Romagnano Sesia, antico borgo alle porte della Valsesia in provincia e diocesi di Novara, venera come suo patrono San Silvano, di cui celebra la festa ogni anno il 10 luglio. Il santo è tradizionalmente identificato con uno dei sette figli di Santa Felicita che, secondo il racconto di una nota passio, sarebbero stati uccisi a Roma, con la loro madre, durante la persecuzione dell’imperatore Antonino. Si è molto dibattuto in campo agiografico circa l’attendibilità dei fatti narrati nel testo, che si credeva redatto nel VI secolo e, per la sua evidente dipendenza letteraria dall’episodio biblico dell’uccisione dei fratelli Maccabei, giudicato non meritevole di storicità. A dar ragione di questa opinione sembrava contribuire anche il silenzio di papa Damaso, noto cultore delle memorie dei martiri di cui ricercò e restaurò numerosi sepolcri, che in un carme composto in onore dei martiri Felice e Filippo (due martiri che il testo indica tra i figli della santa), non dimostrò di conoscere eventuali legami famigliari tra loro o con altri martiri sepolti nelle catacombe dell’Urbe. Alcune fonti archeologiche sono però venute a smentire l’idea che l’episodio dell’uccisione di Felicita e dei suoi sette figli sia nato dalla fervida fantasia di qualche agiografo altomedievale, confermando come almeno già all’epoca di Damaso esisteva la tradizione del martirio del numeroso nucleo famigliare. Tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta, una campagna di scavi nel complesso cimiteriale dei Giordani, sulla Via Salaria, ha permesso di riportare alla luce frammenti di una lastra marmorea su cui erano incisi, nei bellissimi e chiari caratteri filocaliani, alcuni versi celebranti un martire septimus ex numero fratrum che ulteriori testimonianze epigrafiche (un carme di papa Vigilio e un’iscrizione votiva di un certo Marcello) hanno permesso di identificare con Alessandro, appunto uno dei nomi attribuiti ai sette figli di Felicita che, sia la Depositio Martyrum, sia il Liber Pontificalis indicano sepolto in quella catacomba. La storia dei Sette Santi Fratelli, come sono ricordati nella tradizione ecclesiastica, deve dunque possedere un fondo di storicità, quantomeno in riferimento al loro martirio, i cui particolari forse già allora perduti, vennero proposti alla metà del IV secolo nella nota passio, redatta richiamandosi ad un analogo episodio biblico di eroica testimonianza. La sepoltura di Silvano, indicata con quella della madre nel cimitero di Massimo, venne violata dai seguaci del sacerdote Novaziano, che contestavano alla Chiesa il diritto di assolvere da colpe gravi. Le sue reliquie, trasportate in un loro luogo di culto, furono recuperate da papa Innocenzo I (401 - 417) e riportate nel loculo catacombale, come confermano alcune iscrizioni posteriori, dove rimasero fino al tempo delle grandi traslazioni nelle basiliche urbane. Alla fine del VIII secolo, infatti, papa Leone III traslò i corpi di Felicita e Silvano in Santa Susanna dove ancora si troverebbero all’interno dell’altare della cripta. La tradizione locale di Romagnano attribuisce invece al conte Bosone la traslazione nella chiesa abbaziale del borgo delle reliquie di San Silvano, da lui recuperate non a Roma ma a Benevento, dove furono portate dal re longobardo Desiderio. E’ evidente che non è possibile documentare con certezza il loro percorso dalla catacomba alle diverse chiese che ne rivendicano il possesso, molto probabilmente oggetto delle varie traslazioni non fu l’intero corpo del giovane martire ma una parte dei suoi resti. Storicamente è dimostrato che, almeno dal 1040, la locale abbazia di Santa Croce già aveva mutato il titolo in San Silano di cui l’edificio conserva il corpo. Nel corso dei secoli le reliquie del santo subirono vari spostamenti: dal sarcofago paleocristiano ritrovato nel 1771 sotto l’altare maggiore, di cui attualmente costituisce la mensa, allo scurolo edificato negli anni venti del novecento dove ora riposano all’interno di una statua di cera. Il simulacro viene trasportato processionalmente per le vie di Romagnano ogni venticinque anni, come avvenuto a partire dal 1925 in occasione dell’inaugurazione della cappella. Ancora oggi sono numerose le persone che portano il nome del santo, raffigurato nell’arte locale sia come fanciullo, accanto alla madre Santa Felicita (statua nello scurolo), sia come soldato romano, ricorrente iconografia dei giovani martiri romani (paliotto in rame argentato dell’altare maggiore).
Autore: Damiano Pomi
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