Un’infanzia abbandonata Il 18 marzo 1928 in una casa di Castelpagano, in provincia di Benevento, nacque un bambino. La giovane levatrice del paese, Irma Gaita, provvide a registrarlo all’Ufficio di Stato Civile il 23 dello stesso mese, con il nome di Giuseppe e il cognome Italico, dopo che, il giorno precedente, era stato battezzato nella Chiesa del SS. Salvatore di Castelpagano. Il Comune provvide a farlo accogliere nel Brefotrofio Provinciale di Benevento, con i pochi oggetti che gli erano stati trovati addosso: una fascia di tela, un pannolino e una cuffia.
L’accoglienza dei coniugi Ottone Giuseppe non restò per molto al Brefotrofio di Benevento, perché il 22 novembre dello stesso anno 1928 venne affidato in allevamento esterno ai coniugi Domenico Ottone e Maria Capria, di Benevento. Non avevano figli e volevano adempiere un voto pronunciato dalla signora, così chiesero molto piccolo, da poter crescere come un figlio generato da loro. I coniugi decisero di trasferirsi a Napoli nel timore che in seguito la madre naturale reclamasse il piccolo. Qualche tempo dopo, per motivi di lavoro di Domenico, cameriere, si stabilirono definitivamente a Torre Annunziata, terra di mare, posta lungo la costa che si delinea sotto le pendici del Vesuvio.
Un bambino buono a casa, in chiesa e a scuola Peppino, come fu presto soprannominato, crebbe sincero, deciso, ricco di qualità e di virtù. Andava volentieri a scuola senza mostrarsi mai scontento ed era disciplinato e armonioso con tutti. Prima di entrare a scuola passava in chiesa, senza curarsi delle prese in giro da parte dei compagni, per una breve visita a Gesù nel Tabernacolo. Dal 1934 fino al 1939 frequentò la scuola elementare maschile «Parini», poi venne ammesso all’Istituto Tecnico Commerciale «Ernesto Cesàro». A scuola era il primo della classe e fu sempre promosso; la sua materia preferita era la lingua latina. S’impegnava al massimo perché sapeva che, se avesse avuto ottimi voti, avrebbe concesso ai genitori di non pagargli le tasse scolastiche.
Segni di carità La madre adottiva faceva la smacchiatrice, il padre invece il cameriere, ma non sempre trovava lavoro; lei di indole buona, pia, paziente, lui invece collerico, irascibile, spesso beveva vino più del necessario. Giuseppe cercò quindi di aiutare la mamma a sopportare i suoi gesti violenti, anzi, a volte prendeva le sue difese. Di nascosto prese ad aiutare alcuni poveri con frequenti elemosine, utilizzando i suoi piccoli risparmi, m i genitori non tardarono a scoprirlo: nascondeva i soldi dentro le scarpe. Non solo: il lunedì e il sabato, fuori da casa sua, era atteso da molti mendicanti. Altre volte lasciava loro le sue merende, oppure invitava i compagni di scuola a casa per il pranzo.
Il sorgere della religiosità di Peppino La religiosità della mamma adottiva, non ostacolata dal marito, divenne per Giuseppe un sicuro modello, al quale affettuosamente s’ispirava per trovare un orientamento per la propria vita. Imparò a recitare il Rosario sulle sue ginocchia, prima col suo aiuto, poi da solo. Dopo un breve momento di crisi, ricevette la Prima Comunione il 26 maggio 1935, nella chiesa dell’Arciconfraternita del SS. Rosario. Da allora si accostò all’Eucaristia con frequenza e con la passione per una vita santa, aiutato in tal senso da padre Brunone Taliercio, dei Frati Minori, che divenne il suo confessore.
La Madonna di Pompei, il Sacro Cuore di Gesù, gli angeli Osservò assiduamente le pie pratiche dei Quindici Sabati alla Madonna del Rosario di Pompei e dei primi nove venerdì al Sacro Cuore. Ogni primo venerdì del mese era presente nella chiesa di Santa Teresa di Gesù: già alle 5.30, incurante del freddo, si presentava in sacrestia; quindi, partecipava alla Messa insieme ad alcuni operai dello Spolettificio militare, una grande occasione di lavoro per il territorio di Torre Annunziata. Nei suoi disegni rappresentava non di rado figure di angeli. Quando aveva finito, esclamava: «Beati loro, stanno notte e giorno davanti a Dio». L’Angelo di Dio era un’altra delle sue preghiere preferite: la diceva al mattino e alla sera, in ginocchio e con le mani giunte.
I suoi pellegrinaggi Si recava anche alla vicina Pompei, per pregare davanti alla Vergine del Rosario, nel Santuario fondato dal beato Bartolo Longo; andava in pellegrinaggi organizzati, ma più spesso in bicicletta o a piedi, insieme ad altri ragazzi. Un’altra meta dei suoi pellegrinaggi era il santuario della Madonna del Buon Consiglio a Torre del Greco, in contrada Leopardi, da poco eretto grazie a monsignor Raffaele Scauda (per il quale è in corso la causa di beatificazione e canonizzazione), che Peppino incontrava spesso.
Passatempi e desideri Pur essendo serio, studioso, religioso, ubbidiente, era soprattutto un ragazzo con tutti i desideri e gli svaghi tipici della sua età. Ad esempio, gli piacevano i giornalini di storie avventurose: ne leggeva a centinaia dopo lo studio, scambiandoli con altri ragazzi, con cui giocava nei momenti liberi. Il suo sogno più grande era quello di fare, da grande, l’Ufficiale di Marina, come del resto lo era e lo è per tanti ragazzi torresi, che da secoli intraprendono la carriera o i mestieri marinari.
Adozione definitiva, ma con nuove tribolazioni Il 26 giugno 1940, dopo circa undici anni di affidamento esterno alla famiglia Ottone, il giudice tutelare della Pretura di Torre Annunziata concesse l’affiliazione di Giuseppe, che così cambiò il cognome da Italico (su cui, con una battuta, aveva commentato: «Italico viene da Italia, quindi appartengo a tutti gli italiani!») in Ottone. In piena seconda guerra mondiale, con l’alternarsi delle vicende politiche, che creavano incertezza e miseria, il padre si guadagnò il soprannome di “Mimì il fascista”, perché apparteneva alla milizia fascista. Oltre a quella tribolazione e alle sempre più frequenti aggressioni da parte del marito, Maria Capria dovette farsi ricoverare alla clinica Torraca di Napoli, per subire una duplice operazione chirurgica molto delicata, specie per quei tempi. Giuseppe rimase molto scosso ed angosciato, per l’affetto davvero filiale che nutriva per lei. Più di una volta le aveva rivolto espressioni di amore e consolazione, insieme alla promessa di studiare e renderla felice nella vecchiaia: lo fece anche prima che lei partisse per la clinica.
La sua supplica alla Madonna di Pompei Il 3 febbraio 1941, giorno dell’operazione in clinica, mentre percorreva corso Vittorio Emanuele II con l’amico Leopoldo Bove, trovò a terra un’immagine della Madonna di Pompei. La raccolse e la baciò devotamente, esclamando: «Madonna mia, se deve morire mamma, fai morire me». Qualche minuto dopo, divenne pallido e cadde svenuto a terra. Fu soccorso dall’amico Leopoldo, a cui si aggiunse un altro compagno di scuola, Michele Esposito Cesariello, col sostegno di due vigili urbani: fu trasportato al vicino Ospedale Civico e venne accolto, alle 15.30, al Pronto Soccorso.
La morte di Giuseppe La madre ritornò in tutta fretta da Napoli, accompagnata dal marito: per il dolore, i capelli le erano diventati completamente bianchi. Arrivò a mezzanotte e fu accanto al figlio per le ore seguenti, recitando il Rosario e vegliando insieme a padre Taliercio, il quale aveva dato al bambino gli ultimi Sacramenti. Giuseppe morì alle quattro del mattino del 4 febbraio 1941, a dodici anni, dieci mesi e quindici giorni. Il referto medico stilato dal dottor Gaetano Manfredi recitava: «Paziente in stato di incoscienza con polso e respiri frequentissimi. Deceduto poi senza aver ripreso conoscenza e senza segni patognomici di alcuna malattia». La notizia della morte si diffuse per tutta la città: al passaggio del feretro, la gente, dai balconi, gettava confetti e fiori bianchi, come quelli che lui aveva voluto distribuire il giorno della Prima Comunione. La salma venne deposta nel cimitero di Torre Annunziata, nel loculo numero 407 dell’Arciconfraternita di Santa Maria del Suffragio.
La verità sulle origini di Giuseppe Alcuni anni dopo la sua morte, per iniziativa di alcuni sacerdoti che avevano iniziato a raccogliere notizie sul suo conto, si seppe che Giuseppe era figlio di Gelsomina Maria Colasanto, una donna di Castelpagano, il cui marito, Michele Nelson, era emigrato in Argentina. Il 26 giugno 1927 un suo parente, Antonio Ricci, ubriaco, aveva abusato di lei. Un’amica, Carmela de Matteis, l’aveva incoraggiata a portare avanti la gravidanza ed era stata la madrina di Battesimo del neonato. Al tempo delle indagini, Gelsomina era ancora viva. Nel 1959 incontrò la madre adottiva: commossa e contenta all’udire il racconto della vita di Giuseppe, si definì «indegna madre di tale figlio», riconoscendo all’altra donna il merito di averlo fatto crescere così. Maria Capria continuò a vivere in buona salute fino al 1983, quando morì a ottantotto anni. Domenico Ottone, invece, morì nel 1975.
La fama di santità e il processo di beatificazione La stima che Giuseppe godette in vita presso i coetanei, i genitori, il parroco e i suoi maestri è andata sempre più aumentando con gli anni, tanto da mutarsi in fama di santità. Il processo informativo diocesano per l’accertamento dell’eroicità delle sue virtù iniziò quindi a Napoli il 6 aprile 1962 e si concluse il 4 marzo 1975. I suoi resti mortali furono traslati il 25 ottobre 1964 in una cappella laterale, detta comunemente del Carmine, della Parrocchia Santuario dello Spirito Santo e Immacolata. Alla traslazione partecipò un gran numero di fedeli e di autorità, sia da Torre Annunziata, sia da Castelpagano. Dopo il terremoto del 23 novembre 1980, la chiesa dello Spirito Santo rimase chiusa per circa vent’anni, a causa di lavori di ristrutturazione e messa in sicurezza. Con l’occasione, i resti mortali di Giuseppe vennero trasferiti nella cappella del Crocifisso, dove tante volte aveva pregato in vita.
La ripresa della causa La causa è ripresa nel 2023 dopo quasi cinquant’anni di silenzio, per verificare se Giuseppe poteva essere ancora considerato santo, con la nomina di don Antonio Di Nardo come nuovo postulatore e di don Ciro Alario, parroco della parrocchia dello Spirito Santo e Immacolata, come attore della causa. La prima sessione dell’inchiesta diocesana suppletiva, sempre su vita, virtù e fama di santità, è stata celebrata il 28 maggio 2024, durante i Vespri presieduti dall’arcivescovo di Napoli, monsignor Domenico Battaglia, nel santuario dello Spirito Santo e Immacolata a Torre Annunziata. Nella medesima circostanza è stata pubblicata la biografia «Giuseppe Ottone – Dal buio alla luce», a firma del postulatore, per l’editrice Velar.
Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini
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