I primi anni
Eustachio Montemurro nacque a Gravina di Puglia il 1° gennaio 1857, secondo dei sei figli del notaio Giuseppe Montemurro e di Giulia Barbarossa. Di temperamento vivace, imparò a moderarsi grazie all’esempio dei genitori e di due zii materni, i canonici Federico e Leopoldo, che si occuparono della sua istruzione elementare e ginnasiale nella scuola da loro istituita a Minervino Murge.
Nel giugno 1867, a causa di un’epidemia di colera, perse la madre, la sorella Maria Francesca e il fratello Federico Gregorio. Pur sconvolto da quei lutti, riuscì a impegnarsi nello studio tanto da entrare, a poco meno di quindici anni, nel liceo “Emanuele Duni” di Matera.
Gli anni del liceo e dell’università
Durante gli anni del liceo, che frequentava alloggiando nel convitto annesso, Eustachio si rese conto della situazione di estrema povertà in cui vivevano molte persone, compresi i suoi zii paterni, ma anche della dignità con cui cercavano di affrontarla.
Dopo aver conseguito la maturità classica, nell’autunno 1875 s’iscrisse alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Napoli. Impegnandosi a evitare ogni sorta di distrazioni s’immerse nello studio: si laureò il 23 agosto 1881, ma ancor prima aveva ottenuto, il 23 luglio 1879, il diploma speciale in matematica e scienze naturali.
L’impegno sociale e caritativo del dottor Montemurro
Ritornato a Gravina, si impegnò fattivamente e costantemente come medico, consigliere comunale, docente e dirigente scolastico, membro e presidente di organizzazioni caritative ed assistenziali. Per ventidue anni, come medico entrava nelle case, ascoltava, osservava, rifletteva, curava, sosteneva, incoraggiava, soffriva.
Come cittadino avvertiva il malcontento ed il desiderio di giustizia delle classi meno abbienti e le richieste dei giovani. Tutto questo lo condusse a riflettere su sé stesso, sul prossimo, sulla strada che lo attendeva.
I segnali della vocazione al sacerdozio
Nel 1890, assistendo i suoi ammalati, il dottor Montemurro si ammalò per un’infezione tifoidea. Mentre era vegliato dal suo medico curante e dal suo confessore, promise che se la Madonna l’avesse fatto guarire, sarebbe diventato sacerdote e confidò di aver visto i santi Cosma e Damiano, medici, in abiti sacerdotali.
La guarigione avvenne, ma il dottore indugiò per dieci anni prima di compiere la promessa. A muoverlo in tal senso fu l’ascolto di una predica sulla salvezza dell’anima, nella cattedrale di Minervino Murge, durante la Quaresima del 1902.
Sacerdote, ma anche medico
Così, a quarantacinque anni, il dottor Montemurro chiese al suo vescovo, monsignor Cristoforo Maiello, di essere accolto in Seminario. Dopo un biennio di intensi studi teologici, venne ordinato sacerdote il 24 settembre del 1904; celebrò la prima Messa il 1° ottobre successivo. Quasi subito, il 26 ottobre, ebbe la nomina di vice-parroco di San Nicola e Santa Cecilia di Gravina.
Nei successivi diciott’anni manifestò tutta la sua tempra di apostolo. Era generoso sino a farsi servitore di tutti, specie nell’assistenza ai moribondi. Padrone di sé anche nelle situazioni più difficili, dedicava ore alla preghiera meditativa e contemplativa. A volte soffrì in silenzio le incomprensioni di qualche appartenente alla gerarchia.
Come il suo contemporaneo Vittorio Maria De Marino, medico e sacerdote dei Chierici Regolari di San Paolo, detti Barnabiti (Venerabile dal 1992), don Eustachio imparò a curare sia i corpi, sia le anime.
Fondatore di due congregazioni religiose
Nella sua profonda e sopravvenuta sensibilità pastorale, invitò superiori, confratelli e religiosi a un «fedele ritorno alle origini del proprio istituto». Consapevole che la vita esemplare dei sacerdoti era la condizione imprescindibile per la formazione delle coscienze, di cristiani autentici e impegnati nel bene comune, il Montemurro nella sua acuta analisi rilevava che lo stile di vita troppo «secolaresco» condotto da parroci e viceparroci era un impedimento per l’adempimento del ministero sacerdotale e causa del «propagarsi di errori contro la fede» e del buon costume.
Dietro questi impulsi di carità, egli fondò due congregazioni religiose. Il 21 novembre 1907 diede vita ai Piccoli Fratelli del Santissimo Sacramento, per la promozione del culto eucaristico e la formazione dei parroci: i primi due membri furono lui e il suo amico e confratello don Saverio Valerio.
Il 1° maggio 1908, invece, fece cominciare la vita comune tra Chiara Terribile, che seguiva come direttore spirituale, e Maria Lucia Visci: furono le prime Figlie del Sacro Costato, che sarebbero state dedite alla riparazione al Sacro Cuore e all’educazione civile e cristiana delle fanciulle del popolo.
Estromesso per eccesso di zelo
Monsignor Nicola Zimarino, vescovo di Gravina, ammirava don Eustachio e la sua opera. Tuttavia, spinto dalle voci che accusavano il fondatore di eccesso di zelo, chiese che tre canonici visitassero la comunità delle Figlie del Sacro Costato. La relazione che gli consegnarono, relativa anche ai Piccoli Fratelli del Santissimo Sacramento, conteneva aspetti veritieri, ma anche altri che dovevano perfezionarsi, dato che entrambi gli istituti erano appena agli inizi.
Alla fine, però, domandò alla Santa Sede il decreto di soppressione: il 21 febbraio 1911 fu emesso e, dal 23 giugno 1911, da lui applicato nel territorio diocesano. I vescovi delle altre diocesi dove le due realtà si erano diffuse, però, non vollero lasciarle morire e si rivolsero al Papa san Pio X.
Don Eustachio, accettando con piena sottomissione le disposizioni dei superiori ecclesiastici, si ritirò dal governo delle sue fondazioni e d’accordo con monsignor Monterisi, vescovo di Marsico e Potenza, con altri vescovi interessati alle sue Opere e con lo stesso monsignor Zimarino, decise di affidare a sant’Annibale Maria di Francia le sorti dei suoi Istituti.
A Valle di Pompei
Il Di Francia, preoccupato per il futuro dei nove giovani aspiranti Piccoli Fratelli che aveva ospitato nel suo studentato di Oria, sollecitò don Eustachio a riprendere la direzione dei suoi Istituti.
Tuttavia, monsignor Zimarino si oppose. A quel punto, consigliato anche dal padre redentorista Antonio Maria Losito, suo direttore spirituale, il sacerdote chiese al Papa san Pio X il permesso di trasferirsi con don Saverio Valerio a Valle di Pompei.
Il 28 giugno 1913 san Pio X chiese a monsignor Zimarino, inizialmente contrario a causa della scarsità del clero diocesano di Gravina, di permettere ai due sacerdoti di trasferirsi e, in pari tempo, di chiedere l’incardinazione nella diocesi di Nola, nel cui territorio all’epoca si trovava Pompei. Il permesso, seppur temporaneo, fu accordato e divenne definitivo quando papa Benedetto XV ordinò che don Eustachio e don Saverio restassero a servizio della Delegazione Pontificia per il Santuario di Pompei.
Tra le ragioni che indussero don Eustachio e don Saverio ad «implorare tale grazia» dal Vicario di Cristo vi era «il desiderio di condurre vita comune nel servizio delle anime, presso il Santuario della Santissima Vergine di Pompei, grande dispensatrice di grazie». E insieme don Eustachio nutriva la speranza di ripristinare l’Opera maschile che «formava il centro del suo cuore».
Il suo ministero pompeiano
L’aspirazione del Montemurro a vivere e promuovere la vita comune del clero si mantenne costante e cercò di realizzarla anche a costo di allontanarsi dal proprio paese, dai propri cari e dalla propria gente, dalla quale egli era molto amato e stimato.
Il 7 gennaio 1914 lasciò Gravina. Partì da solo, senza don Saverio rimasto a Gravina per tenere aperta la casa di Sant’Emidio e, come aveva suggerito monsignor Zimarino, per tacitare il popolo, il quale aveva lasciato partire il medico-sacerdote a condizione che mensilmente si fosse alternato col suo confratello nella città natale per ascoltare le confessioni.
Al Santuario della Vergine del Rosario c’erano ad attenderlo il delegato pontificio monsignor Augusto Silj, che si era fatta di lui un’ottima opinione, e l’avvocato Bartolo Longo, suo amico e ora beato, che intendeva offrirgli tutto il suo appoggio. Don Eustachio e Bartolo Longo erano legati sia dalla comune origine pugliese (il secondo era nativo di Latiano, in provincia di Brindisi), sia dal fatto che entrambi avevano studiato presso l’Università di Napoli, sebbene si fossero specializzati in campi diversi.
Don Eustachio riprese subito e con inalterabile serenità il lavoro pastorale nelle tre parrocchie della forania di Scafati coadiuvando il parroco don Gennaro Federico nella parrocchia del Santissimo Salvatore e andando incontro anche al parroco di Scafati, specialmente nell’insegnamento del catechismo e nell’assistenza ai moribondi.
Passava molto tempo nel confessionale del Santuario, anche nelle ore più fredde o torride. Andava poi spesso in visita alle famiglie abbandonate nella campagna di allora, prestando cure pastorali e mediche agli ammalati e ai moribondi, specie durante la famosa epidemia della febbre “spagnola”, che fece tante vittime in quegli anni.
Con la speranza di ricostituire i Piccoli Fratelli del Santissimo Sacramento, dato che gli studenti di Oria erano confluiti nei Rogazionisti, nel 1915 don Eustachio ottenne dalla Delegazione Pontificia di Pompei una casa, dove cominciò ad accogliere alcuni aspiranti. Tuttavia, le incombenze del ministero e lo scoppio della prima guerra mondiale non gli permisero di dare seguito a quell’aspirazione.
Le Figlie del Sacro Costato, intanto, andavano incontro a una scissione, dovuta a contrasti interni e divergenze tra il canonico Di Francia e il nuovo vescovo di Potenza. Don Eustachio si adoperò per scongiurare la frattura, ma senza esito. Ne soffrì molto, ma continuò a seguire con paterna sollecitudine le vicende dell’Istituto.
La morte
Don Eustachio morì a Pompei, circondato da fama di santità, il 2 gennaio 1923. Le Figlie del Sacro Costato furono informate del decesso da don Saverio Valerio e riferirono a loro volta la notizia, elevando a Dio preghiere di suffragio.
I suoi resti mortali furono sepolti nel cimitero di Scafati, non lontano da Pompei. Il 20 dicembre 1936 vennero traslati a Gravina di Puglia, nella cappella della casa madre delle Missionarie del Sacro Costato, al tempo casa di noviziato.
La causa di beatificazione e canonizzazione
L’inchiesta diocesana per la sua causa di beatificazione e canonizzazione è stata istruita presso la diocesi di Napoli, in quanto la Prelatura Territoriale di Pompei non disponeva di sufficienti sacerdoti per istituire il Tribunale Ecclesiastico che si sarebbe dovuto occupare della causa.
Dopo aver ottenuto il trasferimento della competenza giuridica da Pompei a Napoli il 14 febbraio 1992, giunse il nulla osta della Santa Sede, il 10 agosto successivo. L’inchiesta diocesana si è quindi svolta dal 21 novembre 1992 al 23 giugno 1995. Gli atti dell’inchiesta principale e di quella suppletiva sono stati convalidati col decreto del 9 marzo 1996.
La sua “Positio super virtutibus” è stata consegnata alla Congregazione delle Cause dei Santi il 31 ottobre 2002. Un asserito miracolo attribuito alla sua intercessione è stato esaminato nel processo diocesano relativo, concluso il 30 novembre 2004 presso il Vicariato di Roma.
La famiglia religiosa di don Eustachio oggi
Oggi le Figlie del Sacro Costato, distinte in due Istituti giuridicamente eretti: le Suore Missionarie del Sacro Costato e di Maria Santissima Addolorata e le Suore Missionarie Catechiste del Sacro Cuore, proseguono autonomamente il loro cammino di fedeltà a Dio e alla Chiesa secondo gli orientamenti ricevuti dal Fondatore. Presenti in diverse parti del mondo, operano in campo catechistico, liturgico, pastorale, pedagogico, assistenziale e missionario.
Quanto ai Piccoli Fratelli del Santissimo Sacramento, nel 1993 sono stati ripristinati nella diocesi di Campo Limpo, in Brasile, dal sacerdote diocesano don João Volmir Dos Santos, che, avendo letto gli scritti del Servo di Dio, si è sentito mosso dallo Spirito a ridare vita a questa Congregazione maschile, assumendone il nome e lo spirito originario. Si dedicano prevalentemente alla rivitalizzazione delle parrocchie loro affidate, quali centri di vita spirituale e di servizio pastorale.
Le Suore Missionarie del Sacro Costato e di Maria SS.ma Addolorata, le Missionarie Catechiste del Sacro Cuore e i Piccoli Fratelli del Santissimo Sacramento hanno delle associazioni laicali collegate, che ispirandosi alla vita e agli insegnamenti del padre Fondatore, partecipano del loro carisma e della loro missione.
Autore: Emilia Flocchini e suor Maria Cristina Floris MSC
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