umanistici. Lì ebbe come maestro padre Francesco Saverio Maria Bianchi, formatore di numerosi candidati agli altari napoletani e canonizzato lui stesso nel 1951.
Terminati gli studi umanistici, nel marzo 1770, a 17 anni, entrò nel noviziato dei Barnabiti. I suoi compagni, ammirando il suo fervore, sospiravano: «Dio ci faccia rassomigliare a lui», mentre il suo maestro spirituale lo definì «Caro piccolo angelo».
L’Eucaristia era il pane della sua verginità e la preghiera il suo respiro. Respingeva le tentazioni contro l’obbedienza con la stessa energia con cui rifuggiva quelle contro la purezza. Anche in collegio gli si attribuirono episodi di estasi, specie quando Francesco pregava assorto in fervida orazione, con gli occhi rivolti al quadretto della Madonna della Purità, che si era portato da casa.
Ammalato di tubercolosi
Il 1° maggio 1771 emise i voti, ma dopo qualche mese cominciò ad avere una tosse molto fastidiosa, che diede timore a tutti: in effetti, si trattava di tubercolosi. Furono chiamati i migliori medici, si misero in atto tutte le cure più idonee e affettuose, ma tutto fu inutile.
Il più tranquillo, fra tanti affanni che lo circondavano, era proprio Francesco, il quale aveva già predetto che non sarebbe arrivato al sacerdozio perché non ne era degno.
Ai primi di settembre del 1771 gli si propose di ritornare per qualche giorno in famiglia a Sant’Anastasia, per respirare l’aria balsamica della rinomata zona vesuviana. Lui non oppose resistenza, anche se il distacco dai confratelli e il lasciare la sua cella lo mettevano a dura prova. Portò con sé ancora una volta l’immagine della Madonna della Purità, come conforto nei giorni del suo involontario esilio.
Rimase a letto nel suo antico palazzo, dove i familiari erano doppiamente angosciati per lui e per la salute della madre, incinta dell’ultimo figlio. Francesco assicurò tutti che la madre avrebbe partorito bene e il figlio nato sarebbe stato la continuazione della discendenza, perché tutti gli altri fratelli sarebbero morti prima di lui.
La morte a 19 anni
La sera del 18 settembre 1771, quindici giorni dopo il suo arrivo, era ormai agonizzante. Attorno a lui c’erano i desolati familiari, il padre barnabita Narducci e il parroco di Sant’Anastasia, cui il moribondo chiese che ore fossero: «Sono le ventitré», rispose. «Bene», replicò il giovane, «ecco un’ora buona; ancora un’altra e io sarò nell’eternità». Alla mezzanotte del 19 settembre, infatti, Francesco spirò, con lo sguardo rivolto alla Madonna della Purità: aveva 19 anni.
Nello stesso istante a Napoli, a San Carlo alle Mortelle, san Francesco Saverio Maria Bianchi interruppe la lettura dell’Ufficio e disse ai chierici che erano con lui di pregare insieme perché Francesco Maria Castelli era morto. Le campane della chiesa e del collegio si misero a suonare per l’Angelus della notte da sole, fra lo stupore di tutti.
Fama di santità e causa di beatificazione
La sua fama di santità venne alimentata, tra l’altro, dalla sua prima biografia, scritta da san Francesco Saverio Maria Bianchi, stampata anche in tedesco. La sua causa di beatificazione, iniziata nel 1876, passava il 20 dicembre 1883 alla fase romana: secondo la legislazione del tempo, gli veniva attribuito quindi il titolo di Venerabile.
Il suo corpo fu inizialmente sepolto nella Congrega dei Morti in Sant’Anastasia. Nel 1772 venne traslato nella chiesa di San Carlo alle Mortelle. Con decreto apostolico, il 21 marzo 1891, venne definitivamente portato presso la chiesa di Santa Maria di Caravaggio in piazza Dante a Napoli, tuttora retta dai padri Barnabiti. La stessa chiesa ospita i resti del suo maestro, san Francesco Saverio Maria Bianchi.
Il suo ricordo oggi
La fama di santità di Francesco Maria Castelli, che un altro biografo definì “Fiore del Vesuvio”, è particolarmente viva a Sant’Anastasia, il suo paese d’origine. Già dalla fine del secolo scorso alcuni suoi concittadini si erano organizzati in un apposito Comitato, coordinato con i Barnabiti di Napoli, al fine d’incentivare iniziative volte a favorire la conoscenza della sua storia, in particolare tra i ragazzi e i giovani. Un vicolo è intitolato a lui, mentre in una piccola chiesa, dove lui insegnava il catechismo ad alcuni compagni, sono conservati un suo quadro e alcune reliquie. È pure conservata la cameretta dove morì, corredata da un ciclo pittorico sulla sua vita.
Il Comitato è tuttora vivo e attivo. Ogni anno, in occasione dell’anniversario della morte, organizza un pellegrinaggio a Napoli presso la tomba del Venerabile: in quest’occasione, il sindaco di Sant’Anastasia offre l’olio per una lampada votiva e un omaggio floreale, recitando poi una supplica per i bisogni del popolo e della città.
La speranza dei suoi devoti è che il titolo di Beato, con cui Francesco Maria Castelli è popolarmente noto, gli venga attribuito anche a livello ufficiale, se qualcuna delle grazie significative a lui attribuite potrà essere ritenuta degna di nota.
Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini
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